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sabato 17 marzo 2012

Il testamento di Scrivo, Graffiti and Rappers e Chanteclar: i più letti. Un anno di stradedellest




Il testamento di Scrivo
MERCOLEDì 6 APRILE 2011

Vincent Van Gogh, La Meridiana, 1889-90, Musée d'Orsay

Manco di spunti. Certo non di idee, ma di riferimenti, insomma di quello per cui alcuni ritengono che non sia degno né del loro tempo né del tempo di chi mi sta scrivendo, più o meno libero, disponibile. Sono una rivisitazione di tutto quel materiale perduto, di tutto quel “tempo perso”, quasi un religioso ricordo, un sentito tributo a ciò per cui una mente si è arrovellata; ciò che ha dato un’illusione di autonomia a quella mente. Le nozioni giungono all’attenzione, l’affascinano e fuggono via lasciando qualche traccia imprecisa nei ragionamenti; il pane che un forno sempre acceso produce, pane che non sfamerà nessuno, o che probabilmente un tempo farà parte, a un livello invisibile alla coscienza, della vita del fornaio. Egli stesso che produce cibo non avverte beneficio da questo. Maneggia e rimpasta la natura per ottenere solo dubbi e indecisione.
Sto per essere scritto sulle lapidi di innumerevoli tombe in un enorme cimitero, come quelli delle grandi città, una città di idee morte (per quanto le idee possano morire).
Come se fossi la segnaletica di questo luogo do enfasi a grossi ragionamenti, farraginosi meccanismi affascinanti e degna dimensione a piccole intuizioni.
Un cimitero sterminato, costruito dal tempo incessante e dall’incostanza dell’attenzione. Un luogo pieno di rimpianti, un posto con tanta “vita”, ma una sola mente (o meglio, ogni mente potrebbe averne uno) che lo visita, che gli offre manutenzione e lo amplia.
Proprio per le sue dimensioni, a vederne una panoramica bidimensionale si ha l’impressione di essere davanti ad un videogame rudimentale con un grosso campo di azione ed una piccola fiaccola che, come una pedina, percorre i solchi dei viali.
A volte con ingenuità la fiamma tenta di ricordarsi una scia che la distrazione soffia.
Vi è un particolare insolito per un cimitero. Anche se, come anime andate via, le idee hanno rappresentazione aurea e spenta allo stesso tempo, insomma sono ricche di immaginazione, possono risuscitare in un attimo e suggerire alla fiaccola strane idee. Le soffiano dentro. Si ritiene che la fiaccola, la mente, non decida di muoversi di propria volontà, ma sia rinvigorita dalle anime riemerse e mossa dai nessi che le uniscono. Un rapporto alquanto strano quello tra le anime/idee e la mente. Altre volte con ingenua bontà, altre con sana malizia, altre con pigre arrese, le anime la invaghiscono, la catturano e la alternano come in una spirale dionisiaca. La fiaccola salta da una tomba all’altra, avanti e indietro, senza nessuna logica per gli spettatori dello schermo, che per proprio gusto romantico vogliono vedere nell’amore lo stimolo vitale di quella strana dimensione.
L’amore per le idee, il fascino di queste, l’ingenuità della mente che riceve vita e dà vita con l’attenzione che è in grado di offrire.
Questa realtà è ben articolata, ben definita, molto suggestiva. Il cimitero/labirinto, il cimitero/alcova nella sua struttura risente delle leggi della natura. Zone di questo, inesplorate da tempo, quasi abbandonate, magari riviste solo di sfuggita mostrano i segni dell’indifferenza.
Il cimitero, anche se caotico perché enorme, gode di una precisa, ma quasi mai utilizzata, divisione.
Vi sono varie aree, vari piani. Un esempio è la zona delle intuizioni, la preferita dalla fiaccola, un atro è quello dell’area dei ragionamenti, con grossi mausolei e iscrizioni di ogni genere; ancora abbiamo il settore delle nozioni, il più antico del cimitero. Infatti mentre la gran parte delle intuizioni, dei ragionamenti e delle altre aree è successiva alla nascita della mente dell’autore, questa è stata sempre lì, si è ingrandita autonomamente senza manutenzione. È senza dubbio la più inesplorata a causa della pigrizia di alcuni ragionamenti e della complicità della mente. Troppo vasta da scoraggiare i più audaci spunti esplorativi. A questo era il rimando introduttivo, la mancanza di riferimenti culturali, altisonanti che posso offrirvi. È stata la compiacenza dell’autore della propria mediocrità a deferire alla sola inventiva le responsabilità di un testo nato dall’incertezza e dall’incompletezza determinata dalla compiacenza di prima.
La mente desidererebbe esser edotta, ma lo sforzo e l’impegno richiesti la scoraggiano a l’hanno scoraggiata più volte. Il compenso finale sarebbe nulla di più che un rapporto incompleto tra conoscenza e caso personale.
Poi vi è una forma della mente, una incidenza non indifferente che pare render vani i migliori propositi: l’inaffidabilità della memoria. Proprio per questo processo nozioni già assimilate sembrano scomparire. Non è dimenticata tanto la nozione, ma la localizzazione di questa. (Quante volte giunge quella fastidiosa sensazione di sapere, di aver saputo quella cosa?)
Questo condanna la mente alla mediocrità: la fiaccola troppo flebile, il tempo insufficiente per vivere l’intera esistenza certa nel cimitero/giardino delle idee.
Le nozioni chiamano, le intuizioni affascinano, i ragionamenti attirano, …, la mediocrità ci affligge.
Senza coreografia la fiammella danza in involuzioni imprecise in traiettorie colme di dubbi.

Giovanni Acconcia
Il cimitero delle idee, 11 luglio 2005
http://stradedellest.blogspot.com/2011/04/il-testamento-di-scrivo.html



Graffiti and Rappers. The Egyptian light Orchestra
MATTERS OF THE EAR
GIOVEDì 5 MAGGIO 2011







Giuseppe Acconcia considers revolutionary hip hop while listening to the Egyptian Light Orchestra




Rappers, actors and graffiti artists are invading Egyptian streets. First, a young comic-strip writer issued a review called Tuk tuk a few weeks after the Revolution: Magdy El Shafee, author of Metro, a comic-strip book, as well as a graffiti artist, is among the creators of the project. In last few days, he was on the streets with Omar Mustafa and Mohammed Fahmi (called Mufa) to paint the walls of Mohammed Mahmud Street, Bab El Louk, Champollion Street and Dokky. What are their favourite symbols? Bread, the clenched fist, the words "25 January" or "I am Khaled Said".
"We walked dressed in jackets with a thousand pockets for spray-paint cans," the comic-strip writer explains. According to Magdy, Egyptian culture is at a crossroads. "We achieved results with new methods. Tahrir's young people were inspired by the internet. They have different horizons compared to the old revolutionaries of 1919 and 1953. They developed a new sense of humour, everything happened so fast and without any link with the old generation. Kifaya in 2005 and the demonstrations against corruption in 2007 anticipated the 2011 revolts. Nevertheless all the political apparatus was shocked by these new movements; they considered opposition groups a dead body." What inspired the Egyptian youth? "A lot of foreign movies. Maybe Fight Club and V for Vendetta more than others". Magdy knows that this is only a step towards a better society. "Our job is at the beginning, even civil society, editors and companies were part of our corrupt system. In my next book I will talk about how men change after revolts, how we can overcome a police state, the possibility of a complete change."
But even more than graffiti, young Egyptians are in love with rap, hip hop and RnB. The youngest Cairo and Alexandria groups participated in the Revolution. Among them: Khaled Mahmud or Adam El Nehez Unity, 22, from Al-Qubba; McFlash, Mohammed Shalaby, 20, from Nasr City; Ahmad Moktar or Romel B, 23 and very famous among the young; EG or Mohammed Sherif, 20, from Ghamra; and TEG, Ahmad Mahmud, 21, from Maadi. They are students of engineering, music and Economics, liberals or moderate Islamists. These groups are inspired by Montags and Immortal Techinique from the United States, but also by young Egyptian groups such as Asfalt. They rap about social issues. They gather for concerts at Basta (a new place near Maspiro, Tahrir), at the Sawy Culturewheel, Zamalek, and on the streets (notably of Heliopolis). "We used to talk about how Revolution can change Egyptian society,"Mohammed says. In "Where is Egypt?" McFlash talks about the pollution that suffocates Cairo and the corruption of the political system before 25 January: "I see people who die for money, why are Egyptians not respected in other countries?" the young singer asks in one song. Ahmad Moktar is sure: "Freedom means to say the truth about our past to change our daily habits." Many foreign rappers talk about religion; it is not the same for Egyptians. "We don't talk about religion in our songs," Mohammed Sherif explains; "we are for the respect of every religion and religious behaviour. But we know it is necessary to urge people to move. Whoever is poor should ask for help from God!"
As young men, they were all in Tahrir since 28 January. "We slept in the middle of the square," Khaled recounts, "for almost a week, without anything, not even a blanket. We made raps, but we were singing also Mohammed Munir and Sheihk Imam songs." Revolutionaries of the past, such as Ahmed Foad Nigm, also inspired rappers. "The 2011 revolts were the first Egyptian Revolution. The 1952 one, when our maestro Foad Nigm was in Tahrir, was only a military coup," Romel B. comments. "We don't think about counterrevolution because people are strong and the army respects us," adds Ahmad Mahmud. Rappers always use free styles and improvisations. They add to the Egyptian dialect, directly understood by everybody, words from classical Arabic. "The place of our rehearsal is a small room with a microphone," Ahmad confirms. "We are direct, true, we talk to the people." Some of them dress in long T-shirts and a tight hat. "I wanted to leave Egypt, but now I've decided to stay," says Mohammed. "I was shocked during the Revolution. The more people they shot, the more people came. We protected our home with our neighbours, we are more united than in the past."
Before the Revolution, it was impossible to make money from hip hop; now small production companies are spreading; rappers multiply. Ahmad Mikki, for instance, demands freedom for Egypt; in his songs he talks about violence during the Egypt-Algeria match in Sudan in 2010. The number of rappers is infinite: Arabian Knights of "Not your prisoners", McAmin from Mansoura and Y crew from Alexandria. Priesto talks about the integration of Arab women abroad, Egy Rap School concentrate on Egyptian girls dressed as Westerners. In "Stop the government" they contributed to inciting the 25 January Revolution. Amr Ahah renews the popular songs of weddings, Adaweya style, talking about the attacks on big malls during the revolts. This new army of youth, musicians and writers watch over the Revolution. They are ready to go back to the square, if the army does not realise their requests, but they will not stop rapping whatever the case.
Sam Shalabi and his Egyptian Light Orchestra continue their worldwide tour. After Istanbul, London, Paris and Los Angeles, they performed on 2 May in San Francisco. Shalabi -- his first name was Osama -- is a Canadian citizen and oud player, the founder of the Egyptian Light Orchestra. When he chose the name Land of Kush, he was inspired by the Kush's Nile region. At this time, Shalabi was influenced by Sun Ra's Orchestra and mythical Egyptian origins. The new album, Monogamy (Constellation Records 2010), completes Shalabi's project of building up an orchestra after his first work with Land of Kush, Against the Day. The original name of this mostly instrumental set was The Shalabi Effect; it formed in 1996 in Montreal, Quebec, with compositions by Shalabi and Anthony Seck. In 1998 the group doubled, adding Alexandre Saind Onge on bass and Will Eizlini on tabla. In their last album Land of Kush featured a hybrid of styles and scenarios. Nowadays, more then 20 musicians perform orchestral jazz, psychedelic folk and ancient songbooks.
The songs recall mythical dilemmas such as frustration-liberation, chastity-carnality, innocence-shame. They mix Arabic psych-rock in "1st and the Last" and "Tunnel Visions", free jazz and an orchestral aria in "Scars" and "Boo and Fisherman", metaphysical groove for a trip outside the earth in "Monogamy" and a coming back to earth in a Syrian village with "Like the Thread of a Spider". Among the female voices, Molly Sweeney and Elizabeth Anka Vojagic stand out, while Alexandre St Onge introduces electronic sounds. Shalabi's target is to remould Middle Eastern music, mixing North African and Western traditions with a psychedelic background. The results are fascinating: colours and sounds, ancestral visions and modernist transfigurations. Against the Day was inspired by a Thomas Pynchon novel, travelling between full and empty on a timeless spiritual geography. In "Iceland Spur" the listener will find sounds from the desert inspired by dreams. Hidden on the backyard, Shalabi's oud stands for solemn liberation.
"Shalabi works towards the highest sounds to discover the energy and passion of bodies, showing his need for purification and safety", says Francesco Nunziata, an Italian music reviewer. As a party of dancing spirits, à l'Art Ensemble of Chicago directs its hypnotic groove. The dance ends, leaving space to a kind of desolate procession in "Rue du Depart", a slow walk of energy towards the spirit, not forgetting the imminence of the end. During the last lines of "Monogamy", Moly Sweeney delineantes the alphabet of their trans-cultural music: "A is for the apple tree, B is for Beelzebul and the snake, C is for the curse of Ham, D is for drugs that you're now forced to take, E is for eternity, F is for what you did outside, G is for the Giving Tree, H is for Holy Spirit's bride. And all of this comes out in little birdlike trills. You'll reach for paper to clean up all your spills."

Giuseppe Acconcia
Al Ahram, maggio 2011
http://stradedellest.blogspot.com/2011/05/graffiti-and-rappers.html
http://weekly.ahram.org.eg/2011/1046/cu2.htm


Chantecler, il “messaggero della terra”
SABATO 18 GIUGNO 2011
Dall’autore di Cyrano de Bergerac, Edmond Rostand, il teatro Mercadante di Napoli ha proposto per la prima volta in Italia, il dramma a colori Chantecler, con la regia di Armando Pugliese e la traduzione di Enzo Moscato. L’opera, presentata nel 1910 dopo 10 anni di silenzio dell’autore, ripropone l’infinito conflitto tra la luce del canto e l’ombra dell’istinto in forma di favola espressiva.
Il gallo Chantecler è l’unico uccello a precedere con il suo verso il sorgere del sole. Ma gufi, allocchi, pavoni, faraone e rigogoli, spinti da istinti di vendetta, violenza e tradimento lo costringono ad un combattimento che potrebbe decidere la usa fine. Gli animali tipizzati riproducono vizi e disuguaglianze sociali completamente umani. Rostand rivisita le commedie di Aristofane con sperimentalismo scenico e dialoghi crudi ma esilaranti.
L’ambientazione unitaria, ricca, surreale, molto apprezzata nei teatri europei della belle époque, resta intatta nell’adattamento di Pugliese. Per l’intero primo atto, una fitta rete sostituisce il sipario. Il palco avanzato dà la necessaria profondità scenica alle azioni dei 25 attori e dei 5 musici. Il potenziale impatto dell’imponente messa in scena viene, però, frenato da un uso troppo spesso inorganico e limitato della coralità mentre i singoli movimenti degli attori-animali sembrano di frequente poco armonici. I costumi dai colori sgargianti di Silvia Polidori, le maschere grottesche indossate dagli attori e le varie fonti di luce trasformano alcune scene in quadri di Ensor. Le musiche di Enzo Gragnaniello, eseguite dal vivo ed affiancate da campionature di ambiente e suoni di strumenti arcaici, rafforzano l’azione. Dialetti ed accenti ravvivano dialoghi a volte intervallati da anacronismi e conclusioni forzate. Un’epidemia decima gli animali della foresta mentre i fucili degli uomini cancellano il canto di Chantecler che, come la “neomelopea”, ha vita breve, dura quanto la fine di una notte che attende la nuova alba.

Giuseppe Acconcia
Rivista Lab, 2007

venerdì 16 marzo 2012

Caterpillar, Siria e La Primavera egiziana... Un anno di stradedellest



Caterpillar, Radio 2
In collegamento telefonico da Il Cairo




In Egitto continuano gli scontri di piazza. Sentiamo Giuseppe Acconcia, ricercatore al Cairo.
mercoledì, 2 febbraio 2011





Dentro la notizia, Rainews24
In diretta telefonica dal Cairo

Siria, colloqui Hamas-Fratelli musulmani




In studio Annalisa Salzano
giovedì, 29 dicembre 2011





Giro di boa, Rainews24
Presentazione del libro
La Primavera egiziana e le Rivoluzioni in Medio Oriente




Conduce Alessandro Baracchini
Roma, mercoledì, 22 febbraio 2012

giovedì 15 marzo 2012

Apolidia, 88, Qasr Al Aini e Telefono pubblico. Un anno di stradedellest




Apolidia


Un attimo fa ho trovato nelle mie tasche disordinate
le chiavi di un albergo
che ho dimenticato di consegnare,
Pietro ritornò trasformato da un solo viaggio
tanto da rivoluzionare l’architettura
della città costruita sugli scheletri,

mentre continui peripli intermittenti
resero l’uomo apolide
nel logico tentativo di sguazzare

il più a lungo possibile nel liquido amniotico
per sentire il corpo rinascere
ed imparare dai suoi errori.

Mentre alcuni ragazzi entravano nella metropolitana puntuale
alla ricerca della morte,
conferendo all’ingresso una forza esagerata,
come di impossibile suicidio,

altri vivevano in comune, segregati tra le montagne,
e con sguardi sbiechi trasformavano un luogo franco
in nevrosi di gruppo, rifugio alternativo per chi,
non trovando posto nel mondo, opponeva apolidia.

Alcuni si affannavano alla ricerca
di un lavoro qualsiasi,
abbandonate antiche velleità creative,
per sacrificare tutto alla dittatura della vita,

altri si immergevano in un lavoro lento,
perenne, immutabile, felicità: compagno e amiche,
sopravvivendo in minuscola sottocultura formata
da due persone, tenute insieme dall’identità di genere
più che da teste simili, che ripetevano punto per punto
le proprie ragioni per opporsi a quei fascisti
che avevano largo spazio negli uffici.

Alcuni trentenni si agitavano
e sospiravano nell’attesa del bambino
che completasse l’opera di rovesciamento
dell’infanzia vissuta a parte,
in perfetta aderenza con lo stile maggioritario,
per risolvere con efficacia l’insopportabile appartenenza ad una minoranza.
Badate, rimaneva la sensazione di aver scelto
una vita diversa dalle altre, apolide,
grazie alla conoscenza completa, specifica, acquisita lentamente.

Altri, più vecchi, raggiungevano cerchi
per passare il loro tempo coccolati
dalle domande incrociate e dalle certezze recitate,
come oratori esperti, per trovare conferme assolute
al lesbismo scoperto in età avanzata,
alle conversioni mistiche incomplete,
all’allontanamento dai piccoli conservatóri del mondo,
alla rinuncia al conformismo della velocità superficiale.

Già anni prima avevano tentato di concludere
questo lungometraggio, ma i protagonisti furono ritrovati
tutti morti poiché, per la prima volta,
realtà e piacere combaciarono per un istante,

ma la donna nuova, muovendosi nel tempo tra ieri e oggi,
ha salvato dalla morte una delle protagoniste di questa storia.
E così la misoginia è scomparsa.

Questo è stato l’inizio del regno delle donne
non importa se sembravano dee o puttane
perché ballavano e ridevano,

e quando la moglie ha confessato la verità
dell’antico assassinio con cacciavite,
la storia dell’apolidia è finita.

Però, continua nella mia testa,
descrivendo il mio tragitto verso l’omicidio
lento di ogni imposizione

tanto da gettare nell’abisso miti estetici fasulli
e scoprire la necessità di una specialità solitaria
poiché per Ande, Tibet e Panshir
qualche giorno non basta

e se nemmeno questo dovesse andare bene
sono pronto a rimanere solo
poiché anche se solo, in assenza di ogni rumore,
sento sempre il sibilo assordante di un acufene.


Giuseppe Acconcia
Tratto da "1,2,3 liberi tutti!". 2007



88, Qasr Al Aini 
I arrived in Cairo by night and a friend came to pick me up at the airport. I lived with him for a few days on Hoda Sharaawy Street, looking for a flat. He showed me how to deal with taxi drivers, how to catch microbuses. With him I tried my first fuul, aubergines, potatoes and sugarcane juice.
Pelle came to Egypt three years ago. He speaks Arabic fluently. He took me into small alleyways and through tangled paths amid the tall buildings of Cairo. Every sentence, gesture, expression of Pelle's looked spontaneous. Everything in the city looked surreal to him. Everything I knew at that time about this infernal city I had learned from him. Above all I could feel the peace in the middle of that mess: how tiny paradises were hidden in that hell of cars that hinder men.
I started looking for a flat with him, too. The first time we went to Agouza, where he used to live. Once there, I felt lost. The place seemed eerie, I didn't have any reference point. I felt alone and far from anything I knew. Pelle asked the Saidi doorkeeper of his building about a certain flat. This old man, dressed in a long dark galabeya, had deep wrinkles due to his old age. He was very kind with me and he showed me the home of the teacher living on Pelle's upper floor. Unfortunately he didn't know the day when the flat would be available. One evening the Saidi offered me a cigarette. I refused but he said, according to Pelle's translation: "None of this in the Saidis' kingdom".
I accepted a cigarette and I smoked it. His semsar (housing agent) friend, Mohammad, who used to sit all day in a cafeteria, took us to old and dilapidated flats. He used to complain about a continuous rise in rents that had reached vertiginous sums within a few months. We were searching in a central area, full of foreigners, especially Sudanese, ready to pay huge amounts, but Mohammad could not believe how a flat for LE500 per month could go for LE1,500 one month later. We visited a yellow building in Abdeen, in the middle of the rubble of near-by buildings and the loudspeakers of a mosque. Here a woman showed us a flat: filthy walls, broken chairs, split-up windows, not bad. Waiting for the keys, we visited the upper floor where 15 Russians used to live. They went out to attend the Orthodox Christmas mass. While they were passing I noticed red hand prints on the staircases' walls: signs of the Eid of Sacrifice.
In one flat, Pelle told me, used to live an Italian girl. When she came back to Egypt from holidays, she found the lock had been replaced; a French guy was living at her place. No sign of her stuff, but she recovered some of it after a trial. The owner tore the contract, saying: "Words matter more than documents". Pelle, viewing my astonished expression, said, "But you could take the Perrin's flat".
I didn't know much about this French girl, only that she had had a serious accident. Disappointed, I decided to try responding to foreigners' announcements. I went to Dokki, where two German guys were living in a skyscraper. Later I visited the flat in 88 Kasr Al Aini Street. I liked that flat from the beginning but I couldn't afford the rent alone. So I had to look for flatmates. That same day, the French girl informed everybody by e-mail that she could not come back: her pelvis was shattered by a microbus while she was crossing the street.
So I visited her small flat. The price was LE1,700. Good light was came through the windows. The building was located at the corner of Mohammed Farid and Mohammed Mahmoud streets. The smell of subsidised bread came up through the staircase. That alley was very dull. The doorkeeper had a inquiring glance, seated on a plastic chair in front of a carpenter's workshop. Here and there a tiny electrician, a grocer, a tailor and a fuul seller came out. A group of old men would play cards outside a garage, near a small gym. There was a tiny cafeteria each side of the street, a laundry service, a mechanic, a juice seller. Cars stopped suddenly; stray dogs and weasels turned around.
I kept open all three possibilities. The teacher's flat fell through because of her uncertainty regarding the date of her departure. I might accept the 88 Kasr Al-Aini flat with the German boy. Finally, I went for the flat of the accident.
But how did I find the Kasr Al Aini flat? And why did I refuse to live in it? Kasr Al-Aini shares the districts of Garden City, Mounira and the popular area of Sayeda Zeinab. It is so crowded that the noise of horns and people's nerves are felt by pedestrians. There is continual coming and going of young foreigners: feasts, music, the attitude of young people looking so impressive to Egyptians when they realize how such joy is unavailable to them. Indeed, while the old doorkeeper of their building questions every person who enters, asking who is he and where is he going, in the Kasr Al-Aini building the coming and going is continuous, day and night, unchecked.
On one January night I was waiting for a woman at the main door of No. 88, while a blond boy stood aside, near a juice seller. Mrs. Mona was looking for new tenants on the third floor. Her home was big and ancient but only foreigners, such as rich Saudi Arabians or Arabs from the Emirates, could afford the LE3,000-3,500 rent. This middle- aged woman with long hair had rarely visited that home, available only for rent. She passed it off as brand-new and stated that a Spanish woman, who had lived there before, used to pay LE3,500 by herself.
In a meeting at the French Institute of Culture of Mounira, near No. 88, I glanced at a girl. She understood that I was looking for a flat and before talking, she handed me a scrap of paper with the number of Mona, the owner of her upper flat where she had been living with a Canadian. The next Sunday at No. 88, Mona arrived by jeep, parked it near a petrol station. I was already there, waiting in a near-by cafeteria with my friend Pelle. The flat was open. We entered.
A woman was cleaning the rooms and an electrician was repairing cables. The flat appeared in the sunlight in its colonial guise, wooded with ancient doors, white windows, a small hall, another one with old sofas and a small balcony, a sitting room with a long wooden table and ancient furniture, two rooms with two beds, another balcony, a bathroom and a half, and a kitchen. It seemed that those walls could talk, tell stories of feasts, dances, meetings. A dim light penetrated from the windows and cleared the colours.
My friend Pelle, called khawaga by the attendant, was speaking in Arabic with Mona, though not about the rent. I was waiting for the arrival of a possible English flatmate. The Englishman, short and blond, arrived after a short delay. He visited the flat, but when he was about to sign the contract, he asked for a private chat with me: "My woman lives upstairs and her flat is so similar to this one that the idea of living here bothers me. I'm sorry, you may think I'm crazy, but I would rather quit."
I did not expect that and said to Mona that everything would start again from the beginning. She gave some extra time. A few minutes later, a German girl arrived. I wrote an announcement on a list on the internet that brings together Cairo's foreigners. The German girl, breathless, visited the flat.
She gave her verdict with a glance: "Everything is false. They painted it but it's old. It's a swindle, have you seen the toilet, the old kitchen? How cold it is!" Pelle, impressed by the words of the German, said: "Look at the shutters, but don't worry!" However, to my eyes that place had a special charm; it looked like it belonged to the past. The German girl would not consider that. Therefore, I asked for extra time to look for a new flatmate. A few evenings later, I returned with a German boy. Mona came over with the keys. The German found the flat amazing and we decided to rent it together. Some evenings later, people continued flowing into No. 88, foreigners with their black bags full of alcoholic drinks. The street was full of the laughter of long-haired girls. During a feast, the German told everyone how he had found the flat and what a bizarre Italian he had met.
"At the first meeting," he was saying, "we were just talking about life in Cairo and my need to learn English. I had visited the flat with him and had decided to take it. However, a day later the Italian called me to retract. When we met, the Italian told me that he had found two cheaper flats. And he left all three possibilities open until the last minute, as every good Egyptian should. The first was on Hoda Sharaawy in the building of a friend. The second in Abdeen, left empty by a woman involved in an accident. In order to compensate for changing his mind, he showed me the small and dark flat in Hoda Sharaawy, a hole where a blond and curly- haired teacher used to live. This flat could be shared for a cheaper price. But I could never accept it, I longed for a romantic and ancient 'colonial' home on the Kasr Al-Aini. I easily found an American and later, during a football match, a Palermitan with whom to share it".
This was my first weak in Cairo as a foreigner. After years, I'd like to swear at Italians who pointed me to the flat I finally chose in Abdeen, at the water pump that had to be turned on, at the rough and mean owner living in the same building, at the doorkeeper who controls night and day the coming and going, at the staircase full of cats, bones, plastics, dirty as a continuation of the alley, at the dust, at the heat that makes the nights so oppressive.

Giuseppe Acconcia
Al Ahram, agosto 2010



Telefono pubblico
Per le strade sembravano scomparsi. Di certo diminuiti. Ma scomparsi poiché, quasi sempre, se ancora in funzione, non accettavano monete. Rifiutare un cellulare. Comunicare dal telefono pubblico. Usare le monete. Impossibile. Guardavo la cabina. Luogo triste, anonimo. Telefoni rotti. Non funzionavano con le monete. Nessuno. Andavo più avanti, giravo in fondo poi la piazza, lungo il marciapiede, nel piccolo caffè all’angolo. Disperavo dell’errore di non aver quell’oggetto che permetteva a tutti di svegliarsi, di chiamare, di fotografare. Fissavo il telefono pubblico. Solo, mai frequentato, una luce, una scritta, un buco per le monete in alto, una fessura per le tessere in basso, una cornetta spesso penzolante. Non c’era la cabina, non importava, se avesse piovuto, un piccolo archetto di plastica avrebbe protetto. Restai lì qualche ora. Giunse una vecchia. Un po’ trasandata, un cappello sgangherato, mani doppie, unghie grosse, ricci biondi ma sbiaditi fuori, bianca, bianchissima, strati di vestiti e cappotti. Prese la cornetta la sbattè sul telefono. La sbattè di nuovo. Lo colpì da un lato, lo colpì dall’altro. Aspettava. Prese di nuovo la cornetta, premette ogni pulsante. Colpì il buco, colpì la fessura. Aspettava. Frugava nel foro in basso. Niente monete. Ritentò. Alcuni guardavano il telefono schifati, sembravano pensare che quell’azione fosse una sorta di lavoro compiuto dalla donna. Come se quest’ultima passasse tutta la sua giornata colpendo telefoni, tentando di trovare quelle monete lasciate o incastrate nel ricevitore per arrotondare gli spiccioli raccolti in altri luoghi. La donna andò via, sconsolata, lasciava tra gli sguardi di accusa la cornetta penzolare. Restai fermo, ormai nessuna possibilità di telefonare sembrava possibile. Giunse un’altra donna. Questa volta vestita meglio ma folle. La sua follia si avvertiva dalle mani, dal modo intermittente in cui le muoveva, i capelli ben sistemati, grassa al punto giusto, un vestitino attillato, sgualcito da qualche giorno. Con fare circospetto la vecchia prese un ferretto dalla borsa che teneva in mano. Lo guardò, lo lucidò. Lo infilò nel buco per le monete. Spingeva, spingeva, spingeva. Cercava in ogni modo di far entrare quell’uncino nella fessura. Una volta dentro rovistava a destra e sinistra, lo infilava più che poteva. Questa volta le persone non sembravano attratte dall’azione poiché era meno evidente, meno rumorosa, professionale. La vecchia sentì qualcosa. Contenta diede l’ultima spinta al ferretto, quella decisiva. Si sentì nello stesso momento una moneta cadere nel foro in basso. Lei la prese senza curarsi della placca di metallo protettiva. Aveva guadagnato pochi centesimi ma il volto era felice.
Quel telefono mi spaventava, non lo frequentava più nessuno. Me ne stupivo, non avrei dovuto. Pensavo a quanto fosse facile per gli altri premere un pulsante e chiamare chi volevano, quando volevano. Quel telefono pubblico serviva ora solo a vecchie donne senza un soldo o a barboni per dormire, se fossero state cabine. Fu così che decisi di comprare un cellulare.


Giuseppe Acconcia
Tratto da Un inverno di due giorni e altri racconti. 2007
Fara editore, Giudizio universale
La Casa Orca

mercoledì 14 marzo 2012

Le interviste a Zubaida, Nabil al Arabi, Hamalawi. Un anno di stradedellest



EGITTO Parla il blogger Essam Hamalawi
«La nuova sinistra parte da un nuovo sindacato»
“Una nuova sinistra parte da un nuovo sindacato”. Essam Hamalawi, giornalista di Al Ahram e blogger (arabawi.org) è tra i fondatori del nuovo Partito dei lavoratori. “Prima di tutto, la sicurezza di stato deve essere smantellata e il partito di Mubarak bandito”: Essam ha le idee molte chiare. “I membri corrotti del vecchio regime - continua - devono essere processati da tribunali militari. Non è possibile che i manifestanti vengano giudicati da corti marziali mentre El Adly e Ahmad Azz da corti civili.” Secondo Essam il risultato più importante delle rivolte è l’annuncio del nuovo Ministro del lavoro, Ahmed El Borai. I lavoratori egiziani avranno finalmente il diritto di formare sindacati indipendenti dal governo. Durante la presidenza Mubarak esisteva un sindacato federale unico in Egitto, composto di 24 unioni di base, 22 delle quali guidate da uomini del partito nazionale democratico. “È già nato il primo sindacato indipendente - aggiunge Essam - che comprende ammistratori pubblici, insegnanti, tecnici sanitari e pensionati”. Proprio in seguito a queste dichiarazioni, il segretario generale dell’ILO, Juan Somavia, in visita al Cairo, ha dichiarato che l’Egitto uscirà dalla lista nera dell’organizzazione.
Secondo Essam, il nuovo Partito dei lavoratori includerà giovani dei movimenti, contadini e operai. L’attivista non teme una competizione elettorale con gli islamisti su temi sociali: “i Fratelli musulmani non si sono mai occupati di classe operaia, anzi membri del Wasat e dell’ufficio politico della confraternita si sono espressi più volte a favore delle privatizzazioni”. Sul rapporto tra scioperi e rivoluzione, Essam aggiunge: “le domande settoriali di poche centinaia di lavoratori che si incontrano nei pressi dei ministeri o per strada stanno riportando l’Egitto al clima prerivoluzionario”. E perchè mai la “rivoluzione” non è diventata un fenomeno politico? “I membri della classe media e delle aziende private dopo le dimissioni di Mubarak sono tornati al loro lavoro – risponde Hamalawi -, mentre i lavoratori di Suez, dei trasporti, delle industrie militari, i proprietari terrieri, gli insegnanti, gli impiegati dell’aviazione, i poliziotti non possono riprendere la loro quotidianità ignorando quello che è successo. Dal mio punto di vista dovrebbero comprendere quanto le loro rivendicazioni coincidano con gli slogan di piazza Tahrir”. Sin dal 28 gennaio, la gente delle classi più disagiate si è unita ai manifestanti della prima ora e ha cercato di far sentire la propria voce fino allo sgombero del 9 marzo. Ma i movimenti non hanno finora saputo integrare le richieste dei lavoratori per portare la rivoluzione a definire concrete richieste politiche.
Sul Consiglio delle forze armate, Essam aggiunge: “tutti speriamo che questo governo militare finisca al più presto. E che gli episodi dubbi sull’uso della violenza vengano chiariti. L’esercito non è intenzionato a governare giorno per giorno, ma solo a tenere alcuni punti fermi come l’alleanza con gli Stati Uniti e il trattato di pace con Israele”. Anche secondo Hamalawi, il ruolo dell’esercito è stato essenziale per la deposizione di Mubarak. Ma presto verranno fuori le lotte clandestine: “all’interno delle forze armate c’è una vera divisione di classe molto fragile tra Consiglio supremo, ufficiali e i poverissimi giovani militari”. Secondo Essam, “se l’esercito ha accelerato così tanto sul referendum e sulle elezioni parlamentari è proprio per mascherare le divisioni interne.” Le forze armate hanno sostenuto tacitamente o apertamente il “sì” al referendum. Mentre membri dell'ex partito di Mubarak e Fratelli musulmani erano fuori dai seggi per spingere la gente a votare “sì”. Secondo Hamalawi, “c’è un accordo tra islamisti ed esercito, il rilascio di Kairat Shater e della maggiorparte dei progionieri politici ha facilitato il netto e forte sostegno degli islamisti al “sì” ”.
L’esercito sembra agire come ha sempre fatto Mubarak concedendo spazio agli islamisti nel momento della necessità. È ancora da chiarire quale spazio avrà invece la sinistra nel nuovo Egitto. Una base elettorale di 4 milioni di voti, coloro che hanno votato “no” al referendum, può essere il punto di partenza per arginare le preoccupanti tendenze antirivoluzionarie in atto.
Giuseppe Acconcia

Il Manifesto
INTERNAZIONALE, pagina 4
Venerdì, 8 aprile 2011



di Hamed Hussein e Giuseppe Acconcia
M.O.: ministro esteri Egitto, promuoveremo conferenza di pace
El Arabi, Subito dopo formazione stato palestinese
Roma, 17 mag. -
(Aki) - L'Egitto ''promuovera' una conferenza di pace per trovare una soluzione al conflitto israelo-palestinese''. Lo annuncia il ministro degli Esteri egiziano, Nabil el Arabi, in visita in Italia, in un'intervista ad AKI - ADNKRONOS INTERNATIONAL. ''L'accordo (siglato al Cairo il 4 maggio scorso tra Hamas e Fatah, ndr) e' servito a rafforzare l'autorita' di uno degli interlocutori. Se i palestinesi sono divisi, Israele proseguira' unilateralmente e denuncera' sempre l'assenza di un interlocutore credibile'', spiega il ministro uscente, appena nominato segretario generale della Lega araba.
''Quando in un negoziato c'e' una parte molto forte e un'altra debole - prosegue - e' necessario sostenere chi ha meno forza. E per questo motivo la comunita' internazionale dovrebbe riconoscere lo Stato palestinese al piu' presto. Il passo successivo alla formazione di un forte governo palestinese sara' promuovere una conferenza di pace'', prosegue il capo della diplomazia egiziana.
Il ministro fa riferimento alle numerose conferenze di pace che hanno tentato di porre fine al conflitto e al nuovo corso determinatosi in relazione alla 'primavera araba'. ''I tentativi sono stati molteplici dal 1949 al 1973, fino alle recenti iniziative promosse da Clinton e Bush. Ma ora le condizioni sono cambiate - afferma - La linea di tutti coloro che sono coinvolti nella questione israelo-palestinese negli ultimi venti anni e' stata di gestire un conflitto, noi vogliamo chiudere il conflitto''. (segue)
M.O.: ministro Esteri Egitto, Italia riconosca indipendenza palestinese
El Arabi, Dichiarazioni indipendenza sono tutte unilaterali
Roma, 17 mag. -
(Aki) - ''Il presidente Berlusconi sa bene che tutte le dichiarazioni di indipendenza sono state fatte unilateralmente a partire da quella dichiarazione degli Stati Uniti. Lo stesso e' avvenuto per la fondazione di Israele''. Lo afferma il ministro degli Esteri egiziano, Nabil el Arabi, in un'intervista ad AKI - ADNKRONOS INTERNATIONAL, commentando la posizione del governo italiano che, in riferimento alla questione palestinese, ha fatto sapere di non voler riconoscere uno stato creato sulla base di una dichiarazione unilaterale di indipendenza.
''Quando sara' riconosciuto lo Stato palestinese sara' necessario continuare con negoziati bilaterali per la definizione dei confini e degli altri temi oggetto di controversia'', ha precisato el Arabi, ministro uscente, appena nominato Segretario generale della Lega Araba.
M.O.: ministro esteri Egitto, promuoveremo conferenza di pace (2)
Roma, 17 mag. -
(Aki) - Riguardo, poi, alle critiche sull'uso della violenza da parte di Hamas, per el Arabi ''ci sono esponenti di Hamas che fanno un uso scorretto della violenza cosa che succede anche in campo israeliano''. ''L'importanza di un nuovo governo con una linea guida unica nei territori palestinesi e' essenziale'', sottolinea.
A questo proposito el Arabi ricorda la necessita' della fodazione di uno Stato palestinese indipendente, affermando che ''la necessita' di due stati, uno israeliano e uno palestinese, e' sancita dalla risoluzione delle Nazioni Unite del 1948, che sancisce la fondazione dello Stato di Israele''. ''Questo ha determinato basi legali egualitarie per israeliani e palestinesi per avere due stati indipendenti. Anche George Bush prima e Barack Obama poi si sono espressi in questo senso. Negli ultimi anni - conclude - l'intera comunita' internazionale ha seguito questa iniziativa''.
Libia: ministro Esteri Egitto, siamo vicini all'opposizione
El Arabi, Gheddafi chiuda conflitto e non prosegua con uso armi
Roma, 17 mag. -
(Aki) - ''Non vogliamo che in Libia proseguano le violenze, questo e' motivo di simpatia per le forze di opposizione''. Lo afferma il ministro degli Esteri egiziano e neo segretario generale della Lega Araba, Nabil El Arabi, in un'intervista ad AKI - ADNKRONOS INTERNATIONAL.
La richiesta del governo egiziano al colonnello libico Muammar Gheddafi, quindi, e' di cessare le ostilita'. ''Gheddafi chiuda il conflitto e non prosegua nell'uso delle armi'', dichiara il ministro, in visita a Roma. El Arabi esprime poi le sue preoccupazioni in merito al conflitto in corso nelle zone lungo il confine occidentale egiziano. ''Siamo preoccupati per il bagno di sangue che sta colpendo i nostri vicini libici e per la numerosa comunita' egiziana in Libia’’, ammette Al Arabi.
Iran: ministro Esteri Egitto, Teheran non e' un nemico
El Arabi, Ma non deve interferire in affari interni del Cairo
Roma, 17 mag. -
(Aki) - ''In questa fase, l'Egitto non ha piu' nemici. Neppure l'Iran e' un nemico''. Lo dichiara ad AKI - ADNKRONOS INTERNATIONAL Nabil el Arabi, ministro degli Esteri egiziano appena nominato segretario generale della Lega Araba. ''Non abbiamo ancora avviato un negoziato con l'Iran per rafforzare le relazioni diplomatiche'', dice al Arabi, sottolineando pero' come ''l'Iran non debba interferire nella politica interna egiziana''. ''Le autorita' iraniane - afferma - devono mostrare una mentalita' aperta e, nelle relazioni bilaterali, devono rispettare la reciproca autonomia''.
El Arabi, una volta nominato ministro degli Esteri, si e' subito espresso in favore di nuove relazioni diplomatiche tra Egitto e Iran. Dal 1979, anno della Rivoluzione islamica, Egitto e Iran non hanno ambasciate nei due Paesi. Sul futuro delle relazioni tra Il Cairo e Teheran, El Arabi precisa che ''solo tre paesi al mondo non hanno relazioni diplomatiche piene con l'Iran: Stati Uniti, Israele ed Egitto''. ''Tuttavia sin dal 1991 esistono dei rapporti tra Egitto e Iran. Esistono gia' due uffici di rappresentanza al Cairo e a Teheran - conclude - che gestiscono le relazioni tra i nostri Paesi''.

Adnkronos
Roma, giovedì 17 maggio 2011



L'EGITTO UN ANNO DOPO · Intervista al manifesto dello storico e politologo Sami Zubaida
«Fuori dal ghetto del nazionalismo»
L’11 febbraio 2011, dopo un mese di mobilitazione e rivolta simboleggiate dalla piazza Tahrir, il decotto «faraone» Mubarak fu costretto a dimettersi: cosa è cambiato?
“Le rivolte hanno segnato il ritorno della politica in Medio Oriente” - assicura al manifesto Sami Zubaida, storico dell’Università di Birkbeck, ad un anno dalle dimissioni di Hosni Mubarak. “I colpi di stato nazionalisti di Gamal Abdel Nasser in Egitto e del Ba’ath in Siria hanno incluso le ideologie politiche all’interno del partito unico. E così le rivolte di quest’anno hanno bilanciato la costante soppressione dei movimenti urbani nel mondo arabo” - aggiunge il politologo dell’Università di Londra. “Le nuove generazioni sono uscite dal ghetto del nazionalismo, proclamando valori universali di giustizia sociale, democrazia e anti-corruzione. E così il muro è crollato. L’idea di inviolabilità del regime è sparita. Da qui non si torna indietro, continuerà l’attivismo politico di cittadinanza”, ammette Zubaida.
Come spiega allora l’inconsistenza delle forze politiche secolari alle elezioni parlamentari degli ultimi mesi? “Chi ha fatto la Rivoluzione non ha potere elettorale nè connessioni politiche. I partiti socialisti e liberali erano implicati nei regimi nazionalisti. Anche il Partito comunista iraqeno aveva accettato di far parte di una coalizione con il Ba’ath di Saddam Hussein. Così i comunisti persero credibilità. E il regime ha massacrato i principali esponenti del partito”. Secondo l’autore de Islam, il popolo e lo stato: idee politiche e movimenti (1993), altra grave colpa delle forze secolari è di essere implicate nelle politiche di liberalizzazione economica degli ultimi decenni. “Ma il colpo di grazia è venuto, da un lato, dalla Rivoluzione iraniana, che ha strappato il mantello della giustizia sociale alla sinistra, e, dall’altro, dal crollo dell’Unione Sovietica”.
Tuttavia, almeno dal febbraio 2011, tutti i movimenti politici hanno goduto di una certa libertà in campagna elettorale. “I vecchi partiti di sinistra sono arrivati a queste rivolte come forze completamente irrilevanti. L’esercito ha concesso ai giovani libertà di assembramento e di parola, ma non di organizzazione del movimento operaio”, prosegue Zubaida nell’intervista al manifesto. In un certo senso, il Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF) in Egitto ha bloccato la spinta rivoluzionaria proponendosi come garante di stabilità e sicurezza. “Lo SCAF vuole una ‘soluzione definitiva’, il controllo dell’attività politica e parlamentare. Inoltre, ha architettato coflitti settari per screditare i movimenti. In un primo tempo, i Fratelli musulmani hanno tentato debolmente di resistere all’esercito. Ma hanno rinunciato per governare con un’ampia maggioranza. Sono arrivati così ad un accordo tacito con i militari. Il risultato: i rivoluzionari si trovano a combattere non solo contro l’esercito ma anche contro la Fratellanza”.
In realtà, nonostante Libertà e giustizia abbia vinto le elezioni, appare divisa al suo interno. “I Fratelli musulmani sono un movimento gerontocratico e internamente anti-democratico, di fronte ad un grave conflitto generazionale. I moralisti, vecchia maniera, convivono con i businessman del Golfo. Esiste poi una corrente impegnata in politiche sociali, per riforme sanitarie e contro la disoccupazione, ma convive con il liberismo della vecchia nomenclatura. Sembra quasi che dopo il successo elettorale, la loro prima richiesta sia stata di arrestare Adel Imam”, conclude con ironia Zubaida. Il docente fa qui riferimento alla vicenda giudiziaria del popolare attore comico egiziano, famoso per le battute blasfeme dei suoi film, condannato a tre mesi di reclusione per “insulti all’Islam”. In questo clima, il ritorno al Corano dei salafiti potrebbe avere una presa senza precedenti. “La legge islamica che chiedono i salafiti non è una versione riformata, ma l’interpretazione storica della legge coranica; sono per la soppressione dell’eresia e dell’immoralità. Quello che però più segna il loro discorso politico è l’ostilità verso i cristiani”, conclude l’autore de Dietro l’Islam: per una nuova comprensione del Medio Oriente (2011).
In questi giorni, gli egiziani stanno votando anche per il Senato e presto eleggeranno il nuovo presidente della Repubblica. “Un processo elettorale, che non garantisce libertà di associazione e la costituzione di partiti politici rappresentativi dei movimenti secolari, può essere addirittura rischioso. In Iraq, elezioni frettolose e il regime liberale hanno esacerbato il settarismo. Il sistema elettorale ha favorito poi meccanismi di controllo delle risorse, causando corruzione e partitocrazia”, considera Zubaida.
D’altra parte, in Siria, il movimento iniziato quasi un anno fa, nella regione rurale di Daraa, sta dando filo da torcere al regime. “La transizione in Siria è davvero lontana. Solo in parte le manifestazioni hanno il carattere di movimenti urbani, come è stato in Egitto. Tanto che Damasco è ancora calma e i manifestanti gridano Aleppo dove sei?” Secondo Zubaida, il Ba’ath di Bashar al-Assad è ancora il solo garante che possa evitare una deriva settaria in Siria? “In realtà, il movimento siriano è esplicitamente non settario, anzi la lealtà tra cristiani, alawiti e musulmani è il vero segno delle proteste. Mentre la dura repressione di al-Assad non sorprende. All’inizio delle rivolte, ha concesso alle donne con niqab di insegnare nelle scuole. Ora, sta bombardando Homs, come aveva fatto il padre Hafez con la città di Hama nel 1982”. Tuttavia, la vera brutta notizia per il regime siriano sembra venire da nuove pressioni internazionali. “La Turchia, riallineandosi con Stati Uniti e Arabia Saudita in merito alla questione siriana, potrebbe privare l’Iran del principale asset nei paesi arabi”. In questo scenario, l’ultimo pericolo per un’estensione delle tensioni in Medio Oriente sembrano le scintille dello Stretto di Hormuz tra Stati Uniti ed Iran, dove si avvicinano le elezioni parlamentari. “L’Iran vive in uno spazio pubblico ben distinto. La capacità repressiva del regime è enorme. Certo, il nemico numero uno per gli Stati Uniti ormai sono gli sciiti, non più gli islamisti sunniti”, conclude il professore.

Giuseppe Acconcia, ringraziamenti ad Antonio De Martin

Il Manifesto
INTERNAZIONALE, pagina 7
Sabato, 11 febbraio 2012
http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20120211/manip2pg/07/manip2pz/317878/
http://stradedellest.blogspot.com/2012/02/fuori-dal-ghetto-del-nazionalismo.html

martedì 13 marzo 2012

Mahalla, Alias e La meglio gioventu'. Un anno di stradedellest



EGITTO · Terza fase delle elezioni parlamentari: affluenza alta nel Delta del Nilo

Votano gli operai di Mahalla al-Kubra e puntano sui lavoratori, candidati tra gli indipendenti. Alle tre aprono i cancelli della fabbrica tessile Gazl Masri, 24000 operai, dopo i massicci licenziamenti del 2001, si precipitano nei seggi. Alta è l'affluenza nel Delta del Nilo, soprattutto di donne. Manifesti elettorali della fratellanza campeggiano nel centro della città, cresciuta intorno alle industrie tessili Gazl Masri nella regione di Gharbya. Mahalla ha un’antica storia di lotte operaie. Il movimento ‘6 aprile’ ha iniziato qui le sue campagne a difesa dei lavoratori nel 2008. «La Rivoluzione non è finita» – racconta al manifesto Wedad, operaia di Gazl Masri. «Siamo entrati di nuovo in sciopero a settembre per le pessime condizioni di lavoro così come andavamo sotto la residenza di Mubarak a Qasr el-Qobba ben prima delle rivolte » - continua l’operaia. Alla crisi economica legata all’instabilità politica si unisce la cronica crisi dell’industria del cotone, oppressa dalla concorrenza cinese. «Voto per Kutla (coalizione di socialisti e liberali) perché l’interesse pubblico non sarà mai assicurato dagli islamisti» - continua Wedad. La risposta alla politica di liberalizzazione economica, avviata da Anwar al Sadat negli anni settanta, iniziò proprio con gli scioperi delle industrie tessili di Helwan e Mahalla. Il punto di non ritorno venne raggiunto con lo sciopero generale del ’77 la cui repressione causò 79 morti. Già Gamal Abdel Nasser aveva saputo disattivare la classe operaia egiziana, integrando i sindacati nel regime, avviando la grande riforma agraria e determinando la nascita di industrie di grandi dimensioni, coesistenti con le piccole imprese precapitalistiche. Mahalla è tornata protagonista delle proteste nel grande sciopero dell‘industria tessile «Sigad» del 1985. Hamdi Hussein, attivista del partito socialista, è stato in prigione decine di volte, l’ultima per aver brandito le foto di Mubarak, impresse su una bara, negli scioperi del 1988. «Sostengo gli operai indipendenti candidati e il parito el-Adl (giustizia)»- dichiara al manifesto Hamdi. ''La Rivoluzione continua (coalizione di sinistra) è praticamente assente nelle nostre liste elettorali, per questo voterò soltanto candidati individuali che sostengono i diritti dei lavoratori, come Hosman Zeina» - aggiunge Gamal Hassanin, responsabile del Sindacato dei lavoratori. Gli attivisti di El-Adl non hanno trovato un accordo con i comunisti per la stesura di liste elettorali comuni. "Siamo i giovani e gli operai che hanno fatto la Rivoluzione nella piazza Shon di Mahalla", aggiunge Abd el Monim, politico di El-Adl. La sinistra egiziana, imbevuta di nazionalismo negli anni di integrazione nel regime di Mubarak, cerca un nuovo impulso dal movimento rivoluzionario. E per ora, l'unico segno viene dalle lotte sindacali. “Il principale risultato delle rivolte è che possiamo difendere meglio i diritti dei lavoratori, anche se i militari operano per disattivare la legge sulle libertà sindacali voluta dal ministro del lavoro, Ahmed al-Borai” – conclude il sindacalista. D’altra parte, il terzo turno delle elezioni parlamentari, presenta la grande incognita delle dinamiche tribali nel Sinai. Nel dopo Mubarak, stato e tribù sono in lotta per il controllo del territorio. Secondo la stampa indipendente, i beduini, armati fino ai denti, spesso di fucili e pistole che arrivano dai tunnel sotterranei della Striscia di Gaza, hanno formato gruppi di autodifesa durante le rivolte, ancora attivi. Per il voto il valico di Rafa è stato chiuso. Se i beduini, essenziali per assicurare la sicurezza dei gasdotti, vengono integrati nella polizia locale, i fratelli musulmani, per attrarre voti, premono per l’introduzione dei costumi tribali (urf) nel diritto amministrativo.




Giuseppe Acconcia

 


2011, la nostra prima rivoluzione

Il metaesercito della cultura (1952-2011)



Sheikh Imam cantava: “nei nostri campi c’è chi come noi lavora con le mani/le birrerie vicine alle industrie e le prigioni al posto dei giardini/lascia (sicurezza di stato) i tuoi segugi per strada e chiudici nelle tue prigioni/non lasciarci dormire nei nostri letti/dormiremo in prigione e non nei nostri letti/domanda di noi nei giorni della Rivoluzione/l’abbiamo fatta e a noi basta/sappiamo chi ci ha feriti e conosciamo noi stessi/lavoratori, contadini, studenti, il nostro orologio suona e iniziamo/imbocchiamo una strada senza ritorno perchè l’onore è vicino ai nostri occhi”. Ahmad Foad Nigm, ottantenne poeta vernacoliere egiziano, scrisse questi versi dopo la Rivoluzione del 1952. Pensa di scrivere di nuovo, guarda le immagini dei moti egiziani scorrere sullo schermo e racconta, rinato nel fisico e nello spirito. “L’esercito inglese ha aperto l’Egitto all’Europa e spronato il popolo a liberarsi dall’occupazione. Nonostante negli anni ’40 fossero nati partiti e movimenti politici, solo l’esercito egiziano seppe usare questo sentimento. Il primo ministro Ali Maher andò dal re Farouk perchè accettasse le sue dimissioni. Il re firmò, ma lo richiamò poco dopo per siglare un nuovo documento. La prima volta la sua mano tremava. La comparsa di Nasser all’interno dell’esercito e la sua allenza con i socialisti cambiò ogni cosa in Egitto. E Sadat, talento d’ignoranza, è stato il portavoce dell’esercito. La Rivoluzione del 1952 fu contro la borghesia feudale. Da quel momento, l’esercito dovette vedersela con i comunisti: gli operai di Mahalla vennero fucilati in pubblico per questo. Dopo di che, l’esercito ha dovuto confrontarsi con gli islamisti. Ha sempre cercato di mantenere buone relazioni con Stati Uniti e Fratelli musulmani da una parte, sovietici e comunisti egiziani dall’altra. Così facendo, l’esercito ha vanificato gli sforzi rivoluzionari del 1952”.
Nigm è entusiasta, questa non è una rivoluzione militare. “Il 2011 sarà ricordato come l’anno della prima Rivoluzione in Egitto, sono felice e orgoglioso per questo. L’intera popolazione è scesa in piazza. Aspettate finchè sarà completata, sarà una leggenda da raccontare! Gente senza il coltellino per sminuzzare la cipolla ha affrontato un gigantesco sistema di sicurezza di stato, che si è sbriciolato. Tutti ora credono nei giovani, sono andati in trenta a Tahrir e sono diventati un milione. E ancora sono lì. Questa abilità di spingere la gente in piazza non ha un colore politico. Ha fatto più Wael Ghonim con la sua pagina Facebook “Siamo tutti Khaled Sayd” che comunisti e Fratelli musulmani. Gli egiziani hanno fatto la Rivoluzione contro un regime potente e corrotto. Quanti sono morti? Non sappiamo quanti, se non di chi è morto davanti alle telecamere. Chi fumava colla ora pulisce i marciapiedi”.
Foad Nigm era in piazza Tahrir il 2 febbraio, durante la “battaglia dei cammelli”. La folla lo ha circondato e così lentamente ha lasciato la rivolta. Più volte in prigione negli anni di Nasser, Sadat e Mubarak, è autore anche dei magnifici testi delle canzoni di Abdel Kalim Afez. “Quanto avevamo bisogno di questo? – riprende Foad dopo una pausa di burla e aneddoti su Oum Khultum – Già nel 1919 i cuori degli egiziani cantavano, era tempo di lamentarsi per l’occupazione e la povertà. E arrivarono Sayd Derwish con il suo teatro, gli scrittori Tawfiq Hakim, Taha Hussein, Habbas Mahmud El Aqqad, e i musicisti Mohammed El Qasabji, Mohammed Fawzi, Belik Amdi. La Rivoluzione del 1952 è stato il secondo atto delle rivolte del 1919, che furono tradite da politici come Saad Zaghloul e dall’impero inglese. Ma naque allora l’Egitto come nazione: il Parlamento, il sistema dell’informazione, musica e letteratura. La cultura egiziana cambiò definitivamente. Shawki ha stravolto le parole di Abdel Taieb Mutanabi (poeta che visse nel decimo secolo in Iraq, Egitto e Siria), di Abu Ala Al Maarri e le sue Resalat Al Ghufran, che ispirarono la Divina Commedia.”
Il poeta egiziano continua ricordando alcuni episodi dei moti del 1952, che lo videro protagonista. “Abbiamo iniziato a manifestare prima dell’esercito dopo la II guerra mondiale. Grandi cose iniziarono con le manifestazioni. Restavamo di notte fuori dalla moschea di Al Azhar, avremmo dato il nostro sangue per liberarci dagli inglesi. Un uomo si unì a noi, brandiva un fornelletto a petrolio, alzava la fiamma e urlava: “Andate via o vi do fuoco”. Un giorno l’esercito inglese sparò in piazza Ismailia (ora Tahrir) contro la folla. Morì un uomo. Lo prendemmo con il sangue che scorreva, lo tenevamo in alto. Conducemmo il suo corpo fino al palazzo del re Farouk. Un ragazzo prese una bandiera egiziana da un negozio di radio e avvolse il cadavere. “Il popolo vuole il re”: urlava la folla. Nagim Pasha uscì fuori e disse che il re era ad Alessandria. La folla allora gridò: “il popolo non vuole il re”. Qualche giorno dopo, tornammo alla moschea di Al Azhar e trovammo la porta chiusa e i soldati in uniforme bianca per il caldo. Degli studenti allora urlarono: “Soldato aiutaci, chi vende il suo paese è un infedele”. E i giovani soldati applaudirono”. Sembra che ora accada lo stesso, una sorta di controrivoluzione guidata dall’esercito in accordo con i Fratelli musulmani. “Il Consiglio delle Forze armate vorrebbe fermare tutto, ma i giovani ufficiali non lo permetteranno, sono più vicini ai rivoluzionari di quanto si pensi. L’esercito resta un ordine antidemocratico, ma noi siamo un esercito nell’esercito! Mentre i Fratelli musulmani sono stati distrutti dalla prigione, sono esausti, pensano alla via verso il Paradiso.”
Nonostante la cancellazione della grande Fiera del libro, che si tiene al Cairo tutti gli anni nel mese di marzo, piccoli editori hanno improvvisato affollatissime fiere di quartiere, come a Zbakeya, Attaba. Giovani autori, come Youssef Rakha e Mahmoud Atef, scrivono brevi racconti e poesie sulla Rivoluzione, Foad Nigm ha ispirato questa nuova generazione di artisti, ma il linguaggio e i mezzi sono completamente cambiati. È in corso un nuovo 1952, che avrà degli effetti indefinibili sulla cultura egiziana. Magdy El Saeef, disegnatore di graffiti era in giro per il Cairo con Omar Mustafa e Mohammed Fami (detto Mufa) per colorare le mura di via Mohammed Mahmud, di Bab el louk, Champollion e perfino Dokki. Alcune scritte: pane, il pugno chiuso, 25 gennaio, sono Khaled Sayd. “Giravamo bardati con i nostri spray e le nostre giubbe dalle mille tasche. Ma alcuni graffiti sono stati già cancellati”. Secondo Magdy c’è una grande differenza tra i rivoluzionari del ’52 e quelli del 2011. “Questa volta abbiamo ottenuto un risultato. I giovani che erano in piazza non sono quelli del 1952. Sono ispirati da internet, hanno orizzonti diversi, hanno sviluppato un nuovo senso dell’umorismo. E tutto è successo così velocemente e senza legami pratici con la vecchia generazione. La sorpresa di Kifaya nel 2005 e delle manifestaioni contro la corruzione e per l’indipendenza della magistratura del 2007 hanno preparato i moti del 2011. Ma la sopresa di Mubarak e di tutta la classe politica è stata grande perchè consideravano tutto questo come un cadavere. E non sono stati neppure i comunisti, i liberali o la correttezza machiavellica dei Fratelli musulmani, che fino all’ultimo momento hanno discusso con Suleiman, ad ispirare questi giovani. E allora cosa? Anche i tanti film che vengono da oltreoceano”. Magdy è consapevole che questo è solo un primo passo verso il pluralismo. “Il nostro lavoro è solo all’inizio, anche la società civile, gli editori e le aziende hanno fatto parte di questo sistema corrotto. E per questo il mio prossimo lavoro è ispirato alla “Microfisica del potere” di Michel Foucault. Come cambia l’uomo che vive le rivolte? Come si supera uno stato di polizia che lascia votare la gente su decisioni predeterminate? Come si passa da uno stato di resa ad intravedere la possibilità del cambiamento?”
Per Magdy è il tempo di disegnare e raccontare. Come lui, giovani teatranti tengono spettacoli per strada o leggono le loro storie nella libreria Merit in via Qasr El Nil e al Centro Al Hanager. Sono compagnie indipendenti come Sabeel (fontana pubblica), Hala (stato della mente), Soo’Tafahom (incomprensione), Hawasa (allucinazione), Nas (gente) e Ana El-Hikaya (la storia sono io). Raccontano la Rivoluzione attraverso le testimonianze di chi era in piazza usando canzoni, poesie, mimo e danza. Mustafa Sayd, giovane oudista della scuola classica, spera che questi movimenti si trasformino in nuova linfa per la musica araba. Ma sembra scettico. “Le scuole persiana, turca, iraqena e egiziana sono dialetti di un unico sistema musicale. A partire dagli anni ’40, hanno preso dall’Occidente non solo mezzi tecnici, ma l’armonia verticale. E così dopo i grandi classici Azuri Arun, Mohammed Qasabji e Abdu El Hamuli fino a Ryad Sambati e Saliba Qatrib negli anni ’40, la musica araba è stata schiacciata dal sistema occidentale e ha perso l’armonia lineare che la catterizzava, diventando melodia”. È rimasto poco del passato e il mezzo popolare di espressione non è solo l’oud, ma il rap dei giovani di Alessandria e dei quartieri poveri del Cairo. I rapper riempiono le loro canzoni di temi sociali usando il dialetto mischiato a parole straniere. Ahmad Mikki per tutti, chiede la libertà per l’Egitto riferendosi agli incendenti nella partita Egitto-Algeria in Sudan nel 2010. Ma il numero di nuovi rapper è infinito: gli Arabian Knights di “Non siamo i tuoi prigionieri”, Mc Amin di Mansoura e gli Y crew di Alessandria. Rommel B e Priesto parlano dell’integrazione delle donne arabe all’estero, mentre gli Egy Rap school si soffermano sulle ragazze egiziane vestite all’occidentale e in “Stop al governo” hanno incitato alla Rivoluzione per i diritti ben prima del 25 gennaio. Amr Ahah riprende le canzoni popolari dei matrimoni, genere Adaweya degli anni ’70, parlando degli attacchi ai centri commerciali durante le rivolte. “Parliamo di Rivoluzione, era un sogno/l’abbiamo disegnato con la nostra rabbia/è venuta perchè il cieco dittatore usa il potere/manifestiamo contro le loro povere idee, le loro ingiustizie, la finta faccia dietro la bandiera dell’Islam/vediamo i volti delle manifestazioni, ascoltiamo le loro voci e non aspettiamo l’aiuto degli americani”: canta Hossem El Hosseini.



Giuseppe Acconcia
Alias, sabato 14 maggio 2011
http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/alias/


I princìpi d'Egitto

La "meglio gioventù"


Tra arte e politica, la rivoluzione dei giovani egiziani è ancora nel vivo. Manal racconta insieme al marito Alaa, nel blog manaal.net, le storie delle donne egiziane della rivoluzione: le attiviste di Kifaya! (movimento antiregime nato nel 2005), le infermiere che curavano i feriti in strada e le madri che continuano a tenere vivo il ricordo dei loro figli uccisi negli scontri. Come lei, centinaia sono gli artisti e gli attivisti che, parlando delle rivolte, motivano i giovani rivoluzionari ad andare avanti.
Ormai, confronti e dibattiti hanno preso il posto di scontri e proteste nelle strade del Cairo. In vista delle elezioni di novembre, le discussioni politiche si moltiplicano, sulle pagine dei blogger più seguiti: da Hamalawi, più volte minacciato dall’esercito, a Wael Abbas, più volte in prigione. I rapper, sulle orme degli Arabian nights, raccontano i nuovi stili delle ragazze, le partite di calcio e le mode tra i giovani dei quartieri più poveri. Mentre i graffitari ricoprono le mura della città in blitz notturni con i simboli delle rivolte, dal pane al giovane Khaled Sayd ucciso a 17 anni nelle proteste.
L’Egitto è come un laboratorio in cui si misura il potere dell’esercito, le libertà degli attivisti e dei partiti. “6 aprile”, movimento nato dagli scioperi del 2008, ha deciso di non partecipare alle elezioni. Altri attivisti tentano di ripartire da zero e non si fidano di chi ha avuto benefici dal vecchio regime. Questi giovani guardano all’Europa e sono attratti da Naguib Sawiris, magnate di Orascom, sceso in politica per una nuova destra liberale. Altri ragazzi seguono la miriade di partiti socialisti e comunisti nati, nei giorni delle proteste, dalle ceneri dei vecchi movimenti di sinistra. O fanno i conti con la frammentata galassia dell’islamismo politico: almeno tre sono i nuovi partiti legati ai Fratelli Musulmani.
I giovani non sono soddisfatti dell’operato del Consiglio supremo delle Forze Armate che non ha cancellato la legge di emergenza e ha promosso una legge elettorale che favorisce grandi partiti e pesonalità indipendenti. Non solo, non vogliono chiudere gli occhi di fronte alle morti di soldati nel Sinai e per questo hanno tenuto sotto pressione l’Ambasciata israeliana al Cairo. Le ragazze e i ragazzi egiziani vogliono un futuro diverso, dove ci sia spazio per una città più ordinata, diritti per le donne, un occhio al passato e l’altro alla modernità. Questi sono i giovani che hanno fatto la ‘Rivoluzione’.



Giuseppe Acconcia
Marie Claire
Novembre 2011