mercoledì 23 marzo 2011

Voci dal Cairo

Nel bar dell’aeroporto assediato del Cairo, un cameriere mi ha porto due tazze di tè. In una c’era un cucchiaino nell’altra no. Gli ho chiesto il perché. Allora l’uomo ha preso un altro cucchiaino, lo ha messo nella tazza e ha detto: “Mubarak sarà il prossimo!”. E’ iniziata così una serie di incontri di uomini, donne e attivisti nei giorni delle proteste al Cairo. Un tassista ci ha accompagnato a Zamalek dove dovevamo fare acquisti necessari per mangiare durante il coprifuoco. “A me piace Mubarak- ha detto l’uomo. E soprattutto l’esercito. Mio padre, mio fratello e mio zio sono dei militari. Io mi fido solo di loro”. Nella piazza Tahrir abbiamo partecipato agli assembramenti del primo febbraio insieme ad amici giornalisti. “Speriamo che non siano i salafiti a prendere in mano la situazione.”- ha sussurrato Ihab guardando uomini pregare al centro della piazza. “Oggi non c’è lo stesso tipo di persone dei giorni scorsi” – ha aggiunto Riham. “All’inizio qui c’erano giovani studenti universitari e gente di cultura. Ora ci sono uomini e donne di tutte le classi sociali. E brutte facce, forse ex poliziotti o ex detenuti che hanno lasciato le carceri di Maadi e Shubra”. Un ragazzo si è avvicinato a me e mi ha chiesto: “E’ questa la libertà?”, guardava piazza Tahrir e tutti i manifestanti. L’Egitto non ha mai vissuto giorni come questi. Da quando è entrata in vigore la legge di emergenza 30 anni fa non c’è stata libertà di assembramento e le uniche manifestazioni in cui si sono potute riunire centinaia di persone sono i mawlid, feste religiose sufi. Le autorità hanno bandito anche queste cerimonie per tutto il 2009 con il pretesto dell’influenza suina. Nella grande manifestazione del due febbraio non ci sono stati cortei lungo i viali della città, ma solo un continuo vai e vieni dalla piazza centrale nella quale sono giunti forse 2 milioni di persone. E il blocco sistematico della rete di sicuro non ha favorito la circolazione delle informazioni che avviene principalmente via cellulare. Prima che facebook fosse oscurato il sito R.N.N., disponibile solo in arabo, raccoglieva i messaggi dei gruppi e dei manifestanti. “Passo la mia giornata a badare alla sicurezza del mio quartiere di Abdin”- ci ha confessato Yusef, studente di Economia.  “Ci siamo organizzati con le persone oneste del quartiere per sostituirci alla polizia che è scomparsa. Io mi occupo dei turni di notte” – ha continuato il ragazzo esausto - Ma spesso si sono infiltrati tra di noi ex poliziotti violenti che si danno a saccheggi indiscriminati”. Col passare dei giorni, questi gruppi si sono organizzati in vere e proprie bande armate, dette baltagheia, che si appostano all’imbocco delle arterie principali. Portano bastoni, spade, catene e bloccano le strade con massi e spranghe di ferro. “Venerdì mi hanno arrestato all’improvviso mentre ero in piazza”- ha denunciato Mohammed. “Non so perché lo hanno fatto. Ero qui a manifestare pacificamente quando la polizia mi ha prelevato con la forza. Una volta in caserma non hanno trovato nulla contro di me e mi hanno lasciato andare”- ha continuato sconvolto. Le notizie di arresti sommari e stupri di giovani ragazze si accumulano per le strade e nei bar della città. In uno di questi caffè in Rue Champolion ho incontrato Camille, un’amica francese. “Non ho intenzione di partire. “Sono disposta a rimanere chiusa in casa per giorni interi”. Camille, insegnante, vive al Cairo da molti anni e sa bene come le cose possano cambiare da un momento all’altro. “Qui non ci sarà mai la guerra civile”, ribatte Midu - “nonostante Mubarak non faccia altro che fomentare la folla e dividere gli egiziani in chi è pro o contro di lui.” Sempre nel caffè tra un succo di limone e una shisha, Marco, siciliano che vive da quasi dieci anni in Egitto dice: “Tahrir è stata conquistata dal popolo egiziano. E’ bellissimo rimanere per ore con la folla che occupa la piazza: gente comune, famiglie, giovani e artisti che spesso suonano l’oud”. Ci rincontriamo il pomeriggio seguente e l’atmosfera sembra improvvisamente cambiata: “il portiere ci ha avvertiti che il partito di Mubarak ha dato l’ordine di portare gli stranieri dall’esercito. E’ ora di partire” - riferisce Marco. Da questo momento le voci che ho raccolto dagli stranieri sono state preoccupate e concitate. Di lì a poco sembra iniziare un piano sistematico volto a diffondere diffidenza verso gli stranieri che sarebbero tutti spie o giornalisti. E così incontriamo decine di connazionali che hanno vissuto esperienze molto forti. “Sono venuti a prenderci in casa- dice Martina, dottoranda siciliana che vive nel quartiere di Heliopolis - I vicini hanno avvertito le forze di sicurezza che eravamo in casa. Hanno controllato i computer e poi ci hanno portati bendati in un luogo che non ho riconosciuto”. La ragazza è molto spaventata, ma felice di essere stata liberata. “Ci hanno lasciati per strada nei pressi di un albergo, per fortuna ero già entrata in contatto con l’Italia e ho segnalato quello che succedeva” E Achille di Salerno prosegue: “Abbiamo rischiato il linciaggio. Ci hanno fermati almeno 8 volte prima di consegnarci all’esercito. E’ stato davvero difficile raggiungere l’aeroporto. Non abbiamo ricevuto alcuna assistenza.” Per strada abbiamo raccolto le voci di decine di giovani rimasti bloccati in casa e che hanno chiesto l’intervento delle loro ambasciate. Una delle storie peggiori l’ha raccontata uno svizzero italiano, Sergio: “Ero uscito per incontrare degli amici a pranzo nel quartiere di Maadi quando le bande armate mi hanno fermato. Ci hanno condotti bendati in una caserma, mi hanno puntato un coltello alla gola. Eravamo duecento in una stanza. Tutta la notte ci hanno lasciati chiusi lì dentro e la mattina mi hanno liberato per strada in un luogo che non conoscevo”. Le condizioni di sicurezza al Cairo sono veramente precarie ed è semplice inciampare in gruppi armati che usano metodi del tutto arbitrari soprattutto contro giovani stranieri, occidentali, vestiti in jeans e maglietta. Nella carovana che ci ha condotto in aeroporto abbiamo raccolto altri italiani rimasti asserragliati nell’ospedale italiano Umberto I e in vari alberghi. Ma presto la situazione potrebbe tornare alla normalità se le forze di opposizione sapranno prendere in mano la protesta e guidare la fase di transizione.    

Giuseppe Acconcia
La Sicilia 11/02/2011

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