mercoledì 23 marzo 2011

Piazza Tahrir

Nei giorni dell’insurrezione, il Cairo non è la città di sempre. Piazza Tahrir è occupata ininterrottamente dal 25 gennaio. I manifestanti chiedono la fine del regime di Mubarak e non sotterfugi che lo lascino al potere. L’ordine pubblico ha iniziato a vacillare nella capitale egiziana e nelle principali città del Paese lo scorso mercoledì, quando dal partito di Mubarak è stata avviata la caccia agli stranieri giovani e ai giornalisti accusati di essere simpatizzanti delle proteste. A quel punto hanno avuto inizio i rastrellamenti di stranieri. Alcuni sono stati prelevati dalle loro case e trasportati bendati nelle caserme di Heliopolis. Altri hanno subito il linciaggio delle baltagheia, bande armate composte prevalentemente da ex poliziotti. Anche noi siamo stati sequestrati nel quartiere popolare di Shubra. Avevamo riaccompagnato a casa due amici all’Istituto salesiano “Don Bosco” di via Rod El Farag quando un gruppo di giovani armati di bastone, spade e catene hanno sequestrato il nostro taxi. Ci hanno condotti dall’esercito dove abbiamo incontrato in un piccolo camioncino 6 diplomatici australiani. Hanno chiesto di consegnare le batterie e i cellulari per non comunicare all’esterno la nostra posizione. Abbiamo consegnato tutte le apparecchiature elettroniche e i nostri documenti. Prima siamo stati condotti nella sede dell’esercito ad Heliopolis e subito dopo al Ministero dei Servizi Segreti. Qui ci hanno chiusi in una stanza. Dopo alcune ore hanno detto che gli australiani sarebbero stati rilasciati. Grazie all’intervento di questi ultimi hanno lasciato andare anche noi sebbene abbia dato nell’occhio un mio visto iraniano.
Il deterioramento dell’ordine pubblico era cominciato già il venerdì precedente quando si è di fatto sciolta la polizia e l’esercito ha preso in consegna la gestione della sicurezza cittadina senza sparare contro la folla. Anche se vari sono gli episodi ambigui di sparatorie e morti tra i manifestanti. Per esempio, nell’assalto al Ministero degli Interni di Via Mohammed Mahmud sono morte varie persone forse uccise da infiltrati della polizia o dall’intervento dell’esercito. Nonostante ciò tra domenica 30 gennaio e mercoledì 3 febbraio le proteste erano proseguite pacificamente di giorno e di notte in tutte le città egiziane. In piazza Tahrir, militanti di ogni gruppo politico si sono susseguiti per l’intera giornata cantando canzoni e inneggiando a slogan di ogni tipo: “Libertà”, “Se ne va non se ne va?”, “Mubarak spegni la luce”. Ma rivendicavano anche l’orgoglio nazionale egiziano. La più grande mobilitazione popolare c’è stata martedì 1 febbraio: i manifestanti inneggiavano alla “Rivoluzione dei milioni” e cordoni di sicurezza organizzati dall’esercito e dagli insorti hanno tenuto fuori dalla piazza violenti e scalmanati. Non è avvenuto lo stesso il giorno seguente quando sono iniziati i primi scontri tra manifestanti pro e anti Mubarak. I due gruppi hanno avviato una sassaiola nei pressi della televisione di stato, presenti agenti infiltrati. La situazione è andata deteriorandosi causando la morte di decine di persone. Queste operazioni hanno dato il via agli arresti e linciaggi dei giornalisti stranieri in un’azione pianificata e programmata, culminata nei sequestri del giovedì 3 febbraio. Tra gli altri tre giornalisti di Al Jazira sono stati prelevati di peso mentre cenavano all’hotel Ramses e fatti sparire nel nulla per ore.
L’atmosfera al Cairo era da giorni di grande incertezza. Sin dall’inizio delle manifestazioni, le autorità hanno indetto il coprifuoco quotidiano dalle 18 alle 8 di mattina. Nei giorni seguenti il coprifuoco è stato anticipato di due ore e poi portato addirittura alle 15. Durante la notte le strade della città sono deserte e si sentono spari, urla e i rumori delle transenne spostate dai gruppi spontanei di sicurezza. Ogni tanto passano sporadici gruppi di manifestanti. Durante il giorno la maggior parte dei negozi restano chiusi, aprono solo alcune botteghe che lentamente terminano le scorte. Per giorni tutte le banche e gli uffici pubblici sono rimasti chiusi. Solo nelle ultime ore alcuni bancomat hanno ripreso a consentire prelievi di denaro. I supermercati sono stati presi d’assalto da file di acquirenti. Si sta sfiorando il collasso economico in un Paese dove il 30% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno. Nella giornata tutti si affrettano per fare acquisti o siedono ai bar. Nelle ore di coprifuoco tutti restano in casa. Dopo il degenerare delle condizioni di ordine pubblico la gente comune non lascia mai le proprie abitazioni. Le linee telefoniche e Internet sono stati bloccati sin dai primi giorni delle manifestazioni e questo ha reso complicato organizzare gli assembramenti. Ahmed Maher, uno degli ideatori di gruppi di intervento su facebook è stato arrestato. Il funzionamento delle linee telefoniche ha ripreso sin dal 29 gennaio, mentre internet funziona dal mercoledì 3 febbraio in cui sono iniziati gli scontri tra manifestanti pro e anti Mubarak.
Già al mio arrivo, avevo compreso che non sarebbe stato facile vivere al Cairo in questi giorni di protesta. Ho passato la notte in aeroporto fino alla fine del coprifuoco poiché il Terminal3 era stato assaltato dai manifestanti che inseguivano uomini di affari in fuga all’estero. Tra questi Ahmed Az, imprenditore del ferro, che secondo Masri al Yum avrebbe portato fuori dal Paese 83 miliardi di dollari. Alle richieste di riforme economiche e politiche dei gruppi Kifaya! (basta! nato nel 2005 dopo le elezioni politiche che riconfermarono il presidente) e 6 aprile (movimento nato su facebook) si uniscono le istanze islamiste moderate dei Fratelli musulmani e degli altri partiti Wafd (liberale) e Tagammu (comunista). Mubarak per ora non si dimette ma ha fatto un passo indietro dando grande visibilità al vicepresidente Suleiman (ex capo dei Servizi Segreti) e al primo ministro Ahmed Shafiq. Questi ultimi hanno avviato un difficile dialogo con le opposizioni. Gli Stati Uniti ed Israele temono che con l’uscita di scena di Mubarak, un governo sostenuto dai Fratelli musulmani e guidato dall’ex presidente El Baradei, che non gode di ampio sostegno popolare, possa ridefinire la posizione egiziana nel conflitto israelo-palestinese.

Giuseppe Acconcia
La Sicilia 07/02/2011

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