mercoledì 14 marzo 2012

Le interviste a Zubaida, Nabil al Arabi, Hamalawi. Un anno di stradedellest



EGITTO Parla il blogger Essam Hamalawi
«La nuova sinistra parte da un nuovo sindacato»
“Una nuova sinistra parte da un nuovo sindacato”. Essam Hamalawi, giornalista di Al Ahram e blogger (arabawi.org) è tra i fondatori del nuovo Partito dei lavoratori. “Prima di tutto, la sicurezza di stato deve essere smantellata e il partito di Mubarak bandito”: Essam ha le idee molte chiare. “I membri corrotti del vecchio regime - continua - devono essere processati da tribunali militari. Non è possibile che i manifestanti vengano giudicati da corti marziali mentre El Adly e Ahmad Azz da corti civili.” Secondo Essam il risultato più importante delle rivolte è l’annuncio del nuovo Ministro del lavoro, Ahmed El Borai. I lavoratori egiziani avranno finalmente il diritto di formare sindacati indipendenti dal governo. Durante la presidenza Mubarak esisteva un sindacato federale unico in Egitto, composto di 24 unioni di base, 22 delle quali guidate da uomini del partito nazionale democratico. “È già nato il primo sindacato indipendente - aggiunge Essam - che comprende ammistratori pubblici, insegnanti, tecnici sanitari e pensionati”. Proprio in seguito a queste dichiarazioni, il segretario generale dell’ILO, Juan Somavia, in visita al Cairo, ha dichiarato che l’Egitto uscirà dalla lista nera dell’organizzazione.
Secondo Essam, il nuovo Partito dei lavoratori includerà giovani dei movimenti, contadini e operai. L’attivista non teme una competizione elettorale con gli islamisti su temi sociali: “i Fratelli musulmani non si sono mai occupati di classe operaia, anzi membri del Wasat e dell’ufficio politico della confraternita si sono espressi più volte a favore delle privatizzazioni”. Sul rapporto tra scioperi e rivoluzione, Essam aggiunge: “le domande settoriali di poche centinaia di lavoratori che si incontrano nei pressi dei ministeri o per strada stanno riportando l’Egitto al clima prerivoluzionario”. E perchè mai la “rivoluzione” non è diventata un fenomeno politico? “I membri della classe media e delle aziende private dopo le dimissioni di Mubarak sono tornati al loro lavoro – risponde Hamalawi -, mentre i lavoratori di Suez, dei trasporti, delle industrie militari, i proprietari terrieri, gli insegnanti, gli impiegati dell’aviazione, i poliziotti non possono riprendere la loro quotidianità ignorando quello che è successo. Dal mio punto di vista dovrebbero comprendere quanto le loro rivendicazioni coincidano con gli slogan di piazza Tahrir”. Sin dal 28 gennaio, la gente delle classi più disagiate si è unita ai manifestanti della prima ora e ha cercato di far sentire la propria voce fino allo sgombero del 9 marzo. Ma i movimenti non hanno finora saputo integrare le richieste dei lavoratori per portare la rivoluzione a definire concrete richieste politiche.
Sul Consiglio delle forze armate, Essam aggiunge: “tutti speriamo che questo governo militare finisca al più presto. E che gli episodi dubbi sull’uso della violenza vengano chiariti. L’esercito non è intenzionato a governare giorno per giorno, ma solo a tenere alcuni punti fermi come l’alleanza con gli Stati Uniti e il trattato di pace con Israele”. Anche secondo Hamalawi, il ruolo dell’esercito è stato essenziale per la deposizione di Mubarak. Ma presto verranno fuori le lotte clandestine: “all’interno delle forze armate c’è una vera divisione di classe molto fragile tra Consiglio supremo, ufficiali e i poverissimi giovani militari”. Secondo Essam, “se l’esercito ha accelerato così tanto sul referendum e sulle elezioni parlamentari è proprio per mascherare le divisioni interne.” Le forze armate hanno sostenuto tacitamente o apertamente il “sì” al referendum. Mentre membri dell'ex partito di Mubarak e Fratelli musulmani erano fuori dai seggi per spingere la gente a votare “sì”. Secondo Hamalawi, “c’è un accordo tra islamisti ed esercito, il rilascio di Kairat Shater e della maggiorparte dei progionieri politici ha facilitato il netto e forte sostegno degli islamisti al “sì” ”.
L’esercito sembra agire come ha sempre fatto Mubarak concedendo spazio agli islamisti nel momento della necessità. È ancora da chiarire quale spazio avrà invece la sinistra nel nuovo Egitto. Una base elettorale di 4 milioni di voti, coloro che hanno votato “no” al referendum, può essere il punto di partenza per arginare le preoccupanti tendenze antirivoluzionarie in atto.
Giuseppe Acconcia

Il Manifesto
INTERNAZIONALE, pagina 4
Venerdì, 8 aprile 2011



di Hamed Hussein e Giuseppe Acconcia
M.O.: ministro esteri Egitto, promuoveremo conferenza di pace
El Arabi, Subito dopo formazione stato palestinese
Roma, 17 mag. -
(Aki) - L'Egitto ''promuovera' una conferenza di pace per trovare una soluzione al conflitto israelo-palestinese''. Lo annuncia il ministro degli Esteri egiziano, Nabil el Arabi, in visita in Italia, in un'intervista ad AKI - ADNKRONOS INTERNATIONAL. ''L'accordo (siglato al Cairo il 4 maggio scorso tra Hamas e Fatah, ndr) e' servito a rafforzare l'autorita' di uno degli interlocutori. Se i palestinesi sono divisi, Israele proseguira' unilateralmente e denuncera' sempre l'assenza di un interlocutore credibile'', spiega il ministro uscente, appena nominato segretario generale della Lega araba.
''Quando in un negoziato c'e' una parte molto forte e un'altra debole - prosegue - e' necessario sostenere chi ha meno forza. E per questo motivo la comunita' internazionale dovrebbe riconoscere lo Stato palestinese al piu' presto. Il passo successivo alla formazione di un forte governo palestinese sara' promuovere una conferenza di pace'', prosegue il capo della diplomazia egiziana.
Il ministro fa riferimento alle numerose conferenze di pace che hanno tentato di porre fine al conflitto e al nuovo corso determinatosi in relazione alla 'primavera araba'. ''I tentativi sono stati molteplici dal 1949 al 1973, fino alle recenti iniziative promosse da Clinton e Bush. Ma ora le condizioni sono cambiate - afferma - La linea di tutti coloro che sono coinvolti nella questione israelo-palestinese negli ultimi venti anni e' stata di gestire un conflitto, noi vogliamo chiudere il conflitto''. (segue)
M.O.: ministro Esteri Egitto, Italia riconosca indipendenza palestinese
El Arabi, Dichiarazioni indipendenza sono tutte unilaterali
Roma, 17 mag. -
(Aki) - ''Il presidente Berlusconi sa bene che tutte le dichiarazioni di indipendenza sono state fatte unilateralmente a partire da quella dichiarazione degli Stati Uniti. Lo stesso e' avvenuto per la fondazione di Israele''. Lo afferma il ministro degli Esteri egiziano, Nabil el Arabi, in un'intervista ad AKI - ADNKRONOS INTERNATIONAL, commentando la posizione del governo italiano che, in riferimento alla questione palestinese, ha fatto sapere di non voler riconoscere uno stato creato sulla base di una dichiarazione unilaterale di indipendenza.
''Quando sara' riconosciuto lo Stato palestinese sara' necessario continuare con negoziati bilaterali per la definizione dei confini e degli altri temi oggetto di controversia'', ha precisato el Arabi, ministro uscente, appena nominato Segretario generale della Lega Araba.
M.O.: ministro esteri Egitto, promuoveremo conferenza di pace (2)
Roma, 17 mag. -
(Aki) - Riguardo, poi, alle critiche sull'uso della violenza da parte di Hamas, per el Arabi ''ci sono esponenti di Hamas che fanno un uso scorretto della violenza cosa che succede anche in campo israeliano''. ''L'importanza di un nuovo governo con una linea guida unica nei territori palestinesi e' essenziale'', sottolinea.
A questo proposito el Arabi ricorda la necessita' della fodazione di uno Stato palestinese indipendente, affermando che ''la necessita' di due stati, uno israeliano e uno palestinese, e' sancita dalla risoluzione delle Nazioni Unite del 1948, che sancisce la fondazione dello Stato di Israele''. ''Questo ha determinato basi legali egualitarie per israeliani e palestinesi per avere due stati indipendenti. Anche George Bush prima e Barack Obama poi si sono espressi in questo senso. Negli ultimi anni - conclude - l'intera comunita' internazionale ha seguito questa iniziativa''.
Libia: ministro Esteri Egitto, siamo vicini all'opposizione
El Arabi, Gheddafi chiuda conflitto e non prosegua con uso armi
Roma, 17 mag. -
(Aki) - ''Non vogliamo che in Libia proseguano le violenze, questo e' motivo di simpatia per le forze di opposizione''. Lo afferma il ministro degli Esteri egiziano e neo segretario generale della Lega Araba, Nabil El Arabi, in un'intervista ad AKI - ADNKRONOS INTERNATIONAL.
La richiesta del governo egiziano al colonnello libico Muammar Gheddafi, quindi, e' di cessare le ostilita'. ''Gheddafi chiuda il conflitto e non prosegua nell'uso delle armi'', dichiara il ministro, in visita a Roma. El Arabi esprime poi le sue preoccupazioni in merito al conflitto in corso nelle zone lungo il confine occidentale egiziano. ''Siamo preoccupati per il bagno di sangue che sta colpendo i nostri vicini libici e per la numerosa comunita' egiziana in Libia’’, ammette Al Arabi.
Iran: ministro Esteri Egitto, Teheran non e' un nemico
El Arabi, Ma non deve interferire in affari interni del Cairo
Roma, 17 mag. -
(Aki) - ''In questa fase, l'Egitto non ha piu' nemici. Neppure l'Iran e' un nemico''. Lo dichiara ad AKI - ADNKRONOS INTERNATIONAL Nabil el Arabi, ministro degli Esteri egiziano appena nominato segretario generale della Lega Araba. ''Non abbiamo ancora avviato un negoziato con l'Iran per rafforzare le relazioni diplomatiche'', dice al Arabi, sottolineando pero' come ''l'Iran non debba interferire nella politica interna egiziana''. ''Le autorita' iraniane - afferma - devono mostrare una mentalita' aperta e, nelle relazioni bilaterali, devono rispettare la reciproca autonomia''.
El Arabi, una volta nominato ministro degli Esteri, si e' subito espresso in favore di nuove relazioni diplomatiche tra Egitto e Iran. Dal 1979, anno della Rivoluzione islamica, Egitto e Iran non hanno ambasciate nei due Paesi. Sul futuro delle relazioni tra Il Cairo e Teheran, El Arabi precisa che ''solo tre paesi al mondo non hanno relazioni diplomatiche piene con l'Iran: Stati Uniti, Israele ed Egitto''. ''Tuttavia sin dal 1991 esistono dei rapporti tra Egitto e Iran. Esistono gia' due uffici di rappresentanza al Cairo e a Teheran - conclude - che gestiscono le relazioni tra i nostri Paesi''.

Adnkronos
Roma, giovedì 17 maggio 2011



L'EGITTO UN ANNO DOPO · Intervista al manifesto dello storico e politologo Sami Zubaida
«Fuori dal ghetto del nazionalismo»
L’11 febbraio 2011, dopo un mese di mobilitazione e rivolta simboleggiate dalla piazza Tahrir, il decotto «faraone» Mubarak fu costretto a dimettersi: cosa è cambiato?
“Le rivolte hanno segnato il ritorno della politica in Medio Oriente” - assicura al manifesto Sami Zubaida, storico dell’Università di Birkbeck, ad un anno dalle dimissioni di Hosni Mubarak. “I colpi di stato nazionalisti di Gamal Abdel Nasser in Egitto e del Ba’ath in Siria hanno incluso le ideologie politiche all’interno del partito unico. E così le rivolte di quest’anno hanno bilanciato la costante soppressione dei movimenti urbani nel mondo arabo” - aggiunge il politologo dell’Università di Londra. “Le nuove generazioni sono uscite dal ghetto del nazionalismo, proclamando valori universali di giustizia sociale, democrazia e anti-corruzione. E così il muro è crollato. L’idea di inviolabilità del regime è sparita. Da qui non si torna indietro, continuerà l’attivismo politico di cittadinanza”, ammette Zubaida.
Come spiega allora l’inconsistenza delle forze politiche secolari alle elezioni parlamentari degli ultimi mesi? “Chi ha fatto la Rivoluzione non ha potere elettorale nè connessioni politiche. I partiti socialisti e liberali erano implicati nei regimi nazionalisti. Anche il Partito comunista iraqeno aveva accettato di far parte di una coalizione con il Ba’ath di Saddam Hussein. Così i comunisti persero credibilità. E il regime ha massacrato i principali esponenti del partito”. Secondo l’autore de Islam, il popolo e lo stato: idee politiche e movimenti (1993), altra grave colpa delle forze secolari è di essere implicate nelle politiche di liberalizzazione economica degli ultimi decenni. “Ma il colpo di grazia è venuto, da un lato, dalla Rivoluzione iraniana, che ha strappato il mantello della giustizia sociale alla sinistra, e, dall’altro, dal crollo dell’Unione Sovietica”.
Tuttavia, almeno dal febbraio 2011, tutti i movimenti politici hanno goduto di una certa libertà in campagna elettorale. “I vecchi partiti di sinistra sono arrivati a queste rivolte come forze completamente irrilevanti. L’esercito ha concesso ai giovani libertà di assembramento e di parola, ma non di organizzazione del movimento operaio”, prosegue Zubaida nell’intervista al manifesto. In un certo senso, il Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF) in Egitto ha bloccato la spinta rivoluzionaria proponendosi come garante di stabilità e sicurezza. “Lo SCAF vuole una ‘soluzione definitiva’, il controllo dell’attività politica e parlamentare. Inoltre, ha architettato coflitti settari per screditare i movimenti. In un primo tempo, i Fratelli musulmani hanno tentato debolmente di resistere all’esercito. Ma hanno rinunciato per governare con un’ampia maggioranza. Sono arrivati così ad un accordo tacito con i militari. Il risultato: i rivoluzionari si trovano a combattere non solo contro l’esercito ma anche contro la Fratellanza”.
In realtà, nonostante Libertà e giustizia abbia vinto le elezioni, appare divisa al suo interno. “I Fratelli musulmani sono un movimento gerontocratico e internamente anti-democratico, di fronte ad un grave conflitto generazionale. I moralisti, vecchia maniera, convivono con i businessman del Golfo. Esiste poi una corrente impegnata in politiche sociali, per riforme sanitarie e contro la disoccupazione, ma convive con il liberismo della vecchia nomenclatura. Sembra quasi che dopo il successo elettorale, la loro prima richiesta sia stata di arrestare Adel Imam”, conclude con ironia Zubaida. Il docente fa qui riferimento alla vicenda giudiziaria del popolare attore comico egiziano, famoso per le battute blasfeme dei suoi film, condannato a tre mesi di reclusione per “insulti all’Islam”. In questo clima, il ritorno al Corano dei salafiti potrebbe avere una presa senza precedenti. “La legge islamica che chiedono i salafiti non è una versione riformata, ma l’interpretazione storica della legge coranica; sono per la soppressione dell’eresia e dell’immoralità. Quello che però più segna il loro discorso politico è l’ostilità verso i cristiani”, conclude l’autore de Dietro l’Islam: per una nuova comprensione del Medio Oriente (2011).
In questi giorni, gli egiziani stanno votando anche per il Senato e presto eleggeranno il nuovo presidente della Repubblica. “Un processo elettorale, che non garantisce libertà di associazione e la costituzione di partiti politici rappresentativi dei movimenti secolari, può essere addirittura rischioso. In Iraq, elezioni frettolose e il regime liberale hanno esacerbato il settarismo. Il sistema elettorale ha favorito poi meccanismi di controllo delle risorse, causando corruzione e partitocrazia”, considera Zubaida.
D’altra parte, in Siria, il movimento iniziato quasi un anno fa, nella regione rurale di Daraa, sta dando filo da torcere al regime. “La transizione in Siria è davvero lontana. Solo in parte le manifestazioni hanno il carattere di movimenti urbani, come è stato in Egitto. Tanto che Damasco è ancora calma e i manifestanti gridano Aleppo dove sei?” Secondo Zubaida, il Ba’ath di Bashar al-Assad è ancora il solo garante che possa evitare una deriva settaria in Siria? “In realtà, il movimento siriano è esplicitamente non settario, anzi la lealtà tra cristiani, alawiti e musulmani è il vero segno delle proteste. Mentre la dura repressione di al-Assad non sorprende. All’inizio delle rivolte, ha concesso alle donne con niqab di insegnare nelle scuole. Ora, sta bombardando Homs, come aveva fatto il padre Hafez con la città di Hama nel 1982”. Tuttavia, la vera brutta notizia per il regime siriano sembra venire da nuove pressioni internazionali. “La Turchia, riallineandosi con Stati Uniti e Arabia Saudita in merito alla questione siriana, potrebbe privare l’Iran del principale asset nei paesi arabi”. In questo scenario, l’ultimo pericolo per un’estensione delle tensioni in Medio Oriente sembrano le scintille dello Stretto di Hormuz tra Stati Uniti ed Iran, dove si avvicinano le elezioni parlamentari. “L’Iran vive in uno spazio pubblico ben distinto. La capacità repressiva del regime è enorme. Certo, il nemico numero uno per gli Stati Uniti ormai sono gli sciiti, non più gli islamisti sunniti”, conclude il professore.

Giuseppe Acconcia, ringraziamenti ad Antonio De Martin

Il Manifesto
INTERNAZIONALE, pagina 7
Sabato, 11 febbraio 2012
http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20120211/manip2pg/07/manip2pz/317878/
http://stradedellest.blogspot.com/2012/02/fuori-dal-ghetto-del-nazionalismo.html

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