martedì 13 marzo 2012

Mahalla, Alias e La meglio gioventu'. Un anno di stradedellest



EGITTO · Terza fase delle elezioni parlamentari: affluenza alta nel Delta del Nilo

Votano gli operai di Mahalla al-Kubra e puntano sui lavoratori, candidati tra gli indipendenti. Alle tre aprono i cancelli della fabbrica tessile Gazl Masri, 24000 operai, dopo i massicci licenziamenti del 2001, si precipitano nei seggi. Alta è l'affluenza nel Delta del Nilo, soprattutto di donne. Manifesti elettorali della fratellanza campeggiano nel centro della città, cresciuta intorno alle industrie tessili Gazl Masri nella regione di Gharbya. Mahalla ha un’antica storia di lotte operaie. Il movimento ‘6 aprile’ ha iniziato qui le sue campagne a difesa dei lavoratori nel 2008. «La Rivoluzione non è finita» – racconta al manifesto Wedad, operaia di Gazl Masri. «Siamo entrati di nuovo in sciopero a settembre per le pessime condizioni di lavoro così come andavamo sotto la residenza di Mubarak a Qasr el-Qobba ben prima delle rivolte » - continua l’operaia. Alla crisi economica legata all’instabilità politica si unisce la cronica crisi dell’industria del cotone, oppressa dalla concorrenza cinese. «Voto per Kutla (coalizione di socialisti e liberali) perché l’interesse pubblico non sarà mai assicurato dagli islamisti» - continua Wedad. La risposta alla politica di liberalizzazione economica, avviata da Anwar al Sadat negli anni settanta, iniziò proprio con gli scioperi delle industrie tessili di Helwan e Mahalla. Il punto di non ritorno venne raggiunto con lo sciopero generale del ’77 la cui repressione causò 79 morti. Già Gamal Abdel Nasser aveva saputo disattivare la classe operaia egiziana, integrando i sindacati nel regime, avviando la grande riforma agraria e determinando la nascita di industrie di grandi dimensioni, coesistenti con le piccole imprese precapitalistiche. Mahalla è tornata protagonista delle proteste nel grande sciopero dell‘industria tessile «Sigad» del 1985. Hamdi Hussein, attivista del partito socialista, è stato in prigione decine di volte, l’ultima per aver brandito le foto di Mubarak, impresse su una bara, negli scioperi del 1988. «Sostengo gli operai indipendenti candidati e il parito el-Adl (giustizia)»- dichiara al manifesto Hamdi. ''La Rivoluzione continua (coalizione di sinistra) è praticamente assente nelle nostre liste elettorali, per questo voterò soltanto candidati individuali che sostengono i diritti dei lavoratori, come Hosman Zeina» - aggiunge Gamal Hassanin, responsabile del Sindacato dei lavoratori. Gli attivisti di El-Adl non hanno trovato un accordo con i comunisti per la stesura di liste elettorali comuni. "Siamo i giovani e gli operai che hanno fatto la Rivoluzione nella piazza Shon di Mahalla", aggiunge Abd el Monim, politico di El-Adl. La sinistra egiziana, imbevuta di nazionalismo negli anni di integrazione nel regime di Mubarak, cerca un nuovo impulso dal movimento rivoluzionario. E per ora, l'unico segno viene dalle lotte sindacali. “Il principale risultato delle rivolte è che possiamo difendere meglio i diritti dei lavoratori, anche se i militari operano per disattivare la legge sulle libertà sindacali voluta dal ministro del lavoro, Ahmed al-Borai” – conclude il sindacalista. D’altra parte, il terzo turno delle elezioni parlamentari, presenta la grande incognita delle dinamiche tribali nel Sinai. Nel dopo Mubarak, stato e tribù sono in lotta per il controllo del territorio. Secondo la stampa indipendente, i beduini, armati fino ai denti, spesso di fucili e pistole che arrivano dai tunnel sotterranei della Striscia di Gaza, hanno formato gruppi di autodifesa durante le rivolte, ancora attivi. Per il voto il valico di Rafa è stato chiuso. Se i beduini, essenziali per assicurare la sicurezza dei gasdotti, vengono integrati nella polizia locale, i fratelli musulmani, per attrarre voti, premono per l’introduzione dei costumi tribali (urf) nel diritto amministrativo.




Giuseppe Acconcia

 


2011, la nostra prima rivoluzione

Il metaesercito della cultura (1952-2011)



Sheikh Imam cantava: “nei nostri campi c’è chi come noi lavora con le mani/le birrerie vicine alle industrie e le prigioni al posto dei giardini/lascia (sicurezza di stato) i tuoi segugi per strada e chiudici nelle tue prigioni/non lasciarci dormire nei nostri letti/dormiremo in prigione e non nei nostri letti/domanda di noi nei giorni della Rivoluzione/l’abbiamo fatta e a noi basta/sappiamo chi ci ha feriti e conosciamo noi stessi/lavoratori, contadini, studenti, il nostro orologio suona e iniziamo/imbocchiamo una strada senza ritorno perchè l’onore è vicino ai nostri occhi”. Ahmad Foad Nigm, ottantenne poeta vernacoliere egiziano, scrisse questi versi dopo la Rivoluzione del 1952. Pensa di scrivere di nuovo, guarda le immagini dei moti egiziani scorrere sullo schermo e racconta, rinato nel fisico e nello spirito. “L’esercito inglese ha aperto l’Egitto all’Europa e spronato il popolo a liberarsi dall’occupazione. Nonostante negli anni ’40 fossero nati partiti e movimenti politici, solo l’esercito egiziano seppe usare questo sentimento. Il primo ministro Ali Maher andò dal re Farouk perchè accettasse le sue dimissioni. Il re firmò, ma lo richiamò poco dopo per siglare un nuovo documento. La prima volta la sua mano tremava. La comparsa di Nasser all’interno dell’esercito e la sua allenza con i socialisti cambiò ogni cosa in Egitto. E Sadat, talento d’ignoranza, è stato il portavoce dell’esercito. La Rivoluzione del 1952 fu contro la borghesia feudale. Da quel momento, l’esercito dovette vedersela con i comunisti: gli operai di Mahalla vennero fucilati in pubblico per questo. Dopo di che, l’esercito ha dovuto confrontarsi con gli islamisti. Ha sempre cercato di mantenere buone relazioni con Stati Uniti e Fratelli musulmani da una parte, sovietici e comunisti egiziani dall’altra. Così facendo, l’esercito ha vanificato gli sforzi rivoluzionari del 1952”.
Nigm è entusiasta, questa non è una rivoluzione militare. “Il 2011 sarà ricordato come l’anno della prima Rivoluzione in Egitto, sono felice e orgoglioso per questo. L’intera popolazione è scesa in piazza. Aspettate finchè sarà completata, sarà una leggenda da raccontare! Gente senza il coltellino per sminuzzare la cipolla ha affrontato un gigantesco sistema di sicurezza di stato, che si è sbriciolato. Tutti ora credono nei giovani, sono andati in trenta a Tahrir e sono diventati un milione. E ancora sono lì. Questa abilità di spingere la gente in piazza non ha un colore politico. Ha fatto più Wael Ghonim con la sua pagina Facebook “Siamo tutti Khaled Sayd” che comunisti e Fratelli musulmani. Gli egiziani hanno fatto la Rivoluzione contro un regime potente e corrotto. Quanti sono morti? Non sappiamo quanti, se non di chi è morto davanti alle telecamere. Chi fumava colla ora pulisce i marciapiedi”.
Foad Nigm era in piazza Tahrir il 2 febbraio, durante la “battaglia dei cammelli”. La folla lo ha circondato e così lentamente ha lasciato la rivolta. Più volte in prigione negli anni di Nasser, Sadat e Mubarak, è autore anche dei magnifici testi delle canzoni di Abdel Kalim Afez. “Quanto avevamo bisogno di questo? – riprende Foad dopo una pausa di burla e aneddoti su Oum Khultum – Già nel 1919 i cuori degli egiziani cantavano, era tempo di lamentarsi per l’occupazione e la povertà. E arrivarono Sayd Derwish con il suo teatro, gli scrittori Tawfiq Hakim, Taha Hussein, Habbas Mahmud El Aqqad, e i musicisti Mohammed El Qasabji, Mohammed Fawzi, Belik Amdi. La Rivoluzione del 1952 è stato il secondo atto delle rivolte del 1919, che furono tradite da politici come Saad Zaghloul e dall’impero inglese. Ma naque allora l’Egitto come nazione: il Parlamento, il sistema dell’informazione, musica e letteratura. La cultura egiziana cambiò definitivamente. Shawki ha stravolto le parole di Abdel Taieb Mutanabi (poeta che visse nel decimo secolo in Iraq, Egitto e Siria), di Abu Ala Al Maarri e le sue Resalat Al Ghufran, che ispirarono la Divina Commedia.”
Il poeta egiziano continua ricordando alcuni episodi dei moti del 1952, che lo videro protagonista. “Abbiamo iniziato a manifestare prima dell’esercito dopo la II guerra mondiale. Grandi cose iniziarono con le manifestazioni. Restavamo di notte fuori dalla moschea di Al Azhar, avremmo dato il nostro sangue per liberarci dagli inglesi. Un uomo si unì a noi, brandiva un fornelletto a petrolio, alzava la fiamma e urlava: “Andate via o vi do fuoco”. Un giorno l’esercito inglese sparò in piazza Ismailia (ora Tahrir) contro la folla. Morì un uomo. Lo prendemmo con il sangue che scorreva, lo tenevamo in alto. Conducemmo il suo corpo fino al palazzo del re Farouk. Un ragazzo prese una bandiera egiziana da un negozio di radio e avvolse il cadavere. “Il popolo vuole il re”: urlava la folla. Nagim Pasha uscì fuori e disse che il re era ad Alessandria. La folla allora gridò: “il popolo non vuole il re”. Qualche giorno dopo, tornammo alla moschea di Al Azhar e trovammo la porta chiusa e i soldati in uniforme bianca per il caldo. Degli studenti allora urlarono: “Soldato aiutaci, chi vende il suo paese è un infedele”. E i giovani soldati applaudirono”. Sembra che ora accada lo stesso, una sorta di controrivoluzione guidata dall’esercito in accordo con i Fratelli musulmani. “Il Consiglio delle Forze armate vorrebbe fermare tutto, ma i giovani ufficiali non lo permetteranno, sono più vicini ai rivoluzionari di quanto si pensi. L’esercito resta un ordine antidemocratico, ma noi siamo un esercito nell’esercito! Mentre i Fratelli musulmani sono stati distrutti dalla prigione, sono esausti, pensano alla via verso il Paradiso.”
Nonostante la cancellazione della grande Fiera del libro, che si tiene al Cairo tutti gli anni nel mese di marzo, piccoli editori hanno improvvisato affollatissime fiere di quartiere, come a Zbakeya, Attaba. Giovani autori, come Youssef Rakha e Mahmoud Atef, scrivono brevi racconti e poesie sulla Rivoluzione, Foad Nigm ha ispirato questa nuova generazione di artisti, ma il linguaggio e i mezzi sono completamente cambiati. È in corso un nuovo 1952, che avrà degli effetti indefinibili sulla cultura egiziana. Magdy El Saeef, disegnatore di graffiti era in giro per il Cairo con Omar Mustafa e Mohammed Fami (detto Mufa) per colorare le mura di via Mohammed Mahmud, di Bab el louk, Champollion e perfino Dokki. Alcune scritte: pane, il pugno chiuso, 25 gennaio, sono Khaled Sayd. “Giravamo bardati con i nostri spray e le nostre giubbe dalle mille tasche. Ma alcuni graffiti sono stati già cancellati”. Secondo Magdy c’è una grande differenza tra i rivoluzionari del ’52 e quelli del 2011. “Questa volta abbiamo ottenuto un risultato. I giovani che erano in piazza non sono quelli del 1952. Sono ispirati da internet, hanno orizzonti diversi, hanno sviluppato un nuovo senso dell’umorismo. E tutto è successo così velocemente e senza legami pratici con la vecchia generazione. La sorpresa di Kifaya nel 2005 e delle manifestaioni contro la corruzione e per l’indipendenza della magistratura del 2007 hanno preparato i moti del 2011. Ma la sopresa di Mubarak e di tutta la classe politica è stata grande perchè consideravano tutto questo come un cadavere. E non sono stati neppure i comunisti, i liberali o la correttezza machiavellica dei Fratelli musulmani, che fino all’ultimo momento hanno discusso con Suleiman, ad ispirare questi giovani. E allora cosa? Anche i tanti film che vengono da oltreoceano”. Magdy è consapevole che questo è solo un primo passo verso il pluralismo. “Il nostro lavoro è solo all’inizio, anche la società civile, gli editori e le aziende hanno fatto parte di questo sistema corrotto. E per questo il mio prossimo lavoro è ispirato alla “Microfisica del potere” di Michel Foucault. Come cambia l’uomo che vive le rivolte? Come si supera uno stato di polizia che lascia votare la gente su decisioni predeterminate? Come si passa da uno stato di resa ad intravedere la possibilità del cambiamento?”
Per Magdy è il tempo di disegnare e raccontare. Come lui, giovani teatranti tengono spettacoli per strada o leggono le loro storie nella libreria Merit in via Qasr El Nil e al Centro Al Hanager. Sono compagnie indipendenti come Sabeel (fontana pubblica), Hala (stato della mente), Soo’Tafahom (incomprensione), Hawasa (allucinazione), Nas (gente) e Ana El-Hikaya (la storia sono io). Raccontano la Rivoluzione attraverso le testimonianze di chi era in piazza usando canzoni, poesie, mimo e danza. Mustafa Sayd, giovane oudista della scuola classica, spera che questi movimenti si trasformino in nuova linfa per la musica araba. Ma sembra scettico. “Le scuole persiana, turca, iraqena e egiziana sono dialetti di un unico sistema musicale. A partire dagli anni ’40, hanno preso dall’Occidente non solo mezzi tecnici, ma l’armonia verticale. E così dopo i grandi classici Azuri Arun, Mohammed Qasabji e Abdu El Hamuli fino a Ryad Sambati e Saliba Qatrib negli anni ’40, la musica araba è stata schiacciata dal sistema occidentale e ha perso l’armonia lineare che la catterizzava, diventando melodia”. È rimasto poco del passato e il mezzo popolare di espressione non è solo l’oud, ma il rap dei giovani di Alessandria e dei quartieri poveri del Cairo. I rapper riempiono le loro canzoni di temi sociali usando il dialetto mischiato a parole straniere. Ahmad Mikki per tutti, chiede la libertà per l’Egitto riferendosi agli incendenti nella partita Egitto-Algeria in Sudan nel 2010. Ma il numero di nuovi rapper è infinito: gli Arabian Knights di “Non siamo i tuoi prigionieri”, Mc Amin di Mansoura e gli Y crew di Alessandria. Rommel B e Priesto parlano dell’integrazione delle donne arabe all’estero, mentre gli Egy Rap school si soffermano sulle ragazze egiziane vestite all’occidentale e in “Stop al governo” hanno incitato alla Rivoluzione per i diritti ben prima del 25 gennaio. Amr Ahah riprende le canzoni popolari dei matrimoni, genere Adaweya degli anni ’70, parlando degli attacchi ai centri commerciali durante le rivolte. “Parliamo di Rivoluzione, era un sogno/l’abbiamo disegnato con la nostra rabbia/è venuta perchè il cieco dittatore usa il potere/manifestiamo contro le loro povere idee, le loro ingiustizie, la finta faccia dietro la bandiera dell’Islam/vediamo i volti delle manifestazioni, ascoltiamo le loro voci e non aspettiamo l’aiuto degli americani”: canta Hossem El Hosseini.



Giuseppe Acconcia
Alias, sabato 14 maggio 2011
http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/alias/


I princìpi d'Egitto

La "meglio gioventù"


Tra arte e politica, la rivoluzione dei giovani egiziani è ancora nel vivo. Manal racconta insieme al marito Alaa, nel blog manaal.net, le storie delle donne egiziane della rivoluzione: le attiviste di Kifaya! (movimento antiregime nato nel 2005), le infermiere che curavano i feriti in strada e le madri che continuano a tenere vivo il ricordo dei loro figli uccisi negli scontri. Come lei, centinaia sono gli artisti e gli attivisti che, parlando delle rivolte, motivano i giovani rivoluzionari ad andare avanti.
Ormai, confronti e dibattiti hanno preso il posto di scontri e proteste nelle strade del Cairo. In vista delle elezioni di novembre, le discussioni politiche si moltiplicano, sulle pagine dei blogger più seguiti: da Hamalawi, più volte minacciato dall’esercito, a Wael Abbas, più volte in prigione. I rapper, sulle orme degli Arabian nights, raccontano i nuovi stili delle ragazze, le partite di calcio e le mode tra i giovani dei quartieri più poveri. Mentre i graffitari ricoprono le mura della città in blitz notturni con i simboli delle rivolte, dal pane al giovane Khaled Sayd ucciso a 17 anni nelle proteste.
L’Egitto è come un laboratorio in cui si misura il potere dell’esercito, le libertà degli attivisti e dei partiti. “6 aprile”, movimento nato dagli scioperi del 2008, ha deciso di non partecipare alle elezioni. Altri attivisti tentano di ripartire da zero e non si fidano di chi ha avuto benefici dal vecchio regime. Questi giovani guardano all’Europa e sono attratti da Naguib Sawiris, magnate di Orascom, sceso in politica per una nuova destra liberale. Altri ragazzi seguono la miriade di partiti socialisti e comunisti nati, nei giorni delle proteste, dalle ceneri dei vecchi movimenti di sinistra. O fanno i conti con la frammentata galassia dell’islamismo politico: almeno tre sono i nuovi partiti legati ai Fratelli Musulmani.
I giovani non sono soddisfatti dell’operato del Consiglio supremo delle Forze Armate che non ha cancellato la legge di emergenza e ha promosso una legge elettorale che favorisce grandi partiti e pesonalità indipendenti. Non solo, non vogliono chiudere gli occhi di fronte alle morti di soldati nel Sinai e per questo hanno tenuto sotto pressione l’Ambasciata israeliana al Cairo. Le ragazze e i ragazzi egiziani vogliono un futuro diverso, dove ci sia spazio per una città più ordinata, diritti per le donne, un occhio al passato e l’altro alla modernità. Questi sono i giovani che hanno fatto la ‘Rivoluzione’.



Giuseppe Acconcia
Marie Claire
Novembre 2011

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