venerdì 23 novembre 2012

Egitto: la nuova Costituzione e il potere dell’esercito


Una delle principali critiche di decine di costituenti, movimenti liberali e attivisti laici alla nuova Carta costituzionale egiziana riguarda i poteri della giustizia militare. Chi si oppone all’indipendenza delle corti militari dalla giustizia ordinaria chiede che venga riconosciuto agli imputati in processi militari il diritto di fare appello alla giustizia civile. In più, gli attivisti spingono per la supervisione dei giudici sulle corti militari. Questa controversia cruciale dimostra come il peso dei militari nella gestione politica in Egitto sia solo apparentemente ridimensionato.

La relazione tra élite militari e politiche ha sempre corrisposto a una più o meno evidente influenza dei militari sulle istituzioni pubbliche. Infatti, il potere dell’esercito in Egitto deriva dalla commistione tra élite militare e civile. Prima, quando Gamal Abdel Nasser, diventato presidente, ha scambiato la sua uniforme militare con abiti civili. Poi, quando solo in pochi percepivano ancora l’ex presidente, Hosni Mubarak, come un militare prima delle sue dimissioni. Per questo, in occasione di scioperi e movimenti popolari, l’esercito egiziano è intervenuto per ristabilire l’ordine e cooptare nelle istituzioni pubbliche i gruppi percepiti come una minaccia alla sua autorità. E così i militari hanno operato come difensori dell’élite politica al potere facendo un uso relativamente marginale della violenza.
Non solo, i militari, come conseguenza del ritrarsi dello stato per una politica di liberalizzazione economica (infitah), hanno operato in difesa delle loro conquiste corporative. Se, da una parte, come effetto delle politiche di infitah, i militari si sono trasformati in élite imprenditoriale, dando a ufficiali, o a civili a loro connessi, ruoli di gestione economica, dall’altra, per la minaccia di guerre regionali, l’esercito egiziano ha controllato una quantità sempre maggiore di spesa pubblica e di aiuti militari internazionali. I militari egiziani sono diventati editori dei maggiori quotidiani, hanno acquisito il controllo delle industrie di produzione di prodotti per uso civile dalle lavatrici ai medicinali, al di fuori delle tradizionali industrie di armamenti e tecnologia militare.
L’esercito controlla oggi in Egitto anche industrie che producono o lavorano beni di prima necessità dal latte alla carne fino al pane. Non solo, l’esercito è impegnato nell’industria turistica con il controllo diretto di alberghi e grandi resort. Per finire, i militari sono amministratori delegati di grandi aziende private e sono coinvolti nel mercato nero e nel contrabbando. Contemporaneamente, l’esercito ha accresciuto il suo peso come attore parassitario grazie ai vantaggi accordati ai militari dall’élite politica: manodopera a basso costo, esenzioni fiscali e nelle regole per la costruzione di immobili, sussidi e privilegi monopolistici. In Egitto, come risultato delle politiche di liberalizzazione e di capitalismo clientelare, élite politiche e militari sono diventate sempre più interconnesse e mutualmente dipendenti.
In seguito alle rivolte del 2011, l’esercito egiziano ha adottato la Fratellanza musulmana come delegato per ristabilire la divisione di poteri tra politici e militari. Esistono tuttavia divisioni strutturali (gruppi paramilitari, forze speciali, polizia militare) e politiche (islamisti, salafiti, nasseristi) interne all’esercito. Questa frammentazione non necessariamente corrisponde a una minore o maggiore influenza politica dei militari, ma ha determinato, ad esempio, la cancellazione di candidati anti-sistema dalle competizioni elettorali e il sostegno a leader islamisti o nasseristi in base a calcoli di convenienza politica. Per questo, l’abbandono della gestione diretta del governo da parte della giunta militare sembra servire all’esercito per riprodurre il proprio controllo sulla società egiziana. E la nuova Costituzione non tenta fino a questo momento di porre limiti al ruolo economico, giuridico e politico dei militari.


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