sabato 10 agosto 2013

Palestina, Esecuzioni mirate



DOVE È LA PACE

Palestina • Lo storico israeliano Ilan Pappè al manifesto: «L’accordo tra Hamas e Netanyahu è fragile, le incognite sono la nuova Siria e il nuovo Egitto»


ESECUZIONI MIRATE
Uccisi tre giornalisti palestinesi. B’tselem: «Siamo in pericolo»


Giuseppe Acconcia
«Nonostante la tregua, siamo terrorizzati su quello che può accadere nelle prossime ore alla popolazione palestinese», è quanto dichiara in un’intervista al manifesto, Yael Stein, il direttore del dipartimento ricerca dell’istituto israeliano d’informazione e centro per i diritti umani, B’tselem. «E se l’embargo su Gaza prosegue, i cittadini della Striscia non potranno continuare a lavorare e la mobilità con la Cisgiordania non sarà garantita. Per questo chiediamo la fine dell’assedio di Gaza», prosegue Stein.
D’altra parte, il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, ha salutato positivamente il cessate il fuoco entrato in vigore tra Israele e i gruppi palestinesi, Hamas e Jihad islamica.Ma più in generale, in merito al tentativo del presidente dell’Anp di promuovere il dialogo tra le due fazioni palestinesi, Fatah e Hamas, la ricercatrice assicura che «la priorità in questo momento è la fine del conflitto e l’allentamento del blocco di Gaza. Secondo Hamas, bombardare Israele è un atto legale per arrivare al riconoscimento della legittimità dei suoi obiettivi. Noi crediamo che si possa arrivare ad una soluzione della crisi senza uccidere civili», prosegue la ricercatrice di B’tselem.
Anche il segretario generale delle Nazioni unite, Ban ki-Moon, ha detto di voler appoggiare il tentativo di Abu Mazen. Dal canto suo, nel festeggiare l’annuncio della tregua, il leader di Hamas, Khaled Meshal, ha assicurato che Israele ha fallito i suoi obiettivi, di interpretare la volontà del popolo palestinese con azioni di resistenza contro gli attacchi israeliani e ha chiesto la fine dell’embargo su Gaza. Ma qual è stata la reazione della Cisgiordania agli attacchi a Gaza? «In questi giorni in Cisgiordania ci sono state continue manifestazioni contro gli attacchi israeliani», ricorda Yael Stein, in riferimento alle manifestazioni di piazza al-Manara a Ramallah avute luogo anche ieri contro l’uso massiccio della forza voluto da Israele. «Il nostro primo motivo di preoccupazione riguarda il numero di civili palestinesi che muoiono ogni giorno negli scontri. Questi dati sono impressionanti e aumentano costantemente a prescindere dall’attacco israeliano in corso».
Secondo un report realizzato da Phan Nguyen, ricercatore dell’istituto indipendente con sede a Washington, Jadaliyya, i numeri dietro il lancio di missili da parte di Hamas, forniti da Israele sono completamente fuorvianti. Nell’articolo si cita il periodo che va tra il 2006 e il 2011. In quel caso, gli israeliani rimaste vittima di missili palestinesi vanno da nove a quindici per anno, mentre i dati forniti dall’esercito israeliano sono molto più alti. «Il tasso di uccisione dei lanci da Gaza è pari allo 0,2%. L’esercito israeliano trucca e esagera i numeri», si legge in conclusione del report. Come se non bastasse, nel mirino degli attacchi israeliani su Gaza ci sono anche i giornalisti. Nei giorni scorsi, sono stati uccisi nei raid due cameraman della tv Al Aqsa, gestita da Hamas, e un reporter di una radio privata. I cameraman sono morti in prossimità dell'ospedale al-Shifa di Gaza, mentre si recavano lì per realizzare un servizio. Un appello urgente per la protezione dei giornalisti è stato indirizzato ad Israele e all'Autorità palestinese dall'Associazione della Stampa estera (Fpa), dopo che nei giorni scorsi le sedi di diverse redazioni a Gaza hanno avvertito esplosioni ravvicinate. «Negli ultimi giorni Israele ha colpito alcuni edifici che ospitano organizzazioni stampa internazionali, mentre miliziani palestinesi hanno sparato razzi da postazioni vicine», si legge nel documento della Fpa.


Il Manifesto
Internazionale, Dove è la pace, pag.3
giovedì 22 novembre 2012

Mani, 21.11.12, Gaza Egitto, I mediatori pensavano di avere l'accordo in tasca



SENZA DIFESA

Tregua • Hamas e Egitto la annunciano, Israele frena. Ma l’intesa non c’è ancora. Hillary Clinton arriva oggi a Gerusalemme

I mediatori pensavano di avere l’accordo in tasca
Giuseppe Acconcia

I mediatori egiziani avrebbero la tregua in tasca. Tra annunci e smentite, Hamas era già pronta a festeggiare ieri sera al Cairo. «Abbiamo impartito una lezione al nemico sionista», si leggeva in un documento del movimento palestinese che governa la Striscia di Gaza. «Il cessate il fuoco è una vittoria di Hamas e delle Brigate Qassam», continuava il testo. Ma l’attesa tregua tra Hamas, la Jihad islamica, Israele con il sigillo del segretario generale della Lega araba, Ban ki-Moon, e la benedizione egiziana, alla fine non c’è stata.

Nel pomeriggio di ieri, dopo aver preso parte ai funerali della sorella al Cairo, il presidente egiziano, Mohammed Morsy ha annunciato che «gli sforzi per arrivare a un tregua tra israeliani e palestinesi» avrebbero prodotto risultati positivi in poche ore. Morsy ha assicurato poi che «l'assurda aggressione israeliana contro Gaza» si sarebbe conclusa in tempi brevi. Ma, il primo a frenare su un’ipotesi di un raggiungimento frettoloso della tregua è stato Nabil el-Araby, segretario generale della Lega araba. «La tregua non metterebbe fine alla crisi perché sarà violata», ha previsto il diplomatico. 
I primi a mettere a tacere la speranza dell’accordo per una tregua sono state le autorità israeliane che hanno deriso i proclami trionfalistici di Hamas e avvertito sulle reali possibilità di un cessate il fuoco imminente. Negoziati serrati erano andati avanti al Cairo per tutta la giornata di ieri e proseguiranno nella giornata di oggi. Secondo il portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, si attenderebbe soltanto il via libera israeliano alla proposta, raggiunta attraverso la mediazione egiziana.
E così gli sforzi diplomatici proseguono, il segretario di stato, Hilary Clinton, è arrivata ieri sera in missione a Tel Aviv per incontrare il premier israeliano, Benjamin Netanyanu. Clinton si reca nella giornata di oggi anche a Gerusalemme, Ramallah e al Cairo. Secondo fonti del governo americano, il presidente, Barack Obama, vorrebbe evitare un attacco terrestre da parte di Israele, pur difendendo il diritto israeliano di decidere in materia di sicurezza nazionale. Mentre Catherine Ashton, rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, si è detta timorosa per una possibile ripresa delle ostilità nonostante la tregua. Sempre più dura, invece, è la presa di posizione di Tehran in merito alla crisi tra Hamas e governo israeliano. Il portavoce del ministero degli esteri iraniano, Ramin Mehmanparast, ha ribadito che Israele dovrebbe essere processato per «crimini di guerra».


Il Manifesto
Internazionale, Senza fine pag.3
mercoledì 21 novembre 2012

mercoledì 3 luglio 2013

Nena news - Morsy riprodurrà modello capitalistico, 26.06.2012



EGITTO

Morsy riprodurrà modello capitalistico

Parla SAMIR AMIN, celebre economista egiziano e direttore del Forum del Terzo Mondo. «La vittoria di Morsy - spiega - non è il cambiamento, ribadira' il dominio di classe"

venerdì 29 giugno 2012

di Giuseppe Acconcia*
Roma, 29 giugno 2012, Nena News - «Le elezioni sono state falsificate sin dal primo turno». Samir Amin, direttore del Forum del Terzo Mondo, non ha dubbi: «la vittoria dei Fratelli musulmani non è un passo verso il cambiamento, ma la riproduzione del sistema capitalistico». Cosa intende per elezioni falsificate? «L'esercito aveva aiutato Ahmed Shafiq a passare il primo turno fabbricando 900 mila voti. Questo ha impedito ad Hamdin Sabbahi di partecipare al secondo turno. L'eliminazione di Sabbahi, nasserista di sinistra, non comunista ma non anti-comunista, è stata essenziale. Era l'unico candidato scomodo. Insieme a Aboul Fotuh, entrambi avevano raggiunto quasi il 50%. Per questo tutto il processo di democratizzazione è una farsa», spiega Samir Amin in un'intervista al manifesto. A quel punto si è temuta una repressione su ampia scala in caso di vittoria di Shafiq. «È stato necessario il lungo negoziato, durato 8 giorni, tra Fratelli musulmani ed esercito, con evidenti pressioni degli Stati uniti a favore di Mohammed Morsy. Tuttavia, Shafiq non si sarebbe comportato come un secondo Mubarak. Anzi, avrebbe provato a serrare le fila all'interno dell'esercito», aggiunge l'economista.


Non solo la farsa ma anche la beffa, secondo il filosofo egiziano. Alla Fratellanza conviene ora lo stato di estrema disuguaglianza sociale in cui versa l'Egitto. «I Fratelli musulmani sono i primi beneficiari della povertà degli egiziani. Tutte le conquiste di Gamal Abdel Nasser sono state smantellate da Anwar al-Sadat e Hosni Mubarak. L'Egitto, il Nord Africa e il Medio Oriente, con la piccola eccezione dell'Algeria e in parte della Siria, sono sottomessi al neo-liberismo. Questo ha determinato un impoverimento crescente della popolazione. Tanto che i dati sullo sviluppo economico in Egitto, forniti dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale, negli ultimi dieci anni sono stati largamente falsificati. Tuttavia, gli effetti della globalizzazione nel terzo mondo cambiano da paese a paese in relazione ai diversi gradi di capitalismo di stato imposti dalle elite locali, che operano secondo logiche di consociativismo nazionale», spiega Samir Amin.

In altre parole è il sottoproletariato a tenere in vita la fratellanza? «Il lumpen proletariato serve ai paesi del Golfo e all'Egitto. Attraverso il controllo sull'economia informale, i Fratelli musulmani forniscono mezzi di sopravvivenza a oltre la metà della popolazione egiziana. La loro ideologia politica legittima questa miserabile economia di mercato che favorirà la formazione di un sistema assistenziale che renda la società egiziana ancor più dipendente dallo stato», prosegue l'economista. A questo proposito, il parallelo con il sistema delle fondazioni iraniane diventa interessante. «I poveri per strada, che pure hanno fatto la rivoluzione, vengono facilmente manipolati. Con la distribuzione sistematica di cartoni di carne, olio e zucchero, i Fratelli musulmani hanno già comprato migliaia di voti. Se un uomo volesse una vettura per fare il tassista, gli basterebbe rivolgersi a un militante della fratellanza per aver un prestito. Questi meccanismi hanno permesso ai Fratelli musulmani di radicarsi nella società. Continueranno ad operare con questa logica quando controlleranno le istituzioni pubbliche».Ma questo non basta a spiegare il successo islamista. «Chi ha permesso che i fratelli musulmani riproducessero il sistema di benefici è l'alleanza con il Golfo, con Washington e Israele. Questi paesi hanno come unico scopo impedire la ripresa dell'Egitto. Un Egitto forte significa la fine dell'egemonia del Golfo, che approfitta dell'islamizzazione della società, degli Stati uniti, che approfittano di un paese impoverito, di Israele, che vuole un Egitto impotente che lasci fare in Palestina», spiega Amin.

D'altra parte, non c'è stato un grande successo islamista a queste elezioni politiche. «Rispetto alle loro attese e ai voti presi alle elezioni parlamentari, il 25% ottenuto da Morsy al primo turno non è grande cosa. La liberalizzazione del discorso politico inevitabilmente ridimensionerà il movimento islamista. 

I Fratelli musulmani sono un movimento ultrareazionario, in aggiunta islamista. Non sono mai entrati in conflitto con l'esercito. Anzi esercito e Fratelli musulmani sono i due pilastri del sistema reazionario. Nell'era di Sadat e di Mubarak l'ultima parola nelle decisioni rilevanti è sempre stata data all'esercito, mentre i Fratelli musulmani erano impegnati a gestire il sistema scolastico, sanitario e dell'informazione. Dopo la rivoluzione del 2011, l'esercito ha sperato che i Fratelli musulmani si discreditassero da soli agli occhi della gente», spiega il filosofo egiziano.

In verità, i Fratelli musulmani, nei primi mesi di attività parlamentare non hanno di certo brillato per iniziativa politica. «Il Parlamento non è stato eletto correttamente. Anche in questo caso i fratelli musulmani hanno falsificato il voto conquistando la maggioranza assoluta alla Camera. Se i giudici avessero voluto avrebbero potuto sciogliere la Camera all'indomani delle elezioni. È vero che l'attività parlamentare di Libertà e giustizia è lontana dai mali del paese. Solo il 40% dei deputati, vicini alle forze secolari, ha posto all'ordine del giorno problemi reali inerenti la scuola e i salari. I Fratelli musulmani preferiscono lasciar fare al mercato e agli interessi dei privati, mentre si occupano della lunghezza della barba».

Samir Amin fa qui riferimento anche ad una controversa proposta di legge presentata in Parlamento sulla disponibilità da parte del marito del corpo di sua moglie nelle ore seguenti al decesso. Ma molti parlamentari della fratellanza hanno negato di aver mai presentato questo progetto di legge. Ma l'alternativa rivoluzionaria è ora quanto mai inconsistente. «Il principale successo dei Fratelli musulmani è stato di dividere il movimento rivoluzionario. Chi dei giovani ora è con la fratellanza lo fa per spontaneismo. Credono che in questo modo verranno presi in considerazione. Sono poco coscienti della natura delle sfide future: uscire dalla sottoproletarizzazione della società, la democratizzazione come una possibilità di progresso popolare, l'onore nazionale per una politica estera indipendente», spiega il direttore del Forum del Terzo mondo con sede a Dakar.

«Questo non significa che non esista una coscienza politica forte tra i movimenti dai socialisti ai sindacalisti, dagli operai ai contadini e ai movimenti per i diritti delle donne. In verità, il vero movimento rivoluzionario non ha mai avuto fretta di andare alle elezioni. Tuttavia figure come Mohammed el-Baradei credono che le questioni economiche possano essere messe in secondo piano. Tra i rivoluzionari ha voce chi ha meno fiducia in un cambiamento radicale», ammette Samir Amin.

In questo contesto, l'Assemblea costituente lavora per scrivere la nuova costituzione. «Con un percorso costruito da esercito e fratellanza, la nuova Costituzione sarà pessima, impedirà al paese di essere democratico. Per ora la dichiarazione costituzionale complementare dà all'esercito un posto di potere unico. A questo punto, Libertà e giustizia pretenderà di essere il solo partito a gestire l'Egitto, relegando anche l'esercito in secondo piano», conclude con lucidità Amin. Nena News

*Giornalista, ricercatore. Questa intervista a Samir Amin è stata pubblicata il 26 giugno 2012 dal quotidiano Il Manifesto


giovedì 9 maggio 2013

Lo scandalo Savile travolge la Bbc e i suoi dirigenti


INTERNAZIONALE

GRAN BRETAGNA

Lo scandalo Savile travolge la Bbc e i suoi dirigenti

Giuseppe Acconcia
Lo scandalo Savile si estende a macchia d'olio. E coinvolge i dirigenti della Bbc, accusati di aver coperto il popolare dj britannico, scomparso nel 2011 a 84 anni. Jimmy Savile avrebbe molestato, per decenni, centinaia di ragazze, anche minorenni. E le rivelazioni sugli abusi si sono arricchite di particolari inquietanti, confermati dai rilevamenti degli investigatori nell'ospedale di Leeds, dove Savile è stato per anni portantino volontario. Secondo Terry Pratt, suo collega nell'infermeria del Yorkshire, lo showman occupava le sale destinate alla chirurgia per abusare di due giovani per volta. Non solo, secondo altre testimonianze, il dj sfruttava l'accesso libero per portare giovani e bambine all'interno del nosocomio. «Veniva alle due di notte, due volte a settimana, con due ragazze tra le braccia e occupava i letti liberi» - ha denunciato Pratt. Tra le pazienti molestate, secondo l'infermiera June Thornton, anche ragazze con problemi psichiatrici.
In principio, erano in cinque ad accusare Savile di molestie in un documentario, trasmesso dalla rete privata ITV. Le rivelazioni hanno creato uno scandalo tale in Gran bretagna, costringendo Scotland Yard ad aprire un'inchiesta che si allarga per coperture e complicità tra registi, cameramen e dirigenti della televisione pubblica, che ora ad inchiodare Savile ci sono oltre 300 denunce di molestie. Non solo, nei giorni scorsi, dagli archivi della Bbc, è emerso un video di “Top of the pops” del 1976 che mostra Sylvia Edwards, allora 19enne, mentre subisce molestie da parte di Savile. Per ora, il primo a pagarne le spese con l’arresto è stato il cantante glam, e amico di Savile, Gary Glitter. Rilasciato su cauzione, Glitter aveva già passato quattro mesi in carcere negli anni novanta per detenzione di materiale pedopornografico ed è stato espulso dalla Cambogia nel 2002 per abuso su minori.

Ma le gravi accuse di aver coperto il caso Savile vengono mosse ai dirigenti della Bbc. Il direttore editoriale, David Jordan, in un'audizione alla Commissione parlamentare cultura, media e sport ha negato che ci siano state omissioni sulla natura delle indagini nel caso Savile durante la trasmissione Newsnight, andata in onda nell'ottobre del 2011. Secondo alcuni parlamentari, Jordan avrebbe continuato a difendere Savile anche dopo la conferma sulle responsabilità del dj, venute dal produttore del programma, Meirion Jones.

Lo stesso direttore generale della Bbc, George Entwistle, ha dovuto affrontare le domande della Commissione parlamentare. Entwistle ha presentato le sue «scuse profonde e sincere» alle vittime. Ma John Whittingdale, presidente della Commissione, ha dichiarato che Entwistle ha ancora molto da chiarire.
Come se non bastasse, la polizia inglese e la Bbc devono fare luce sul supposto suicidio di un giornalista, che aveva accusato di molestie un’ annunciatrice. La televisione pubblica ha nominato un investigatore esterno per stabilire se le denunce del reporter, Russell Joslin abbiano determinato in qualche modo la sua morte. Mentre Londra si interroga sulla moralità dei personaggi televisivi degli anni ottanta e il loro rapporto con il pubblico, il premio per la libertà di Scarborough, attribuito al presunto molestatore nel villaggio dello Yorkshire, dove l'eccentrico Savile viveva prima della sua morte, verrà sospeso la prossima settimana.



Il Manifesto
Internazionale, pag.6
giovedì 1 novembre 2012

domenica 21 aprile 2013

Zarwan: "Morsi ha cancellato la magistratura"


INTERNAZIONALE
INTERVISTA/ ICG: «Morsy ha cancellato la magistratura»
Il decreto è un grave errore politico

Ma l’opposizione è divisa e fragile
«L’Egitto tocca i nodi del rapporto tra stato e religione, in un clima di continua radicalizzazione dell’islamismo politico». «Morsy dialoga con Hamas, ma non cambia nulla nella politica estera egiziana»
Giuseppe Acconcia
«Morsy ha commesso un errore politico, il più grave dall’inizio della sua presidenza», assicura in un’intervista al manifesto, Elijah Zarwan, analista dell’istituto di ricerca indipendente International Crisis Group (ICG). «Chi, fino a questo momento, ha dato il beneficio del dubbio al presidente, ora lo percepisce come un autocrate. Ma Morsy sa di aver bisogno anche di parte dell’opposizione per mettere in atto la sua agenda che non è esclusivamente islamista», prosegue Zarwan commentando la dichiarazione costituzionale emessa dalla presidenza della repubblica lo scorso giovedì. «Con questo atto è stata annullata l’indipendenza della magistratura egiziana. Con la rimozione del procuratore generale del Cairo, Morsy ha messo fine al potere dei giudici egiziani.Ma, a differenza dei militari, la magistratura ha fatto quadrato e si sta opponendo duramente alla decisione del presidente», spiega il ricercatore. D’altra parte, l’esercito continua a difendere i suoi interessi corporativi in Egitto e non sembra che la nuova costituzione li intacchi. «Dopo la rimozione di Tantawi e Anan (leader della giunta militare, ndr) non c’è stata alcuna reazione degli ufficiali perché il controllo dei militari sull’economia egiziana e i privilegi dell’esercito non sono stati toccati, mentre ora è in gioco il potere giudiziario e la reazione è ben diversa», spiega Zarwan. 
Sulla carta Morsy chiede la fiducia dei suoi sostenitori e di tutto il popolo egiziano per realizzare gli obiettivi rivoluzionari, ma in realtà acquisisce i poteri di un autocrate. «Quando pensavano che la chiave del potere fosse controllare il parlamento, i Fratelli musulmani lo hanno difeso. Ora che controllano la presidenza, vogliono trarre ogni vantaggio dal potere conquistato. Senza parlamento (sciolto con una sentenza della corte costituzionale lo scorso giugno, ndr) è la presidenza a decidere tutto.Ma il vero punto è la nuova costituzione», aggiunge Zarwan. È l’intero impianto della costituzione ad essere criticabile, dai poteri presidenziali al peso della religione nella carta costituzionale. Hanno finito per scrivere una costituzione islamista. I Fratelli musulmani vogliono presentarsi come rivoluzionari con legittimità democratica, ma non sono altro che un movimento conservatore sotto ogni aspetto, interessati a favorire gli investimenti esteri. Non solo, il dibattito interno alla Fratellanza è estremamente mal visto.Non noto mai divisioni nelle assemblee o segni di crisi interna. Quando ero ieri in piazza Tahrir tra i sostenitori della Fratellanza ho visto la loro aggressività nel confrontarsi con attiviste donne non velate. E questa radicalizzazione del discorso politico islamista avviene in un momento di grande dibattito in Egitto. Quando davvero si toccano i nodi della corretta comprensione della religione e del ruolo della religione nello stato. Per questo,mi attendevo che Morsy ampliasse i suoi poteri, ma pensavo lo facesse costruendo il consenso con le parti. In questo modo, sta occupando le istituzioni pubbliche senza controlli e con movimenti di piazza relativamente irrilevamenti. Ieri non era il 25 gennaio 2011 (giorno di inizio delle rivolte in Egitto, ndr)», aggiunge con ironia Zarwan.

D’altra parte, le condizioni sul campo per un dialogo tra forze politiche sono deteriorate? «L’opposizione serve agli islamisti per approvare le necessarie riforme economiche e soprattutto per completare la scrittura della nuova costituzione», completa il ricercatore dell’ICG. «L’opposizione laica dovrebbe forzare Morsy a ricominciare il percorso costituzionale da zero. Ma la possibilità di compromesso è ora minima. Entrambe le parti degenerano nella controversia continua, limitando le reciproche possibilità di manovra».Mai Fratelli musulmani hanno senz’altro ottenuto un successo mediatico, favorendo il raggiungimento della tregua dalle ostilità a Gaza. «Morsy ha saputo discutere con Hamas ed il solo fatto di aver inviato il primo ministro, Hesham Qandil, a Gaza mentre erano in corso i bombardamenti rende chiaro quanto abbia rotto con la tradizionale politica di Mubarak. Di certo, però, gli interessi nazionali e, prima di tutto, l’alleanza con gli Stati uniti, così come la necessità di ottenere un nuovo prestito dal Fondo monetario internazionale non vengono messi in discussione dalla nuova leadership egiziana», conclude Elijah Zarwan.


Il Manifesto
Internazionale, pag. 4
domenica 25 novembre 2012





venerdì 19 aprile 2013

Intervista a Ilan Pappè



Rainews 24
Rassegna stampa
Il Manifesto
Intervista a Ilan Pappè
«Solo una pausa della guerra»
Internazionale, Dove è la pace
giovedì 22 novembre 2012

lunedì 15 aprile 2013

Washington: «Il voto allontana la pace»


LA PALESTINA C’È
DIPLOMAZIA · Il sì di Francia e Spagna. E alla fine anche dell’Italia


Washington: «Il voto allontana la pace»


Giuseppe Acconcia
Sono forse oltre 150 su 193 i «sì» per il riconoscimento della Palestina come stato non membro delle Nazioni unite. Tra i favorevoli, ci sono i paesi del nord Europa. Ma a sorpresa ieri, insieme a Francia e Spagna, è arrivato il «sì» anche dell’Italia. Dalla Russia alla Cina, dal Brasile all’India: i paesi emergenti sostengono la richiesta palestinese. Si astengono invece Germania e Gran Bretagna, che lo aveva già fatto in occasione del riconoscimento dello stato di Israele nel 1948. Dall’altra parte, l’asse del «no» allinea Stati uniti, Israele e Canada.
«Un momento di unità della comunità internazionale per rilanciare l processo di pace», ha definito il voto della notte il ministro degli esteri, Giulio Terzi. «Abbiamo lavorato a fondo - ha ribadito Terzi - per permettere che nascano le condizioni per una riapertura dei negoziati fra israeliani e palestinesi senza condizioni e che ci siano anche garanzie per la sicurezza di Israele, da un lato, per lo sviluppo economico e per il consolidamento istituzionale dell'Autorità palestinese, dall’altro», ha commentato Terzi. E così, sono arrivati i ringraziamenti al premier, Mario Monti, e al presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, da parte di Abu Mazen, presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), in merito alla decisione del governo italiano di dare il proprio assenso alla risoluzione per la Palestina. Tuttavia, i partiti di centro-destra in Italia hanno criticato la decisione del governo, avvertita come in disconuità con le politiche di vicinanza ad Israele dei governi Berlusconi. Anche la comunità ebraica italiana non ci sta. «Una doccia fredda», ha definito la decisione del governo italiano il presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici. 
Come le autorità israeliane, anche gli Stati uniti ridimensionano la portata del voto. «Nessuno deve illudersi che questa risoluzione produrrà i risultati che i palestinesi dicono di cercare, e cioè avere il loro stato che viva in pace con Israele», ha detto Victoria Nuland, portavoce del dipartimento di Stato. Una delle principali preoccupazioni delle autorità americane è che la Palestina possa usare il suo status per entrare a far parte della Corte penale internazionale. 
«È il passo più importante verso la pace dal 1948. Da questo momento la comunità internazionale è costretta a cambiare atteggiamento sulla questione palestinese. Le posizioni di Italia, Francia e Spagna hanno costruito un consenso generale nel contesto delle rivolte arabe», ha spiegato almanifesto, Gilles Kepel, docente dell’università Sciences-po di Parigi. «L’obiettivo degli Stati uniti nella crisi di Gaza è stata di indebolire la componente di Hamas vicina all’Iran. L’attacco a Gaza e la tregua seguente hanno così rafforzato la componente di Hamas favorevole all’accordo con Fatah, (movimento guidato da Abu Mazen, ndr)».
In merito al ruolo egiziano per favorire il dialogo per l’unità nazionale palestinese, Kepel ha aggiunto: «Morsi ha proposto agli Stati uniti di gestire Hamas dialogando con la componente moderata, sunnita vicina ai Fratelli musulmani, guidata dal premier Ismail Haniye, mentre ha marginalizzato la componente filo-iraniana, vicina a Khaled Meshaal. In questo contesto, il presidente Morsi è costretto dalla gravissima crisi economica a scendere continuamente a patti con gli Stati uniti. E così gli israeliani per parlare con Hamas ora chiamano Morsi». A confermare l’assoluta identità di visioni tra la presidenza americana e i Fratelli musulmani egiziani sul conflitto israelo-palestinese sono arrivati gli elogi di Morsi al presidente Barack Obama in un’intervista al Times. «Le sue intenzioni coincidono con i fatti», ha detto il presidente egiziano, Morsi.

Il Manifesto
La Palestina c'è, pag. 3
venerdì 30 novembre 2012

venerdì 12 aprile 2013

Egitto, giudici contro Morsy


INTERNAZIONALE

EGITTO · Non si placa l’ondata di proteste contro il decreto presidenziale che colpisce l’indipendenza della magistratura
I giudici insorgono contro Morsy


Continua il sit-in di piazza Tahrir. I magistrati: decisione «senza precedenti»


Giuseppe Acconcia
Lo scontro tra chi sostiene e chi si oppone al presidente Morsy si è spostato da piazza Tahrir alle porte del palazzo di giustizia tra via 26 luglio e via Ramsis, uno degli incroci più congestionati del Cairo. Un gruppo di giovani liberali e giudici gridavano la loro opposizione al decreto presidenziale, quando alcuni simpatizzanti di Libertà e giustizia, partito politico della Fratellanza, hanno iniziato ad urlare «A morte Abdel Maguid», l’ex procuratore generale silurato da Morsy. È iniziato così il lancio di lacrimogeni da parte di uomini in abiti civili: una scena che ormai si ripete da giorni al Cairo. 
Ma ieri è stato l’intero potere giudiziario ad insorgere contro il controllo presidenziale sulla giustizia civile. È stato indetto lo sciopero nazionale della magistratura. Anche le corti provinciali si sono date appuntamento all’incrocio di via 26 luglio per denunciare un «attacco senza precedenti» all’indipendenza della magistratura. È l'accusa contenuta in un comunicato del Consiglio supremo della magistratura, che ha tenuto una riunione d'emergenza sui provvedimenti annunciati da Morsy, tra i quali il divieto per i giudici di sciogliere l'Assemblea costituente e la non impugnabilità delle decisioni presidenziali. Il Consiglio ha precisato poi che è sua «prerogativa occuparsi della magistratura e dei giudici» e ha espresso «rammarico» per la dichiarazione costituzionale presidenziale, che non dovrebbe riguardare «la magistratura nè intromettersi negli affari dei suoi componenti o influenzare le loro sentenze». 
Non solo, undici procuratori generali hanno chiesto di concludere il loro mandato in seguito al decreto emesso lo scorso giovedì, rimettendo la decisione nelle mani di Ahmed el-Zend, presidente del sindacato dei giudici. Infine, un gruppo di giudici del movimento per l’indipendenza della magistratura, in precedenza impegnato nell’opposizione all’operato dell’ex presidente Mubarak, ha espresso preoccupazione per i nuovi sviluppi politici. «Queste decisioni, sebbene contengano alcune richieste che vengono dal popolo egiziano, toccano direttamente la democrazia e la libertà», si legge nel comunicato. Nel testo si aggiunge che anche la riapertura autoritativa di casi che coinvolgono le violenze di piazza colpisce l’indipendenza del potere giudiziario. Già venerdì, i magistrati di Alessandria avevano deciso di sospendere le attività di tribunali e procure per esprimere il loro dissenso. 
Ieri, il vice-presidente copto, Samir Morcos, si era dimesso. «Rifiuto di continuare in seguito a questa decisione presidenziale che mette in discussione il processo di transizione democratica e viola i miei compiti specifici di costruire le nuove istituzioni», ha detto Morcos in un’intervista al quotidiano arabo con sede a Londra Sharq al-Awsat. 
Dopo i cortei dello scorso venerdì diretti verso piazza Tahrir e gli scontri con le forze di polizia, nuovi disordini sono esplosi ieri nella piazza simbolo delle manifestazioni del 2011 che hanno rovesciato il regime di Mubarak. La polizia in assetto antisommossa ha usato gas lacrimogeni per disperdere gruppi di manifestanti che arrivavano in piazza all’alba per unirsi a chi ha trascorso lì la notte. La folla si è poi data alla fuga, disperdendosi nelle strade circostanti. Da venerdì sera, alcuni attivisti si erano accampati in piazza Tahrir per un sit-in a oltranza contro Morsy.
D’altra parte, i Fratelli Musulmani hanno chiamato la popolazione a una manifestazione di massa per il prossimo martedì a sostegno del presidente. In un comunicato postato su Ikhwanonline, sito della Fratellanza, è apparso un appello a sostenere Morsy nelle piazze di tutto l'Egitto dopo la preghiera della sera.Mentre la presidenza della repubblica, insieme a consiglieri ed assistenti, si è riunita ieri per decidere come reagire alle proteste di piazza. Dall’inizio delle manifestazioni ad un anno dalla strage di via Mohammed Moahmoud, costata la vita a decine di manifestanti, sono oltre sessanta gli attivisti arrestati nel centro del Cairo, molti dei quali già rilasciati. E il braccio di ferro tra poteri dello stato prosegue con un presidente sempre più forte e l’indipendenza della magistratura,  nonché il peso giuridico della nuova costituzione e la transizione democratica, rimessi completamente in discussione.

Il Manifesto
Internazionale, pag. 4
domenica 25 novembre 2012

martedì 9 aprile 2013

Islamisti in piazza per Morsi, il Paese è spaccato in due


INTERNAZIONALE


Egitto /SI AVVICINA IL REFERENDUM SULLA COSTITUZIONE

Islamisti in piazza per Morsi, il Paese è spaccato in due

Giuseppe Acconcia
I bus organizzati dalla Fratellanza costeggiavano il grande zoo di Giza. Si raccolgono qui ogni pomeriggio famiglie e bambini per passare la loro giornata tra gabbie di leoni ed elefanti. Nel pomeriggio di ieri c’erano invece solo Fratelli musulmani e salafiti che hanno scelto i cancelli dell’Università del Cairo per esprimere il loro sostegno incondizionato al decreto Morsi. Dallo zoo all’Università, dove Barack Obama tenne il suo discorso al mondo arabo nel 2009, ci sono solo pochi passi. Per quelle strade, ieri pomeriggio, sedevano donne velate della Fratellanza, mentre dei signori con il segno della continua preghiera sulla fronte urlavano a squarcia gola: «Sharia» (legge islamica, ndr), «Il popolo vuole la decisione del presidente», «Non c’è altro dio che Allah», «Tahrir non è di tutti gli egiziani, è solo una goccia nel mare». Col passare delle ore, i cortei hanno continuato a confluire a Giza per le strade che il 30 giugno scorso sono state attraversate dagli islamisti per festeggiare il primo discorso di Morsi come presidente. Uno è arrivato dalla moschea Mustafa Mahmoud di Mohandessin, il secondo proveniva dalla moschea Amr Ibn El-Aas dell’antico quartiere di Helmeya, il terzo dalla moschea Istiqama di Giza. «È un uomo intelligente, non ha mai sbagliato fino ad ora. Ha rimborsato le famiglie dei martiri e ha preso queste decisioni per spingere il paese in avanti», ha detto Sarah, attivista pro-Morsi. «Il corano è la nostra costituzione»: si leggeva sui cartelli innalzati da altri manifestanti, che irridevano, Abdel Meguid Mahmoud, il procuratore generale cacciato col decreto presidenziale. A loro si sono uniti degli shaykh in corteo dalla moschea di Al-Azhar dal centro del Cairo. «Al Azhar sostiene la decisione del presidente». Ma, a guastare la festa, un albero si è abbattuto sui manifestanti uccidendo un uomo e 24 persone. Mentre alla metro Dokki, nel centro moderno della città, decine di passeggeri salivano sui vagoni gridando l’«Islam è la soluzione» e brandendo bandiere saudite. Manifestazioni ci sono state ieri anche ad Alessandria, Suez e Assiut, nel sud del paese. Nel centro di Alessandria, sono scoppiati tafferugli tra sostenitori e oppositori del presidente Morsi. Ma nel pomeriggio di sabato, la polizia antisommossa è stata schierata per dividere i due gruppi. 
Mentre di sera, Morsi, leader dei Fratelli musulmani, ha ricevuto la bozza definitiva della nuova costituzione approvata all’alba di venerdì dall'Assemblea costituente. Nelle prossime ore sarà stabilito il giorno in cui si terrà il referendum consultivo che sancirà l’approvazione finale del testo. Ma restano numerosi punti controversi: i privilegi dell’esercito, l’applicazione della legge islamica nel diritto civile e di famiglia, i poteri del presidente. Non solo la Corte suprema deve ancora esprimersi sulla costituzionalità della legge elettorale e del decreto presidenziale nonché sulla validità dell’Assemblea costituente. Nel giugno scorso una sentenza dell’Alta corte capovolse il risultato elettorale, sancendo lo scioglimento del parlamento. D’altra parte, laici, socialisti e movimenti di opposizione hanno proseguito l’occupazione di piazza Tahrir contro il decreto che ha reso Morsi, secondo loro, «un nuovo faraone». Alcuni attivisti hanno minacciato di organizzare cortei verso il palazzo presidenziale di Heliopolis se Morsi non ritirerà il decreto. In realtà, una celere approvazione della costituzione, avvicinerebbe le elezioni parlamentari favorendo una più equilibrata divisione dei poteri tra presidente e Assemblea parlamentare eletta. Insieme ai gruppi di opposizione c’era ieri, anche Samir Morcos, l’intellettuale copto che ha lasciato la vice presidenza per unirsi al movimento di Amr Moussa e Mohammed el-Baradei. Ma le due piazze (Tahrir e l’Università del Cairo) individuano un paese diviso e in crisi.


Il Manifesto
Internazionale, pag. 6
domenica 2 dicembre 2012
http://www.ilmanifesto.it

domenica 7 aprile 2013

Le foto della presentazione di Roccapiemonte al palazzo Marciani














Hanno partecipato Carmine Pinto, Marco Miggiano, Gaetano Fimiani e Aniello Pietro Torino

Palazzo Marciani
Via Calvanese
Roccapiemonte
venerdì, 30 novembre 2012

martedì 2 aprile 2013

Le foto della presentazione di Roccapiemonte







Liceo Scientifico Statale 
"Bonaventura Rescigno"
Via Viviano
Roccapiemonte (SA)
venerdì, 30 novembre 2012

giovedì 28 marzo 2013

Le Nazioni unite ritirano il «personale non essenziale»



INTERNAZIONALE
Siria/HILLARY CLINTON: «NO ARMI CHIMICHE»

Le Nazioni unite ritirano il «personale non essenziale»Duro monito degli Usa. Putin insiste dal summit Russia-Turchia a Istanbul: «Favorire il dialogo Assad-insorti»


Giuseppe Acconcia
Le Nazioni Unite lasciano la Siria e si avvicina la resa dei conti per il regime di Bashar al Assad. «È necessario trovare un equilibrio tra il lavoro del personale Onu per il popolo siriano e la loro stessa sicurezza». Sono le parole con cui il portavoce delle Nazioni Unite, Martin Nesirky, ha spiegato la decisione con effetto immediato di ritirare tutto il personale non essenziale dal paese, annunciata dall'Ufficio per gli affari umanitari (Ocha) di Ginevra. Le Nazioni Unite hanno deciso anche di vietare i viaggi fuori dalla capitale Damasco al personale restante. «La situazione della sicurezza è diventata estremamente difficile, anche a Damasco - ha chiarito Raghouane Nouicer, coordinatore regionale per gli aiuti umanitari dell’Onu. «Finchè la sicurezza degli operatori umanitari non è garantita, le agenzie Onu rivedono le dimensioni della loro presenza nel paese e il modo in cui distribuiscono gli aiuti umanitari», ha aggiunto il dirigente.
La crisi siriana è entrata in una fase molto delicata. In una nota ufficiale, diffusa ieri, il governo siriano ha assicurato che non farà ricorso ad armi chimiche. «La Siria difende il suo popolo e assieme al suo popolo lotta contro il terrorismo legato ad al Qaeda, sostenuto da paesi noti, primi tra i quali gli Stati Uniti», prosegue il testo. Tuttavia, dopo la notizia diffusa nei giorni scorsi di uno spostamento di armi chimiche all’interno del paese, sono arrivate le parole di avvertimento e condanna di Hillary Clinton. «Si tratta di una linea rossa, ancora una volta abbiamo avvertito Assad, il suo comportamento è da condannare, le sue azioni contro il popolo siriano sono tragiche», ha denunciato Clinton. Queste dichiarazioni sono state ribadite anche da Jay Carney, portavoce della Casa Bianca. Nel fine settimana lo spostamento di armi chimiche siriane ha portato a una serie di comunicazioni di emergenza in Europa e negli Stati uniti, nonché al monitoraggio delle Alture del Golan da parte dell’aviazione israeliana. Gran Bretagna, Francia e Stati uniti hanno valutato possibili piani da mettere in atto nel caso in cui fosse necessario neutralizzare un attacco con armi chimiche. Già nell’agosto scorso, il presidente degli Stati uniti Barack Obama aveva detto che una minaccia dell'uso di armi chimiche da parte di Assad avrebbe rappresentato «una linea rossa» che avrebbe potuto aprire la porta a un intervento americano. «Questo potrebbe cambiare i miei calcoli», aveva aggiunto Obama.
D’altronde, a lasciare ieri la Siria, c’è stato anche il portavoce del ministero degli esteri, Jihad Makdissi. Il politico si èŠimbarcato a Beirut su un volo per Londra. Pochi minuti prima, la televisione del movimento sciita libanese Hezbollah, al-Manar, aveva annunciato in fretta e furia le dimissioni di al-Maqdisi. Nel frattempo, si teneva ieri un vertice sulla crisi siriana tra Russia e Turchia a Istanbul. Durante il vertice, il presidente russo, Vladimir Putin ha ribadito l’intenzione di favorire il dialogo tra Bashar al-Assad e gli insorti, mentre Ankara ha confermato il suo appoggio ai ribelli sunniti. Le forze armate di Ankara hanno fatto decollare aerei militari dopo che il regime siriano aveva bombardato postazioni dei ribelli a Ras al-Ain, città sul confine con la Turchia.
Come se non bastasse, gli scontri tra insorti e esercito regolare sono proseguiti per tutta la giornata di ieri in Siria. Secondo i ribelli, sono almeno 90, tra cui otto bambini e sette donne, le persone rimaste uccise ieri. Vittime ci sono state nei dintorni di Aleppo, a Damasco, Homs, Hasake, Idlib e, nel sud, tra Daraa, Dayr az Zor, nonché a Hama e Latakia.

Il Manifesto
Internazionale, pag. 7
martedì 4 dicembre 2012

mercoledì 27 marzo 2013

Si vota





Radio Vaticana
Radiogiornale, ore 19.30
sabato 8 dicembre 2012

Egitto: referendum il 15 dicembre. No dei Fratelli Musulmani alle richieste dell'opposizione
Il referendum sulla bozza della nuova Costituzione in Egitto si tenga il 15 dicembre come previsto. Lo chiedono i Fratelli Musulmani rifiutando quindi la richiesta dell’opposizione di rinviare la consultazione popolare. Continua intanto il sit-in di protesta davanti al palazzo del presidente Morsi. Dal Cairo Giuseppe Acconcia:
Il governo egiziano ha approvato oggi un decreto legge immediatamente operativo che accresce i poteri dei militari per la difesa della sicurezza nazionale. E lo scontro tra islamisti e opposizione laica non si placa. In un comunicato, il presidente Morsi ha aperto ad un possibile rinvio del referendum costituzionale del prossimo 15 dicembre. Tuttavia, nessuna forza del Fronte nazionale di salvezza, guidato dal premio Nobel Mohammed El-Baradei, ha aderito al tentativo di dialogo, voluto per oggi dal presidente egiziano. Soltanto Ayman Nour, leader del partito liberale al Ghad, esponenti dei Fratelli musulmani e salafiti si sono presentati all’incontro. Dal canto loro, i Fratelli musulmani fanno quadrato intorno a Morsi: «Difenderemo l'Egitto, la sua rivoluzione e la sua costituzione qualsiasi sia il sacrificio», ha detto la guida della Fratellanza Mohamed Badie. Le manifestazioni intorno al palazzo presidenziale di Heliopolis sono ancora in corso. Ma per il ritorno della stabilità il presidente egiziano fa di nuovo affidamento sui militari.




martedì 26 marzo 2013

Iran, Rimosso il capo polizia informatica dopo la morte in carcere del blogger Beheshti


INTERNAZIONALE

IRAN
Rimosso il capo polizia informatica dopo la morte in carcere del blogger Beheshti


Giuseppe Acconcia
Giro di vite a Tehran dopo la morte in carcere del blogger iraniano, Sattar Beheshti. È stata disposta la rimozione del capo della polizia informatica iraniana, Saeed Shokrian. Le dimissioni sono state motivate da «errori nell’esercitare una sufficiente supervisione» sulle circostanze che hanno portato alla morte del blogger. 
Beheshti, 35 anni, era stato arrestato per «crimini informatici» e secondo la procura generale iraniana era stato trovato morto nella sua cella il 3 novembre scorso, quattro giorni dopo il suo arresto. Secondo Amnesty International e Human Rights Watch, ma anche a detta di parlamentari iraniani vicini al movimento riformista, l’ipotesi più accreditata è che il blogger anti-governativo sia morto in seguito a torture. Nei giorni scorsi sono state aperte tre inchieste che hanno portato a vari arresti. «La magistratura indagherà sul caso», ha detto Mohammad Larijani, leader dell’Alto consiglio per i diritti umani della magistratura iraniana, che ha parlato di morte «sospetta». Secondo indiscrezioni, una probabile causa del decesso va ricercata in «pressioni psicologiche» esercitate su una persona già «estremamente debilitata». Secondo altre fonti, i risultati dell’autopsia hanno evidenziato l’arresto cardiaco e lividi senza fratture o colpi letali. Sattar Beheshti era stato già arrestato insieme ad altri attivisti iraniani durante i movimenti anti-governativi del 1999, 2003 e del 2009. Il giovane aveva spesso criticato le pessime condizioni in cui si trovano i prigionieri politici nelle carceri in Iran. Il blogger aveva organizzato varie manifestazioni contro il sistema di potere della Repubblica islamica nel centro di Tehran. Nei giorni scorsi, i familiari della vittima hanno denunciato di subire continue minacce e pressioni dopo la scomparsa del giovane.


Il Manifesto
Internazionale, pag. 7
martedì 4 dicembre 2012

domenica 24 marzo 2013

Morsi tenta la carta del rinvio


INTERNAZIONALE
EGITTO · Referendum sulla Costituzione, posticipato l’avvio del voto per gli egiziani all’estero

Morsi tenta la carta del rinvio

Giuseppe Acconcia
IL CAIRO


Tra via Mamleek e via el-Mogani ad Heliopolis, giovani liberali e copti egiziani sono pronti a passare una nuova notte sulle barricate. «Arrivano centinaia di persone perchè il discorso di Morsi ha esasperato gli animi», ha detto Karim, giovane attivista liberale. «Sta prendendo dal popolo più di quanto dà. Vuole altro sangue, sembra di assistere ad una partita a scacchi», ha proseguito il giovane. E sulle accuse di vandalismo mosse da Morsi, il giovane non ha dubbi: «I Fratelli musulmani che ho visto ieri nell’area di Roxy (rione di Heliopolis, ndr) avevano lacrimogeni e la polizia non c’era. Quando poi sono arrivati i poliziotti si sono appostati dietro gli agenti. Gli attivisti della Fratellanza hanno lanciato direttamente lacrimogeni», ha assicurato Karim.
Ben sette cortei hanno sfilato ieri per le vie del Cairo per protestare contro le parole, pronunciate ieri da Morsi. Il presidente egiziano aveva invitato al dialogo i movimenti di opposizione promettendo concessioni sui nuovi poteri presidenziali. Non solo, il voto degli egiziani all’estero per il referendum al via oggi, è stato rinviato al prossimo mercoledì.
Gli attivisti di opposizione tenevano alte bandiere bianche con i volti dei giovani martiri disegnati, come gigantografie. Sventolavano queste immagini con vigore ricordando ad ogni passo i nuovi martiri: chi è morto mentre il presidente «rivoluzionario» è al potere. «Questo è il volto di Gaber ucciso qualche giorno fa in via Mohammed Mahmoud», ci ha spiegato Khaled. «Chiediamo le dimissioni di Morsi», urlavano, «Il popolo vuole la fine del regime». I più giovani si sono arrampicati sulle fermate dei bus e le rotaie dell’antico tram, da quella che una volta era la periferia del Cairo, erano completamente occupate da centinaia di manifestanti. «Domani a mezzogiorno siamo pronti per una nuova manifestazione, il nostro paese non è la Siria», contestavano delle giovani donne dal marciapiedi. Dall’altra parte della barricata, fatta di cemento e filo di ferro, c’era una fila di militari della Sicurezza centrale e dietro di loro la guardia presidenziale in assetto anti-sommossa. Tra i due gruppi erano schierati quattro carri armati dell’esercito, sistemati la sera precedente. Al tramonto, un gruppo di manifestanti ha divelto il filo spinato e ha scavalcato le barriere. Alcuni di questi giovani sono arrivati a due passi dagli uffici presidenziali: un luogo che nei melodrammi televisivi egiziani viene rappresentato come il posto dove tutti i giovani avrebbero voluto entrare per parlare con Mubarak. «Dovrebbe annullare il decreto presidenziale. Ma non lo farà, quindi boicotterò senz’altro il voto», racconta Eman, giovane vestita all’occidentale e con gli occhi pieni di rabbia per gli ultimi eventi. Sui camion degli attivisti erano sistemate decine di casse che trasmettevano musica assordante. Al seguito dei veicoli, tantissime donne tenevano tra le mani il simbolo del «no», la stessa risposta che avevano dato il 19 marzo del 2011 alla dichiarazione costituzionale temporanea voluta dalla giunta militare. Una di loro aveva un cartello. «Non rappresenti nè l’Islam né il paese (Morsi, ndr)». Si vedevano le bandiere degli operai di Suez. Nei giorni scorsi, varie sedi della Fratellanza tra Suez e Kafr el-Sheykh erano state date alle fiamme. Nella notte, alcuni attivisti hanno tentato di raggiungere anche la sede centrale di Libertà e giustizia al Cairo, nel quartiere di Moqattam, e di darle fuoco. Non solo, nel pomeriggio di ieri ci sono stati scontri nel Delta del Nilo a Tanta, Mahalla, Beheiria e Garbeya tra pro e anti Morsi. Ci sarebbero decine di feriti. In particolare, nella città delle industrie tessili di Mahalla, i manifestanti hanno fatto irruzione nel palazzo della municipalità.

Dal canto loro, i sostenitori dei Fratelli musulmani hanno partecipato ai funerali di due delle vittime di ieri nella moschea di Al Azhar. In seguito hanno raggiunto il palazzo di Heliopolis. Molti attivisti laici denunciano l’uso strumentale che viene fatto dei manifestanti islamisti per innescare scontri e tensioni in cortei pacifici. Ma ormai i margini per il dialogo sono risicati. Il Fronte di salvezza nazionale, guidato dall’ex presidente dell’Aiea, Mohamed el-Baradei, e Amr Moussa, ha annunciato il rifiuto dell’offerta di dialogo. Con loro anche i liberali del Wafd. Sono poi arrivate di sera parole di biasimo dalla Casa Bianca. Il presidente Barack Obama, in una telefonata al presidente egiziano ha espresso «preoccupazione» per le violenze di piazza. Per i giovani di piazza Tahrir, ora assembrati nel quartiere di Heliopolis, si prepara una notte di tensione. Altri hanno deciso di presidiare la piazza, dove si ascolta la musica dei rapper e si moltiplicano le tende senza un motivo preciso. Mentre decine di uomini e donne, incuranti degli scontri, entrano e escono, come ogni sera dal minuscolo negozio el-Abd, nel centro del Cairo, con pacchi di mazbuza e fetira, i dolci del venerdì di festa.

Il Manifesto
Internazionale, pag. 7
sabato 8 dicembre 2012