sabato 3 febbraio 2018

Tutta la verità sull'ultimo articolo di Giulio Regeni


di Giuseppe Acconcia
Conobbi Francesco De Lellis in occasione di un incontro sulla Tunisia al MAAM, uno spazio culturale nella periferia di Roma, ad inizio 2015. Alla fine del dibattito mi parlò della sua tesi di dottorato sui sindacati dei contadini in Egitto e della sua imminente partenza per il Cairo. Gli dissi che il tema mi sembrava molto interessante perché si trattava, anche secondo me, di uno dei risultati più significativi delle rivolte del 2011. Aggiunse che avrebbe voluto proporre degli articoli per il manifesto e gli dissi che mi avrebbe fatto piacere leggerli e ne avrei parlato con la redazione. Sin dal febbraio 2011 ho lavorato come corrispondente del giornale dal Cairo e sono stato accreditato per il manifesto alla televisione di Stato egiziana (Maspiro).
Nel luglio di quello stesso anno, in occasione del secondo anniversario dal colpo di stato egiziano del 2013, Francesco De Lellis e Gianni Del Panta mandarono il loro contributo dal Cairo, che venne pubblicato in quei giorni, sullo stato delle fragili lotte sindacali egiziane in un contesto di grave repressione. Anche Gianni era un dottorando che si occupava dei movimenti fioriti dopo le rivolte del 2011 e stava trascorrendo un periodo di ricerca al Cairo. Conobbi Gianni ai margini della presentazione del mio libro “Egitto. Democrazia militare” in occasione del Festival Middle East Now a Firenze. Anche lui mi raccontò che si stava occupando di sindacati in Egitto, Tunisia e Algeria per la sua ricerca all'Università di Siena. Gli parlai di Francesco e gli dissi di contattarlo.
Nell'autunno del 2015, Francesco De Lellis mi scrisse per proporre un secondo articolo, sempre scritto a quattro mani, questa volta con un altro dottorando, Giulio Regeni. Mi disse che Giulio stava svolgendo un dottorato di ricerca per l'Università di Cambridge e anche lui si stava occupando dei sindacati egiziani. Questa volta mi disse che avrebbero preferito pubblicare l'articolo con uno pseudonimo e che avrebbero preso parte ad una riunione sindacale nel dicembre dello stesso anno al Cairo. Gli chiesi perché avrebbero voluto usare uno pseudonimo e perché non lo avevano chiesto in precedenza. Mi disse che non si trattava di una paura specifica ma di un timore generico legato alla situazione di repressione in Egitto.
Francesco mi inviò l'articolo, si trattava di un ottimo lavoro. E quindi lo mandai in redazione al manifesto. L'articolo rimase per alcune settimane in coda al desk del manifesto. In quel momento nessuno si stava più occupando di repressione in Egitto. Sollecitai molte volte Simone Pieranni, al desk esteri del manifesto, perché pubblicasse l'articolo. Alle richieste di Francesco De Lellis sulla mancata pubblicazione risposi che in ogni caso l'articolo sarebbe uscito al massimo il 25 gennaio 2016 in occasione del quinto anniversario dalle proteste di piazza Tahrir del 2011 al Cairo. Francesco mi disse che avrebbe provato a inviare l'articolo anche ad altri siti online che avrebbero forse pubblicato il reportage anche prima del 25 gennaio.
Nel frattempo, in una chat con Gennaro Gervasio, che si occupa da anni della sinistra egiziana, anche lui mi parlò dell'ottimo lavoro di Francesco e Giulio. In particolare mi raccontò di quanto fosse meticolosa la ricerca di Giulio. Proprio la sera in cui ci scrivemmo Francesco e Giulio sarebbero andati a trovarlo a casa perché non si sentiva bene.
Quando il 31 gennaio 2016 venne diffusa pubblicamente la notizia della scomparsa, avvenuta sei giorni prima, di Giulio Regeni, ricordai ancora una volta al vicedirettore del giornale, Tommaso Di Francesco, che avevamo l'articolo di Francesco e Giulio in attesa di pubblicazione.
Francesco e Gennaro mi chiesero di mantenere un profilo basso in attesa di notizie sulla scomparsa di Giulio Regeni. Ma con il passare dei giorni il clima era sempre più fosco. Il giorno dopo il ritrovamento del cadavere di Giulio che avvenne il 3 febbraio 2016, esattamente due anni fa, Tommaso Di Francesco mi disse che l'articolo sarebbe stato pubblicato. Confermò che sarebbe uscito anche dopo la diffida a pubblicare che arrivò il giorno stesso in redazione da parte dell'avvocato della famiglia Regeni. Il 5 febbraio 2016, uscì sul manifesto “In Egitto la seconda vita dei sindacati indipendenti” a firma di Giulio Regeni. Venni a sapere in seguito che una prima versione dell'articolo era già stata pubblicata a gennaio dal sito Nena News di Michele Giorgio, giornalista del manifesto.
L'unica cosa che mi sentii di dichiarare dopo aver appreso la terribile notizia della sua morte ad una giornalista di Radio Popolare che mi interpellò fu proprio che Giulio Regeni: "Aveva paura per la sua incolumità". Arrivai a questa conclusione perché quando inviarono il loro articolo Giulio e Francesco chiesero di usare uno pseudonimo, cosa che non era avvenuta in precedenza.

Il 25 febbraio 2016 mi recai dagli inquirenti a Roma per consegnare le 16 pagine di chat che avevo avuto nelle settimane precedenti con Francesco De Lellis in merito all'articolo che proposero al manifesto. Dopo la mia decisione di sfidare quel contesto di silenzi e paure e poco prima di rilasciare un'intervista alla Rai sul caso Regeni, Tommaso di Francesco mi chiese di non fare mai menzione delle responsabilità italiane. Credo che a due anni dal ritrovamento del cadavere del brillante ricercatore friulano anche questa mia esperienza personale sia importante da raccontare per spiegare quanto siano state forti le pressioni italiane affinché non si facesse troppo “rumore” con il Cairo dopo la scomparsa di Giulio.