venerdì 30 novembre 2012

La Città annuncia la presentazione di oggi


La rivolta araba nel libro di Acconcia
Doppio appuntamento oggi a Roccapiemonte con “La primavera egiziana”

ROCCAPIEMONTE

Doppia presentazione a Roccapiemonte per il libro di Giuseppe Acconcia, “La primavera egiziana e le rivoluzioni in Medio Oriente”. Primo appuntamento in mattinata al Liceo Scientifico “Rescigno” e poi nel pomeriggio alle 18.30 a Palazzo Marciani. Un viaggio intimo e coraggioso, un diario, un reportage, una testimonianza storica sugli eventi che hanno deciso le sorti dell’Egitto e hanno visto l’esplosione della Rivoluzione egiziana del 2011-2012. Le manifestazioni di piazza Tahir, le violenze, le dimissioni del presidente egiziano Hosni Mubarak, la presa del potere da parte del Consiglio supremo delle Forze armate, le elezioni parlamentari e presidenziali, le conseguenze per l’Egitto e il Medio Oriente, la situazione politica in paesi come l’Iran e la Siria. Un libro scritto sul campo da un giovane giornalista che ha vissuto con i propri occhi gli attimi più importanti della rivoluzione egiziana e ha provato sulla propria pelle un sequestro ad opera di una banda di civili armati. Uno strumento storico, consigliato nelle scuole, che illustra passato e futuro di un paese avvolto dal caos. Acconcia è stato il punto di riferimento principale per radio e telegiornali nazionali in Italia, per capire ciò che accadeva a piazza Tahrir. L’incontro pomeridiano sarà moderato da Andrea Manzi e vedrà gli interventi dell’assessore alla Cultura del comune di Roccapiemonte, Luisa Trezza, del professore Gaetano Fimiani, assessore al Bilancio, di Aniello Pietro Torino, di Marco Miggiano e Carmine Pinto.

Davide Speranza

©RIPRODUZIONE RISERVATA

La Città
Quotidiano di Salerno e provincia
Edizione Salerno
Cultura & Spettacoli, pag. 84
giovedì 29 novembre 2012


lunedì 26 novembre 2012

Intervista a Samir Amin


SENZA DIFESA

Tregua • Hamas e Egitto la annunciano, Israele frena. Ma l’intesa non c’è ancora. Hillary Clinton arriva oggi a Gerusalemme


INTERVISTA · Parla Samir Amin, presidente del Forum internazionale del Terzo mondo di Dakar

«Con l’embargo non c’è pace»

«L’Egitto ha le mani legate perché non può mettere in discussione gli accordi di Camp David». I Fratelli musulmani sono allineati con Washington e Bruxelles, «ma anche Hamas sbaglia»


Giuseppe Acconcia
Chiediamo a Samir Amin, direttore del Forum internazionale del Terzo mondo, se crede ad una tregua tra Hamas e il governo israeliano. «Non è possibile una tregua in queste condizioni. Ci vorrebbe una pressione reale su Israele per la ricostruzione dello stato Palestinese. Per questo, deve essere chiaro a tutti i negoziatori che non ci può essere la pace con l’embargo in atto a Gaza». In realtà, sembra che il presidente, Mohammed Morsy, abbia rilanciato il ruolo dell’Egitto nei colloqui di pace e per il cessate il fuoco. «L’Egitto non può cambiare la sua posizione in merito al conflitto israelo-palestinese. Il nuovo governo islamista ha accettato le condizioni di partenza. In altre parole, ha le mani legate perchè è obbligato a rispettare gli accordi di Camp David, che non preparano alla pace ma alla continuazione della guerra. Per questo, l’Egitto è costretto alla neutralità nella politica di colonizzazione di Israele», è il commento dell’economista egiziano. 
Tuttavia, il ministro degli esteri del Cairo, Kamel Amr, ha promesso che l'Egitto non  proseguirà con l’embargo di Gaza. «Di sicuro i Fratelli musulmani sono infastiditi dal fatto che non possono sostenere apertamente Hamas. Però, non sono mai arrivati al punto cruciale: dichiarare che la reazione del movimento palestinese, con il lancio di missili dalla Striscia di Gaza verso Israele, è giustificata dall’attacco israeliano. Non facendo questo, i Fratelli musulmani non sostengono Hamas nei fatti, ma solo con dichiarazioni. E così, operano in continuità con il regime di Mubarak e tollerano le azioni aggressive di Israele». Il riferimento di Samir Amin è qui alla condizione posta dal movimento islamista palestinese Hamas per il cessate il fuoco, cioè la fine dell’embargo su Gaza. «È questo il punto, Hamas assicura di accettare che non saranno lanciati altri missili su Gaza se Israele fermasse l’embargo che affama la popolazione della Striscia. A questo proposito il sostegno di Washington e Bruxelles alla mediazione egiziana chiarisce l’intenzione che nulla cambi negli equilibri regionali». Ma i Fratelli musulmani sembrano trovarsi in una posizione critica: continuare a favorire il dialogo tra le due fazioni palestinesi, Fatah e Hamas, in corso da mesi al Cairo, o appoggiare Hamas. «Di sicuro l’Egitto non vuole la rottura dei colloqui tra le due fazioni palestinesi. Ma credo che in questo momento sia in gioco la cessazione delle ostilità e degli attacchi israeliani su Gaza. - prosegue Samir Amin - Se il governo egiziano, e l’esercito che rimane il secondo pilastro del sistema di potere in Egitto, volessero davvero, smaschererebbero la politica di Stati uniti e Unione europea sul conflitto israelo-palestinese e direbbero che le condizioni per la tregua poste da Israele sono inaccettabili. Tuttavia, Stati uniti, Israele e paesi del Golfo non vogliono un Egitto forte e indipendente. Questo metterebbe, prima di tutto, in discussione il controllo militare di Washington e della Nato sulla regione, in secondo luogo, metterebbe in questione il
presente abbandono dei palestinesi alla loro sorte, infine, ridimensionerebbe il ruolo delle monarchie del Golfo e la loro egemonia sul mercato del petrolio e sul discorso islamista. Invece, continuare a sostenere la posizione degli Stati uniti in Medio oriente comporta la distruzione sistematica degli stati della regione, lo hanno fatto in Iraq e Libia, lo stanno facendo ora in Siria».
Questa crisi ha avuto inizio con l’uccisione di una figura controversa, il leader del braccio militare di Hamas, Ahmed al-Jabari. «L’uccisione a distanza è un crimine di guerra, un crimine politico, non è accettabile che uno stato si arroghi il diritto di decidere chi deve vivere
e chi morire», è l’opinione di Amin. Nonostante questo, anche Hamas sta commettendo degli
errori. «Hamas non sa come formulare e rendere credibili le sue condizioni per la tregua. Non ha contatti e capacità diplomatiche sufficienti. Non solo, non ha una macchina di propaganda all’altezza di quella israeliana», ha aggiunto con lucidità l’intellettuale egiziano. D’altra parte, il primo ministro turco, Recep Erdogan, ha accusato ieri Israele di fare «pulizia etnica» nella Striscia di Gaza. Nonostante ciò, sembra che si stia formando un asse tra Mosca, Ankara e Il Cairo con intensi colloqui e per la fine della crisi. Ma l’economista egiziano è certo che questi tentativi nascondano un vecchio sistema di potere. «La politica estera turca non è nuova nei fatti, il cambiamento è solo di facciata. Anche se ha rotto le relazioni diplomatiche con Israele (dal 2010, con il caso Mavi Marmara, ndr), Ankara è allineata con gli Stati uniti in quanto potenza della Nato». Non solo, il lancio di missili di fabbricazione iraniana da parte di Hamas ha messo in luce il tentativo di Tehran di armare il movimento palestinese. «Gli iraniani sono implicati nelle vicende di Gaza come in tutte le questioni regionali rilevanti: questa non è una novità. Non solo, i movimenti islamisti della regione cercano la vicinanza ideologica con la rivoluzione iraniana. Così come gli Stati uniti, potenza esterna alla regione, armano Israele, lo stesso fa Tehran, potenza regionale, con Hamas», conclude con ironia Samir Amin.


Il Manifesto
Internazionale, Senza fine pag.3
mercoledì 21 novembre 2012


domenica 25 novembre 2012

Elezioni presidenziali in Egitto: la rubrica settimanale


Mercoledì, 2 maggio 2012


Avviamo con questo articolo una rubrica settimanale a firma di Giuseppe Acconcia – autore per Infinito edizioni del libro dal titolo “La primavera egiziana” – in vista delle elezioni presidenziali egiziane, previste per il 23 e 24 maggio 2012, con eventuale ballottaggio il 16 e 17 giugno. Si tratta di elezioni delicatissime e storiche che abbiamo deciso di seguire con la massima attenzione grazie alla conoscenza e alla grande sensibilità giornalistica di Acconcia, che ha seguito da piazza Tahrir la primavera egiziana rischiando in prima persona.
Ci auguriamo che per la stampa e per i lettori questa breve rubrica potrà essere significativa fonte d’informazione. 
Buona lettura 

Egitto: cinque nomi per un nuovo presidente
di Giuseppe Acconcia
©Infinito edizioni 2012 – Si consente l’uso libero di questo materiale citando chiaramente la fonte

Amr Moussa contro Mohammed Mursi: a poche settimane dal primo turno delle presidenziali in Egitto si profila uno scontro tra l’ex segretario della Lega araba e il dirigente conservatore dei Fratelli musulmani. Ancora aperta tra gli islamisti è la ferita per l’eliminazione del leader carismatico di Libertà e Giustizia, Khayrat-al Shaker, mentre i salafiti sono scesi in piazza Tahrir per denunciare l’assenza di un candidato del partito religioso estremista, dopo l’esclusione di Abu Ismail per questioni procedurali.

Archiviato l’idillio del dopo rivolte tra esercito e partiti ispirati all’Islamismo politico, inizia una nuova fase repressiva dei movimenti religiosi in vista della stesura della Costituzione. È in gioco il nuovo assetto istituzionale dell’Egitto del dopo-Mubarak. Non è ancora chiara la nuova forma di governo. L’Assemblea costituente è ancora criticata dalle forze liberali che hanno lasciato i lavori per la massiccia presenza islamista. E così si va al voto senza sapere quali poteri avrà il nuovo presidente.

Non mancano outsider di pregio. Primo fra tutti Abu Fotuh, medico sessantenne espulso dalla Fratellanza musulmana per aver annunciato di voler formare un partito riformista. È l’anima “rivoluzionaria” della Fratellanza, rivolto alle politiche sociali e vicino ai giovani. In un certo senso, lo scontro impedito dalla dirigenza dei Fratelli musulmani tra progressisti e conservatori avrà luogo apertamente proprio in occasione delle presidenziali.

La seconda sorpresa potrebbe essere Ahmed Shafiq, riammesso all’ultimo momento. Shafiq, ex dirigente delle linee aeree egiziane e ultimo primo ministro scelto dall’ex presidente Hosni Mubarak, è appoggiato dai nostalgici del bandito Partito nazionale democratico (l’ex partito di Mubarak).

I giovani di piazza Tahrir credono che l’unica vittoria del movimento del 25 gennaio 2011 possa avvenire con l’elezione di Khaled Ali.

Dal Cairo, Giuseppe Acconcia (“La primavera egiziana”, Infinito edizioni, 2011, pagg. 157, € 13,00)




sabato 24 novembre 2012

Dimissione dei vertici della Bbc


GRAN BRETAGNA · Trema anche il presidente della televisione pubblica inglese

«Vogliamo la testa della Bbc»

Giuseppe Acconcia

Dopo le dimissioni del direttore generale della Bbc, George Entwistle, tremano i vertici della televisione pubblica inglese. Ieri hanno lasciato i loro incarichi anche la responsabile del settore news, Helen Boaden, e il suo vice, Stephen Mitchell. Dopo soli 54 giorni dal suo insediamento, Entwistle è stato oggetto di dure critiche per due diversi episodi di omissioni nella trasmissione di informazione serale Newsnight. Le polemiche sono divampate in seguito alla messa in onda di un servizio la sera del due novembre scorso che accusava un politico conservatore in pensione, Alistair McAlpine, di pedofilia. Politici e parlamentari Tory hanno accusato Entwistle di aver fabbricato accuse infondate, chiedendone le dimissioni immediate. Anche Iain Overton, direttore della fondazione no-profit di giornalismo investigativo ha rassegnato le sue dimissioni. Il Bureau of Investigative Journalism aveva coprodotto il servizio incriminato, andato in onda sulla Bbc. La fondazione ha annunciato che «un’ indagine per stabilire il ruolo avuto dal Bureau (guidato da Overton, ndr) è al momento in corso».
Ma a tremare ora c’è anche il presidente della Bbc, Chris Patten. In particolare, sono state sollevate dure critiche per la liquidazione riconosciuta al dimissionario Enwistle di 450 mila sterline (560 mila euro). Patten aveva difeso la decisione aggiungendo che il compenso accordato al direttore generale «è giustificato e necessario». Il presidente della Bbc ha spiegato la sua posizione in una lettera indirizzata alla commissione parlamentare cultura. Patten ha parlato di una delle notti più brutte della sua vita in riferimento all’annuncio delle dimissioni di Entwistle. «Nell’assenza dell’onorevole offerta di George di presentare le sue dimissioni, avrei chiesto al consiglio di presidenza di chiedere il suo allontanamento, cosa per fortuna che si è rivelata non necessaria» - si legge nella missiva. Ma Patten ritiene che le polemiche sulla liquidazione siano strumentali. «In quel caso, George avrebbe avuto comunque diritto ad un preavviso di dodici mensilità» - ha aggiunto il presidente dell’emittente pubblica inglese. Tuttavia, John Whittingdale, presidente della Commissione parlamentare cultura non ci sta e ha espresso critiche, insieme a deputati conservatori e laburisti, sulla decisione dell’azienda. Anche il primo ministro, David Cameron, insieme al ministro della cultura, Maria Miller, si è detto scettico sul fatto che l’ingente liquidazione di Entwistle sia «giustificabile».
Dal canto suo, Tim Davie, direttore generale ad interim della Bbc, non ha risposto ad alcuna domanda sull’argomento, interrompendo un’intervista su Skynews. In precedenza, in una lettera ai dipendenti della Bbc, Davie aveva difeso i giornalisti dimissionari, Boden e Mitchell, mentre annunciava di voler rivedere la struttura della televisione pubblica per stabilire una «chiara linea di comando» della redazione news. Nel pomeriggio di ieri, Davie, nella trasmissione di Bbc Radio 4 “The World at One” ha espresso anche l’intenzione di incontrare personalmente McAlpine per presentargli le sue scuse. Ma le gravi accuse di copertura ai dirigenti della Bbc avevano riguardato poche settimane fa anche il caso di Jimmy Savile, il dj inglese che per decenni avrebbe molestato giovani ragazze minorenni. In quell’occasione, il direttore editoriale della televisione pubblica inglese, David Jordan, venne ascoltato in un'audizione alla Commissione parlamentare cultura, media e sport dove aveva negato che ci fossero state omissioni durante la trasmissione Newsnight, andata in onda nell'ottobre del 2011. Secondo alcuni parlamentari, Jordan avrebbe continuato a difendere Savile anche dopo la conferma sulle responsabilità del dj, venute dal produttore del programma, Meirion Jones. Anche in quel caso, l’ex direttore generale della Bbc, George Entwistle, aveva dovuto affrontare le domande della Commissione parlamentare. Ma John Whittingdale, presidente della Commissione, aveva dichiarato di non essere soddisfatto delle risposte di Entwistle.
Tuttavia, a rincuorare la televisione pubblica inglese, è arrivata ieri la notizia dell’insediamento dell’ex direttore generale, Mark Thompson, alla carica di direttore esecutivo della New York Times Company. Thompson ha subito dichiarato di essere rattristato per i recenti eventi. «So che la Bbc è tra i più grandi operatori televisivi del mondo, non ho dubbi che riconquisterà la fiducia del pubblico in Gran Bretagna, per integrità e talento dei suoi dipendenti» – ha dichiarato Thompson appena insediatosi nella sede di Manhattam. Il dirigente era in carica alla Bbc quando nel dicembre 2011 l’emittente aveva censurato una puntata sulle accuse di pedofilia al presentatore Jimmy Savile. Per questo, alcuni giornalisti del New York Times, tra cui Margaret Sullivan e Joe Nocera, hanno sollevato dubbi sull'opportunità della nomina.

Il Manifesto
Internazionale, pag.8

martedì 13 novembre 2012


venerdì 23 novembre 2012

Egitto: la nuova Costituzione e il potere dell’esercito


Una delle principali critiche di decine di costituenti, movimenti liberali e attivisti laici alla nuova Carta costituzionale egiziana riguarda i poteri della giustizia militare. Chi si oppone all’indipendenza delle corti militari dalla giustizia ordinaria chiede che venga riconosciuto agli imputati in processi militari il diritto di fare appello alla giustizia civile. In più, gli attivisti spingono per la supervisione dei giudici sulle corti militari. Questa controversia cruciale dimostra come il peso dei militari nella gestione politica in Egitto sia solo apparentemente ridimensionato.

La relazione tra élite militari e politiche ha sempre corrisposto a una più o meno evidente influenza dei militari sulle istituzioni pubbliche. Infatti, il potere dell’esercito in Egitto deriva dalla commistione tra élite militare e civile. Prima, quando Gamal Abdel Nasser, diventato presidente, ha scambiato la sua uniforme militare con abiti civili. Poi, quando solo in pochi percepivano ancora l’ex presidente, Hosni Mubarak, come un militare prima delle sue dimissioni. Per questo, in occasione di scioperi e movimenti popolari, l’esercito egiziano è intervenuto per ristabilire l’ordine e cooptare nelle istituzioni pubbliche i gruppi percepiti come una minaccia alla sua autorità. E così i militari hanno operato come difensori dell’élite politica al potere facendo un uso relativamente marginale della violenza.
Non solo, i militari, come conseguenza del ritrarsi dello stato per una politica di liberalizzazione economica (infitah), hanno operato in difesa delle loro conquiste corporative. Se, da una parte, come effetto delle politiche di infitah, i militari si sono trasformati in élite imprenditoriale, dando a ufficiali, o a civili a loro connessi, ruoli di gestione economica, dall’altra, per la minaccia di guerre regionali, l’esercito egiziano ha controllato una quantità sempre maggiore di spesa pubblica e di aiuti militari internazionali. I militari egiziani sono diventati editori dei maggiori quotidiani, hanno acquisito il controllo delle industrie di produzione di prodotti per uso civile dalle lavatrici ai medicinali, al di fuori delle tradizionali industrie di armamenti e tecnologia militare.
L’esercito controlla oggi in Egitto anche industrie che producono o lavorano beni di prima necessità dal latte alla carne fino al pane. Non solo, l’esercito è impegnato nell’industria turistica con il controllo diretto di alberghi e grandi resort. Per finire, i militari sono amministratori delegati di grandi aziende private e sono coinvolti nel mercato nero e nel contrabbando. Contemporaneamente, l’esercito ha accresciuto il suo peso come attore parassitario grazie ai vantaggi accordati ai militari dall’élite politica: manodopera a basso costo, esenzioni fiscali e nelle regole per la costruzione di immobili, sussidi e privilegi monopolistici. In Egitto, come risultato delle politiche di liberalizzazione e di capitalismo clientelare, élite politiche e militari sono diventate sempre più interconnesse e mutualmente dipendenti.
In seguito alle rivolte del 2011, l’esercito egiziano ha adottato la Fratellanza musulmana come delegato per ristabilire la divisione di poteri tra politici e militari. Esistono tuttavia divisioni strutturali (gruppi paramilitari, forze speciali, polizia militare) e politiche (islamisti, salafiti, nasseristi) interne all’esercito. Questa frammentazione non necessariamente corrisponde a una minore o maggiore influenza politica dei militari, ma ha determinato, ad esempio, la cancellazione di candidati anti-sistema dalle competizioni elettorali e il sostegno a leader islamisti o nasseristi in base a calcoli di convenienza politica. Per questo, l’abbandono della gestione diretta del governo da parte della giunta militare sembra servire all’esercito per riprodurre il proprio controllo sulla società egiziana. E la nuova Costituzione non tenta fino a questo momento di porre limiti al ruolo economico, giuridico e politico dei militari.


giovedì 22 novembre 2012

Egitto contro l'attacco israeliano



STRISCIA DI SANGUE

Proteste • Venerdì di preghiera con i palestinesi a Tunisi, al Cairo e a Tehran


MEDIORIENTE · Fratelli musulmani e salafiti scendono in piazza a manifestare contro i raid

L’Egitto contro l’attacco

Giuseppe Acconcia

Due fronti hanno attraversato l’Egitto nel venerdì di protesta contro l’attacco israeliano a Gaza. Una marcia è stata organizzata e guidata dai Fratelli musulmani, che hanno chiesto ai loro sostenitori di assembrarsi intorno alle principali moschee del Cairo e Alessandria dopo la preghiera. L’altra manifestazione è invece in corso da giorni in piazza Tahrir ed è motivata dalla dura opposizione dei movimenti salafiti ad un riferimento solo generale alla sharia, la legge islamica, nella nuova Costituzione egiziana. «Con il nostro sangue e le nostre anime, sacrifichiamo tutto per te, o Palestina», è il canto inneggiato dagli uomini della Fratellanza nel percorso dalla moschea di al-Azhar verso piazza Tahrir. Hanno appena ascoltato il primo sermone del predicatore, Youssef Qaradawi, una delle guide spirituali dei Fratelli musulmani, rientrato in Egitto, dopo un esilio durato cinquant’anni e voluto dall’allora presidente, Gamal Abdel Nasser. «Per decenni, ho predicato nelle moschee più prestigiose del mondo, ma è la prima volta che parlo ad al-Azhar», ha iniziato tra la commozione dei presenti Qaradawi. «La gente di Gaza non merita di essere uccisa, Israele ha mentito per decenni», ha proseguito tra gli applausi lo sheykh, difendendo l’operato del presidente egiziano, Mohammed Morsy. Alla marcia hanno preso parte anche il leader della Fratellanza, Mohammed el-Beltagy, e il predicatore salafita, Safawat Hegazy. Negli slogan degli attivisti è echeggiata la richiesta di tagliare ogni relazione diplomatica con Israele e in favore delle manifestazioni in Siria.
Le proteste hanno raggiunto piazza Tahrir nel primo pomeriggio. Gli islamisti moderati si sono uniti così agli attivisti salafiti che per giorni hanno fatto sventolare bandiere egiziane e palestinesi, inneggiando all’applicazione della legge islamica nella legislazione ordinaria. «Il presidente Morsy è un leader illegittimo perchè non difende la sharia», ha gridato alla folla il predicatore salafita, Ahmad Ashoush, che ha poi rivolto un appello a Morsy: «Il presidente non deve accettare di governare secondo il diritto civile che consente l'uso di alcol, l'adulterio e il gioco d'azzardo». Migliaia di salafiti si sono raccolti anche intorno alla moschea Sheykh Ibrahim di Alessandria per protestare contro l’attacco israeliano a Gaza. Gli attivisti tenevano tra le braccia le immagini dei giovani palestinesi uccisi negli attacchi dei giorni scorsi. «Chiediamo al presidente di aprire il valico di Rafah», «Gaza non muore mai», «Il musulmano che si disinteressa ai problemi di un altro musulmano non è uno di noi»: si leggeva su alcuni degli striscioni tenuti in alto dalla folla.
Dal canto suo, Mohammed Morsy, ha immediatamente inviato a Gaza una delegazione guidata dal primo ministro Hesham Kandil e aperto il valico di Rafah attraverso il quale molti feriti dell’ospedale al Shifa di Gaza saranno condotti in Egitto. «Il prezzo sarà caro se l’aggressione continua», ha dichiarato Mohammed Morsy, all’uscita della preghiera del venerdì, alle porte della moschea Fatma Al-Sharbatly, nella città satellite del Cairo, Tagammu al-Qamis. «L’Egitto non è più quello di prima. Gli arabi non sono quelli di prima. Diciamo ad Israele che deve affrontare la responsabilità dei suoi atti», ha aggiunto Morsy. Il presidente è apparso quanto mai incisivo, definendo gli attacchi a Gaza «una eclatante aggressione contro l'umanità». «Non siamo dei predicatori di guerra, al contrario facciamo appello a una pace vera e non a una pace unilaterale», ha tuonato Morsy, aggiungendo che l'Egitto «è in grado di estirpare le radici dell'ostilità, così come ha estirpato le radici dell'oppressione», nell’acclamazione della folla. Durante il discorso di Morsy, i fedeli cantavano: «L’esercito di Mohammed tornerà», in riferimento a canti di battaglia storici intonati negli scontri tra musulmani ed ebrei in Arabia Saudita.
Ma lo sforzo diplomatico promosso dai Fratelli musulmani egiziani e tunisini nella Striscia di Gaza è senza precedenti. Concilianti sono state le parole del primo ministro egiziano, Hisham Kandil, in visita per tre ore a Gaza. Lo seguirà oggi, il ministro degli esteri tunisino, Rafiq Abdessalem. Alla delegazione prenderanno parte anche esponenti della presidenza della Repubblica, come annunciato dal presidente Moncef Marzouki. Il governo tunisino manderà anche ingenti aiuti umanitari alle popolazioni colpite dagli attacchi. Anche il centro di Tunisi, ieri, è stato invaso da due diverse manifestazioni. Il partito islamista moderato al governo, Ennahda, ha chiamato ad una manifestazione a sostegno dei palestinesi. La polizia ha presidiato in particolare la sinagoga di Tunisi, a La Fayette. Già giovedì le forze dell’ordine avevano represso una manifestazione di esponenti salafiti. Gli islamisti si sono dati appuntamento dopo aver ricevuto la notizia della morte si Bechir el-Kolli, uno dei giovani salafiti arrestati dopo l'assalto all'ambasciata americana di Tunisi dello scorso 14 settembre e in sciopero della fame da 58 giorni. Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza anche a Teheran per protestare contro quelli che hanno definito «crimini sionisti a Gaza». «Morte a Israele» e «morte all'America»: sono alcuni degli slogan intonati dai manifestanti. Proteste simili si sono svolte anche in altre città iraniane.

Il Manifesto
Internazionale, Striscia di sangue, pag.3
sabato 17 novembre 2012

mercoledì 21 novembre 2012

Hollywood party presenta la quinta puntata di Tre soldi



Radio 3. Hollywood party

Presentazione della quinta puntata del racconto radiofonico "Il Cairo, dalle strade della rivoluzione" su Tre soldi


Nell’ultima puntata, sono protagoniste le manifestazioni contro il film blasfemo sulla vita del profeta. Ma la resistenza creativa continua nelle immagini degli artisti egiziani che trasformano costantemente le strade e lo spazio della cultura nel luogo dell’antagonismo politico.  
Intervengono lo scrittore Alaa al-Asswani, il fumettista Mohammed Shennawi, il poeta Ahmed Foad Nigm/musiche del rapper Ahmed Mikki, the Egyptian Light Orchestra-Album Monogamy-canzone Monogamy.

Venerdì 5 ottobre 2012

http://www.youtube.com/watch?v=yXqE_0bBpL8&list=PLWT3pO9lBH7KwG7wj3tQA19NFsyv6mVox&feature=view_all

http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/PublishingBlock-1657ac75-8c02-4456-8a8d-36c50ab8c730.html
http://www.radio.rai.it/podcast/A42513320.mp3
http://stradedellest.blogspot.it/2012/10/radio-3-il-cairo-dalle-strade-della.html
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/PublishingBlock-ac474727-f802-42dc-b9cd-857fe7669e5c.html

martedì 20 novembre 2012

Gli islamisti e le fabbriche sotto controllo


EGITTO
Islamisti mettono anche le fabbriche sotto controllo

Giuseppe Acconcia 

Gli scioperi continuano in Egitto. E il ministro del lavoro e dell’immigrazione, Khaled al-Azhary, mette sotto controllo le proteste. Il ministero istituisce un osservatorio nazionale sugli scioperi, responsabile di stabilire le ragioni delle proteste e il numero dei partecipanti sul totale degli operai della fabbrica interessata. «È il tentativo dimettere sotto controllo per legge i lavoratori egiziani» - ha dichiarato al manifesto Ramy Sabry del partito comunista dei lavoratori. «I Fratelli musulmani temono più di ogni altra cosa il movimento operaio perchè mette in discussione la loro base popolare» - ha aggiunto l’attivista. 
L’osservatorio ha già monitorato scioperi in dieci città egiziane: tra cui Cairo, Alessandria, Monufiya, Damietta, Port Said e Qena. E secondo il ministro al-Azhary, l’iniziativa favorirebbe una forma di concertazione per la soluzione pacifica delle controversie sul lavoro. Gli ultimi grandi scioperi delle ceramiche Cleopatra a Suez, delle industrie del Cemento di Tora, delle miniere d’oro di Sukkari a Marsa Alam e delle fabbriche tessili di Mahalla al-Kubra erano iniziati la scorsa primavera e sono proseguiti fino al mese di luglio. Le richieste dei lavoratori vanno da contratti regolari, migliori trattamenti salariali e la partecipazione dei lavoratori ai profitti aziendali. In particolare, i lavoratori delle ceramiche Cleopatra hanno messo in atto un prolungato sit-in di protesta contro la chiusura della fabbrica. Mentre i lavoratori delle miniere di Sukkari hanno bloccato le strade intorno Marsa Alam contro il licenziamento arbitrario di 29 lavoratori. Il provvedimento del ministero del lavoro viene a pochi giorni dalla formazione del comitato interministeriale, annunciato dal ministero dell’industria e del commercio, Hatem Saleh, per la risoluzione dei conflitti tra operai e datori di lavoro. 
D’altra parte, prosegue il giro di vite tra i vertici militari egiziani. Dopo il forzato pensionamento del maresciallo Hussein Tantawi, il ministro della difesa, Abdel Fattah al-Sisi, hamandato in pensione altri tre generali. Dal canto suo, il presidente Mohammed Morsy ha annunciato i nomi dei nuovi vertici delle forze armate: il generale maggiore Abdel Moneim Ibrahim è il capo della difesa aerea, l’ammiraglio Osama al-Gendy è il comandante della marina militare e il generale Younes Hamed è il comandante delle forze aeree. 
«È così mirato il cambiamento ai vertici dell’esercito egiziano che abbiamo il sentore che i Fratelli musulmani tentino di epurare il personale militare vicino al regime di Mubarak in favore dei generali legati a doppio filo a Libertà e giustizia (partito islamista emanazione della Fratellanza, ndr)» - ci ha detto l’attivista Wael Abbas. Tuttavia, l’avvocato egiziano Mohamed Salem ha presentato un esposto contro la decisione del presidente Morsi di annullare la dichiarazione costituzionale complementare. «Dopo la cancellazione della dichiarazione costituzionale aggiuntiva, potere legislativo ed esecutivo sono nelle stesse mani: quelle del presidente Morsy. Anche se durerà per pochi mesi, sono i prodromi di una nuova dittatura» - ha concluso Abbas.



Il Manifesto
Internazionale, pag.6
sabato 18 agosto 2012

domenica 18 novembre 2012

Radio3Mondo anticipa Tre soldi



Radio 3. Radio3Mondo

Annuncio del radioracconto "Il Cairo, dalle strade della rivoluzione" su Tre soldi.

di Giuseppe Acconcia

a cura di Fabiana Carobolante con Daria Corrias e Lorenzo Pavolini


http://www.youtube.com/watch?v=yXqE_0bBpL8&list=PLWT3pO9lBH7KwG7wj3tQA19NFsyv6mVox&feature=view_all

Che la rivoluzione sia causata da disuguaglianze sociali, impennate e abbassamenti improvvisi dei prezzi o da un'ideologia politica è difficile da stabilire. Ancora più complesso è definire un movimento sociale, ancora in corso, come le rivolte egiziane scoppiate il 25 gennaio 2011. Di sicuro, per la prima volta la strada ha unito e definito le richieste di cambiamento di giovani, lavoratori, migranti e donne. Con azioni improvvise, senza una guida, ma con il vigore di chi fa della lotta quotidiana una ragione di sopravvivenza, chi vive ai margini ha messo a nudo l'ambiguità del potere, la brutalità di decenni di liberalizzazioni e misure di emergenza. Se l'esercito ferma le richieste della piazza per difendere i suoi interessi corporativi, affretta le procedure elettorali per integrare nel sistema i nuovi antagonisti politici e costruisce mura di cemento per disattivare il potenziale rivoluzionario dell'occupazione permanente dei luoghi pubblici, proprio dalle strade rinasce la necessità di una trasformazione radicale, che ripaghi i diseredati dell'assenza di diritto al lavoro, giustizia sociale e libertà di espressione. 
Il racconto di questo documentario radiofonico parte con il mio arrivo al Cairo. Si sentono i suoni dei vicoli di una città caotica, ma ricca di luoghi di pace. Tra mercati, vie, caffè turco e piatti di fave viene descritta la quotidianità di un paese in procinto di affrontare giorni straordinari. La rivoluzione si fa tra le strade non asfaltate dei quartieri popolari di Sayeda Zeinab e Abdeen, a un passo da piazza Tahrir. Le manifestazioni del 25 gennaio 2011 fino alla battaglia dei cammelli e alle dimissioni di Mubarak vengono raccontate da attivisti, blogger e gente comune. La speranza del cambiamento passa attraverso le elezioni parlamentari e politiche. Ma la giunta militare riesce a disattivare i movimenti giovanili e di sinistra, scegliendo i Fratelli musulmani per il governo del paese. A questo punto, tornano protagoniste le vie della città con festività sufi e celebrazioni rituali. I mawlid ritrovano il loro antico fascino nonostante le censure subite durante il deposto regime. Infine, il video di un film blasfemo riporta la tensione nelle strade del Cairo. Ma la resistenza creativa continua nelle immagini degli artisti egiziani che trasformano costantemente le strade e lo spazio della cultura nel luogo dell'antagonismo politico. 
Si ringraziano Abdallah Abozekry, Ahmed el-Sandabasi, Infinito edizioni, Massimo Croce, Mustafa Essam e Samuli Schielke.

Giovedì 17 settembre 2012


http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/PublishingBlock-1657ac75-8c02-4456-8a8d-36c50ab8c730.html
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-ffdfb1ac-ff05-4072-8376-4801e6596663.html#
http://stradedellest.blogspot.it/2012/10/radio-3-il-cairo-dalle-strade-della....
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/PublishingBlock-46afea43-1082-4bf9-a0c7-79f3a3a3c667.html


sabato 17 novembre 2012

Nelle mani di un bambino la scelta del papa copto



INTERNAZIONALE
EGITTO · Mentre si accende il dibattito sulla Costituzione

Nelle mani di un bambino la scelta del papa copto

Giuseppe Acconcia

Alle porte della cattedrale di San Marco, nell’ antico quartiere di Abbasseya, nel centro storico del Cairo, c’è un’atmosfera di attesa che prepara alla festa. È entrato nel vivo il digiuno di tre giorni dei copti egiziani prima della lotteria che si chiuderà domenica con l'acclamazione del 118esimo papa. Sembra ormai alle spalle il terrore di attacchi indiscriminati a luoghi di culto cristiani, che hanno infiammato i giorni degli scontri su base settaria, seguenti alle rivolte del 25 gennaio 2011. Molti dei giovani che attendono il nome della nuova guida hanno ancora negli occhi il ricordo della morte di papa Shenouda III. Il 20 marzo scorso, il suo funerale, uno dei più imponenti della storia egiziana, aveva portato migliaia di fedeli intorno alla cattedrale di San Marco. «Siamo in attesa per il risultato ma è tempo di costruire insieme ai musulmani il futuro dell’Egitto e di dimenticare le divisioni imposte strumentalmente dal potere». Sono le parole di Bishoy, giovane attivista, che non si riconosce nelle istituzioni ecclesiastiche ma fa parte del movimento che chiede giustizia per Mina Danial. Il giovane venne ucciso in un attacco delle forze militari nel massacro della televisione di stato (Maspero) del 9 ottobre 2011, insieme ad altri 27 attivisti cristiani e musulmani.
Il successore di Shenouda sarà scelto tra tre nomi: il vescovo ausiliario del Cairo, Rafael, 54 anni, medico e suo collaboratore, il vescovo di Beheira, Tawadros, braccio destro del papa ad interim Pachomios, e il più anziano, 70 anni, monaco del monastero di San Mina, padre Rafael Ava Mina. La procedura è quanto mai curiosa. Prima di tutto, si terrà una lotteria per scegliere un bambino tra dodici. In seguito, il bimbo, bendato, tra i quattro e i sette anni, sceglierà uno tra tre pezzi di carta con i nomi dei papabili, inseriti in un contenitore di vetro. Oltre due mila esponenti del clero copto hanno votato per scegliere i tre nomi che saranno sottoposti alla lotteria finale. «Il 94 per cento dei votanti ha espresso la sua preferenza. Non solo, abbiamo fatto del nostro meglio per permettere il voto dei copti espatriati» - ha dichiarato Georgette Qillini, membro del Comitato per la nomina del nuovo papa.
Ma ad accendere il dibattito politico tra le strade delle città egiziane è la campagna, avviata dai Fratelli musulmani, per spiegare al popolo la nuova costituzione. Gamal Ashry, uno dei leader della Fratellanza, ha dichiarato che l’iniziativa ha lo scopo di raccogliere gli umori della gente prima della stesura finale della carta costituzionale. Il dibattito sulla nuova costituzione coinvolge tutte le forze politiche. Settanta costituenti su cento hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si accusa la Commissione che ha redatto il testo finale della carta costituzionale di aver alterato la stesura originale di alcuni articoli.
Le principali controversie riguardano i poteri presidenziali. Prima di tutto, il dibattito si concentra sull’obbligo di nominare il primo ministro all’interno del partito di maggioranza e sulle condizioni per l’impeachment del presidente. Una seconda controversia è tra Assemblea costituente e giudici della Corte costituzionale. Secondo loro, la nuova costituzione ridurrebbe i poteri della Corte suprema, dando al presidente eletto un potere eccessivo di nomina dei suoi membri e non assicurando l’indipendenza della corte dal potere giudiziario. Ma l’accusa principale dei settanta costituenti è inerente ai poteri della giustizia militare. I firmatari vorrebbero concedere agli imputati in processi militari il diritto di fare appello alla giustizia ordinaria. E più in generale chiedono la supervisione dei giudici sulle corti militari. Una delle maggiori conquiste invece della nuova carta è l’eleggibilità di consigli locali. Ma anche in questo caso resta aperto il dibattito sui poteri di organi eletti e non eletti.
Infine, gli esponenti liberali dell’Assemblea costituente criticano gli articoli che si occupano dei diritti della donna. Secondo la nuova costituzione, in tema di uguaglianza tra uomini e donne la sharia (legge islamica) ha forza di legge, con tutte le controversie interpretative che questo comporta. E a rendere ancora più cruciale la difesa dei diritti delle donne, arrivano i dati resi noti ieri. Nei giorni dell’Eid al-Adha (festa del sacrificio), la polizia ha arrestato 172 persone con le accuse di molestie e assalti su donne al Cairo, Alessandria, Fayoum, Suez e Giza. Alcuni attivisti hanno per questo lanciato la campagna “Sono testimone di una molestia” puntando il dito contro il ministero dell’interno, accusato di non vigilare abbastanza soprattutto nei giorni di festa. Tuttavia, il primo ministro, Hesham Qandil, ha annunciato di voler inasprire la pena contro chi molesta le donne, un fenomeno che ha definito «disastroso e strano» per la società egiziana.


Il Manifesto
Internazionale, pag.6
venerdì 2 novembre 2012

venerdì 16 novembre 2012

Scontri ad Amiens




FRANCIA · Scontri ad Amiens, nel nord della Francia. 16 agenti feriti, incendiate automobili e edifici pubblici

Hollande: «La sicurezza è d’obbligo. Più fondi ai gendarmi»

Giuseppe Acconcia 


Dura risposta del presidente socialista François Hollande agli scontri di domenica e lunedì nella città di Amiens, nel nord della Francia. Scene di devastazione si scorgevano ieri mattina nel quartiere di Amiens-Nord. Alle prime luci dell’alba, come nei movimenti sociali delle banlieue parigine del 2005, c’erano automobili e palazzi pubblici incendiati: anche un asilo e un centro sportivo. «La sicurezza non è solo una priorità ma un obbligo» - ha dichiarato Hollande in visita a Pierrefeu-du-Var, nel sud della Francia, dove due donne gendarmi erano state uccise mentre erano in servizio lo scorso giugno. «Saranno messi a disposizione mezzi aggiuntivi nel prossimo bilancio per le forze dell’ordine» - ha annunciato il presidente francese.
Nei disordini di Amiens, 16 agenti di polizia sono rimasti feriti in scontri violenti con un centinaio di giovani. Le cause degli scontri sono ancora incerte. A dare il via alle violenze sono bastati alterchi tra polizia e abitanti del quartiere dopo l’arresto per guida pericolosa di un uomo, durante il funerale di un giovane motociclista. I familiari e gli amici della vittima avevano accolto l’arresto come un atto di provocazione della polizia.
Secondo la prefettura di Somme, distretto della Piccardia in cui si trova Amiens, gli scontri hanno avuto inizio la sera di lunedì, quando «la polizia è stata attaccata mentre cercava di mettere in sicurezza il quartiere» dopo le scaramucce del giorno precedente. A quel punto, ha avuto inizio una sassaiola tra giovani di Amiens-Nord e poliziotti, che hanno risposto con il lancio di lacrimogeni. Gli scontri sono andati avanti per tre ore. Nel frattempo, alcuni giovani hanno eretto barricate con oggetti dismessi. «Lo stato farà tutto il possibile per combattere queste violenze» - ha commentato il ministro dell’interno, Manuel Valls, in visita ad Amiens. Ilministro ha definito inaccettabile che «vengano attaccati poliziotti, si brucino beni pubblici indispensabili alla popolazione in quartieri popolari e si semini il terrore». 
Valls aveva autorizzato all’inizio dell’estate lo smantellamento di vari campi rom in Francia. Nei giorni scorsi, il più grande campo rom di Parigi, nel nord della città, ed altri due campi alla periferia di Lille erano stati smantellati sollevando reazioni indignate della società civile francese. Tuttavia, secondo l’Istituto di opinione e servizi alle imprese (Ifop), l'80% dei francesi approverebbe gli smantellamenti dei campi illegali di rom effettuati negli ultimi giorni dalle forze dell'ordine. Mail 73% degli intervistati ritiene che «non si tratta di una misura efficace» per risolvere la questione. La stessa campagna nel 2005 promossa dall’ex presidente, Nicholas Sarkozy, aveva suscitato lo sdegno di attivisti e associazioni. Gli incidenti di Amiens mettono a dura prova il presidente Hollande, dopo 100 giorni dalla sua elezione, mentre il paese attraversa una grave crisi sociale, economica e occupazionale.

Il Manifesto
Internazionale, pag.7
mercoledì 15 agosto 2012

giovedì 15 novembre 2012

Egitto chiusa Tv



Egitto / EPURAZIONI E MINACCE NEI GIORNALI, CHIUSA UNA TV
Il governo islamista mette le mani sui media

Giuseppe Acconcia 

I Fratelli musulmani mettono le mani sui media. Circolano da tempo al Cairo liste di proscrizione per testate e  giornalisti contrari al presidente Morsy. Il quotidiano Masry al-youm parla di «stampa nera» in riferimento ai giornali e alle tv locali che, secondo la Fratellanza, «diffondono bugie» sul presidente con lo scopo di «riprodurre il vecchio regime». L’opposizione è in allarme: «Era da prevedere che, una volta al governo, gli islamisti si sarebbero comportati in questo modo con i giornalisti  critici e indipendenti», ha dichiarato l’attivista, più volte imprigionato,Wael Abbas. «L’unico cambiamento che Morsy e i suoi accoliti perseguono è chiudere i media critici con i fratelli musulmani per un controllo integrale del sistema dell’informazione».
Dalle parole ai fatti. In una settimana si registrano almeno tre gravi attacchi alla libertà di stampa. Nel quotidiano filo-governativo al-Akhbar gli editoriali dei giornalisti Ibrahim Abdel Meguid e Youssef el-Qaeed sono stati espulsi dalle pagine del giornale. Lo scorso sabato inoltre le forze dell’ordine hanno fatto irruzione negli uffici del quotidiano al-Dostour, confiscando le ultime pubblicazioni del giornale. - mentre la magistratura ha avviato un’inchiesta contro il quotidiano liberale, vicino al partito al-Wafd, per insulti al presidente. «Se i Fratelli musulmani non potevano che accettare le critiche, negli anni in cui erano all’opposizione, ora si rivolgono contro la stampa che li attacca apertamente», dice ancora Abbas. Sulla prima pagina di al-Dostour lo scorso sabato un lungo editoriale accusava la Fratellanza di voler trasformare l’Egitto in un «emirato».
Di pochi giorni fa è invece il provvedimento di chiusura della tv satellitare al-Faraeen. Uno degli ospiti dell’emittente, Tawfiq Okasha è stato accusato di incitamento all’«assassinio di Morsy»: l’opinionista aveva  definito Morsy un presidente non legittimamente eletto. In realtà, il canale televisivo continuava a fare propaganda in favore dell’ex presidente Hosni Mubarak, condannato all’ergastolo. Il ministro dell’informazione Hani Mahmoud, in quota al partito Libertà e giustizia (braccio politico dei Fratelli musulmani) ha difeso i provvedimenti puntando sulla distinzione tra libertà d’informazione e incitamento alla violenza. La magistratura ha poi disposto il divieto di espatrio per Tawfiq Okasha e per il direttore di al-Dostour, Ibrahim Eissa.
Come se non bastasse, lo scorso giovedì, centinaia di attivisti vicini ai Fratelli musulmani avevano protestato contro trasmissioni televisive critiche verso Morsy all’ingresso del Centro di produzione televisivo, nella città satellite «6 ottobre». I manifestanti avevano attaccato alcuni giornalisti di opposizione. E proprio in questi giorni la commissione per i diritti e le libertà dell’Assemblea costituente sta scrivendo gli articoli della nuova Costituzione in merito alla stampa. «La Fratellanza vuole che il Parlamento controlli la televisione di stato in modo da epurarla dagli esponenti a del Partito nazionale democratico e portarla sotto il controllo di Libertà e giustizia», commenta Salah Issa, del sindacato egiziano dei giornalisti. 

Con gli attacchi alla libertà di stampa il governo egiziano tenta di mettere le mani sull’intero sistema di media pubblici, quotidiani e agenzie. Abdel Naser Salama è stato nominato nuovo direttore del più antico quotidiano egiziano, Al-Ahram, mentre Mohmmed Hassan Al-Banna dirigerà il quotidiano Akhbar al-Youm. Cambi ai vertici anche dell’agenzia di stampa Mena e di Rose al-Yousef. E così,Mohammed Morsy, dopo aver nominato i nuovi vertici del Consiglio supremo delle forze armate e cancellato la dichiarazione costituzionale aggiuntiva, prepara la scalata islamista alla stampa egiziana con non poche conseguenze sulla libertà di espressione.

Il Manifesto
Internazionale, pag.7
venerdì 17 agosto 2012