sabato 14 maggio 2011

Il metaesercito della cultura (1952-2011)


Sheikh Imam cantava: “nei nostri campi c’è chi come noi lavora con le mani/le birrerie vicine alle industrie e le prigioni al posto dei giardini/lascia (sicurezza di stato) i tuoi segugi per strada e chiudici nelle tue prigioni/non lasciarci dormire nei nostri letti/dormiremo in prigione e non nei nostri letti/domanda di noi nei giorni della Rivoluzione/l’abbiamo fatta e a noi basta/sappiamo chi ci ha feriti e conosciamo noi stessi/lavoratori, contadini, studenti, il nostro orologio suona e iniziamo/imbocchiamo una strada senza ritorno perchè l’onore è vicino ai nostri occhi”. Ahmad Foad Nigm, ottantenne poeta vernacoliere egiziano, scrisse questi versi dopo la Rivoluzione del 1952. Pensa di scrivere di nuovo, guarda le immagini dei moti egiziani scorrere sullo schermo e racconta, rinato nel fisico e nello spirito. “L’esercito inglese ha aperto l’Egitto all’Europa e spronato il popolo a liberarsi dall’occupazione. Nonostante negli anni ’40 fossero nati partiti e movimenti politici, solo l’esercito egiziano seppe usare questo sentimento. Il primo ministro Ali Maher andò dal re Farouk perchè accettasse le sue dimissioni. Il re firmò, ma lo richiamò poco dopo per siglare un nuovo documento. La prima volta la sua mano tremava. La comparsa di Nasser all’interno dell’esercito e la sua allenza con i socialisti cambiò ogni cosa in Egitto. E Sadat, talento d’ignoranza, è stato il portavoce dell’esercito. La Rivoluzione del 1952 fu contro la borghesia feudale. Da quel momento, l’esercito dovette vedersela con i comunisti: gli operai di Mahalla vennero fucilati in pubblico per questo. Dopo di che, l’esercito ha dovuto confrontarsi con gli islamisti. Ha sempre cercato di mantenere buone relazioni con Stati Uniti e Fratelli musulmani da una parte, sovietici e comunisti egiziani dall’altra. Così facendo, l’esercito ha vanificato gli sforzi rivoluzionari del 1952”.
Nigm è entusiasta, questa non è una rivoluzione militare. “Il 2011 sarà ricordato come l’anno della prima Rivoluzione in Egitto, sono felice e orgoglioso per questo. L’intera popolazione è scesa in piazza. Aspettate finchè sarà completata, sarà una leggenda da raccontare! Gente senza il coltellino per sminuzzare la cipolla ha affrontato un gigantesco sistema di sicurezza di stato, che si è sbriciolato. Tutti ora credono nei giovani, sono andati in trenta a Tahrir e sono diventati un milione. E ancora sono lì. Questa abilità di spingere la gente in piazza non ha un colore politico. Ha fatto più Wael Ghonim con la sua pagina Facebook “Siamo tutti Khaled Sayd” che comunisti e Fratelli musulmani. Gli egiziani hanno fatto la Rivoluzione contro un regime potente e corrotto. Quanti sono morti? Non sappiamo quanti, se non di chi è morto davanti alle telecamere. Chi fumava colla ora pulisce i marciapiedi”.
Foad Nigm era in piazza Tahrir il 2 febbraio, durante la “battaglia dei cammelli”. La folla lo ha circondato e così lentamente ha lasciato la rivolta. Più volte in prigione negli anni di Nasser, Sadat e Mubarak, è autore anche dei magnifici testi delle canzoni di Abdel Kalim Afez. “Quanto avevamo bisogno di questo? – riprende Foad dopo una pausa di burla e aneddoti su Oum Khultum – Già nel 1919 i cuori degli egiziani cantavano, era tempo di lamentarsi per l’occupazione e la povertà. E arrivarono Sayd Derwish con il suo teatro, gli scrittori Tawfiq Hakim, Taha Hussein, Habbas Mahmud El Aqqad, e i musicisti Mohammed El Qasabji, Mohammed Fawzi, Belik Amdi. La Rivoluzione del 1952 è stato il secondo atto delle rivolte del 1919, che furono tradite da politici come Saad Zaghloul e dall’impero inglese. Ma naque allora l’Egitto come nazione: il Parlamento, il sistema dell’informazione, musica e letteratura. La cultura egiziana cambiò definitivamente. Shawki ha stravolto le parole di Abdel Taieb Mutanabi (poeta che visse nel decimo secolo in Iraq, Egitto e Siria), di Abu Ala Al Maarri e le sue Resalat Al Ghufran, che ispirarono la Divina Commedia.”
Il poeta egiziano continua ricordando alcuni episodi dei moti del 1952, che lo videro protagonista. “Abbiamo iniziato a manifestare prima dell’esercito dopo la II guerra mondiale. Grandi cose iniziarono con le manifestazioni. Restavamo di notte fuori dalla moschea di Al Azhar, avremmo dato il nostro sangue per liberarci dagli inglesi. Un uomo si unì a noi, brandiva un fornelletto a petrolio, alzava la fiamma e urlava: “Andate via o vi do fuoco”. Un giorno l’esercito inglese sparò in piazza Ismailia (ora Tahrir) contro la folla. Morì un uomo. Lo prendemmo con il sangue che scorreva, lo tenevamo in alto. Conducemmo il suo corpo fino al palazzo del re Farouk. Un ragazzo prese una bandiera egiziana da un negozio di radio e avvolse il cadavere. “Il popolo vuole il re”: urlava la folla. Nagim Pasha uscì fuori e disse che il re era ad Alessandria. La folla allora gridò: “il popolo non vuole il re”. Qualche giorno dopo, tornammo alla moschea di Al Azhar e trovammo la porta chiusa e i soldati in uniforme bianca per il caldo. Degli studenti allora urlarono: “Soldato aiutaci, chi vende il suo paese è un infedele”. E i giovani soldati applaudirono”. Sembra che ora accada lo stesso, una sorta di controrivoluzione guidata dall’esercito in accordo con i Fratelli musulmani. “Il Consiglio delle Forze armate vorrebbe fermare tutto, ma i giovani ufficiali non lo permetteranno, sono più vicini ai rivoluzionari di quanto si pensi. L’esercito resta un ordine antidemocratico, ma noi siamo un esercito nell’esercito! Mentre i Fratelli musulmani sono stati distrutti dalla prigione, sono esausti, pensano alla via verso il Paradiso.”
Nonostante la cancellazione della grande Fiera del libro, che si tiene al Cairo tutti gli anni nel mese di marzo, piccoli editori hanno improvvisato affollatissime fiere di quartiere, come a Zbakeya, Attaba. Giovani autori, come Youssef Rakha e Mahmoud Atef, scrivono brevi racconti e poesie sulla Rivoluzione, Foad Nigm ha ispirato questa nuova generazione di artisti, ma il linguaggio e i mezzi sono completamente cambiati. È in corso un nuovo 1952, che avrà degli effetti indefinibili sulla cultura egiziana. Magdy El Saeef, disegnatore di graffiti era in giro per il Cairo con Omar Mustafa e Mohammed Fami (detto Mufa) per colorare le mura di via Mohammed Mahmud, di Bab el louk, Champollion e perfino Dokki. Alcune scritte: pane, il pugno chiuso, 25 gennaio, sono Khaled Sayd. “Giravamo bardati con i nostri spray e le nostre giubbe dalle mille tasche. Ma alcuni graffiti sono stati già cancellati”. Secondo Magdy c’è una grande differenza tra i rivoluzionari del ’52 e quelli del 2011. “Questa volta abbiamo ottenuto un risultato. I giovani che erano in piazza non sono quelli del 1952. Sono ispirati da internet, hanno orizzonti diversi, hanno sviluppato un nuovo senso dell’umorismo. E tutto è successo così velocemente e senza legami pratici con la vecchia generazione. La sorpresa di Kifaya nel 2005 e delle manifestaioni contro la corruzione e per l’indipendenza della magistratura del 2007 hanno preparato i moti del 2011. Ma la sopresa di Mubarak e di tutta la classe politica è stata grande perchè consideravano tutto questo come un cadavere. E non sono stati neppure i comunisti, i liberali o la correttezza machiavellica dei Fratelli musulmani, che fino all’ultimo momento hanno discusso con Suleiman, ad ispirare questi giovani. E allora cosa? Anche i tanti film che vengono da oltreoceano”. Magdy è consapevole che questo è solo un primo passo verso il pluralismo. “Il nostro lavoro è solo all’inizio, anche la società civile, gli editori e le aziende hanno fatto parte di questo sistema corrotto. E per questo il mio prossimo lavoro è ispirato alla “Microfisica del potere” di Michel Foucault. Come cambia l’uomo che vive le rivolte? Come si supera uno stato di polizia che lascia votare la gente su decisioni predeterminate? Come si passa da uno stato di resa ad intravedere la possibilità del cambiamento?”
Per Magdy è il tempo di disegnare e raccontare. Come lui, giovani teatranti tengono spettacoli per strada o leggono le loro storie nella libreria Merit in via Qasr El Nil e al Centro Al Hanager. Sono compagnie indipendenti come Sabeel (fontana pubblica), Hala (stato della mente), Soo’Tafahom (incomprensione), Hawasa (allucinazione), Nas (gente) e Ana El-Hikaya (la storia sono io). Raccontano la Rivoluzione attraverso le testimonianze di chi era in piazza usando canzoni, poesie, mimo e danza. Mustafa Sayd, giovane oudista della scuola classica, spera che questi movimenti si trasformino in nuova linfa per la musica araba. Ma sembra scettico. “Le scuole persiana, turca, iraqena e egiziana sono dialetti di un unico sistema musicale. A partire dagli anni ’40, hanno preso dall’Occidente non solo mezzi tecnici, ma l’armonia verticale. E così dopo i grandi classici Azuri Arun, Mohammed Qasabji e Abdu El Hamuli fino a Ryad Sambati e Saliba Qatrib negli anni ’40, la musica araba è stata schiacciata dal sistema occidentale e ha perso l’armonia lineare che la catterizzava, diventando melodia”. È rimasto poco del passato e il mezzo popolare di espressione non è solo l’oud, ma il rap dei giovani di Alessandria e dei quartieri poveri del Cairo. I rapper riempiono le loro canzoni di temi sociali usando il dialetto mischiato a parole straniere. Ahmad Mikki per tutti, chiede la libertà per l’Egitto riferendosi agli incendenti nella partita Egitto-Algeria in Sudan nel 2010. Ma il numero di nuovi rapper è infinito: gli Arabian Knights di “Non siamo i tuoi prigionieri”, Mc Amin di Mansoura e gli Y crew di Alessandria. Rommel B e Priesto parlano dell’integrazione delle donne arabe all’estero, mentre gli Egy Rap school si soffermano sulle ragazze egiziane vestite all’occidentale e in “Stop al governo” hanno incitato alla Rivoluzione per i diritti ben prima del 25 gennaio. Amr Ahah riprende le canzoni popolari dei matrimoni, genere Adaweya degli anni ’70, parlando degli attacchi ai centri commerciali durante le rivolte. “Parliamo di Rivoluzione, era un sogno/l’abbiamo disegnato con la nostra rabbia/è venuta perchè il cieco dittatore usa il potere/manifestiamo contro le loro povere idee, le loro ingiustizie, la finta faccia dietro la bandiera dell’Islam/vediamo i volti delle manifestazioni, ascoltiamo le loro voci e non aspettiamo l’aiuto degli americani”: canta Hossem El Hosseini.

Giuseppe Acconcia
Alias, sabato 14 maggio 2011
http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/alias/

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