sabato 5 marzo 2011

Apolidia

Un attimo fa ho trovato nelle mie tasche disordinate
le chiavi di un albergo
che ho dimenticato di consegnare,

Pietro ritornò trasformato da un solo viaggio
tanto da rivoluzionare l’architettura
della città costruita sugli scheletri,

mentre continui peripli intermittenti
resero l’uomo apolide
nel logico tentativo di sguazzare

il più a lungo possibile nel liquido amniotico
per sentire il corpo rinascere
ed imparare dai suoi errori.

Mentre alcuni ragazzi entravano nella metropolitana puntuale
alla ricerca della morte,
conferendo all’ingresso una forza esagerata,
come di impossibile suicidio,

altri vivevano in comune, segregati tra le montagne,
e con sguardi sbiechi trasformavano un luogo franco
in nevrosi di gruppo, rifugio alternativo per chi,
non trovando posto nel mondo, opponeva apolidia.

Alcuni si affannavano alla ricerca
di un lavoro qualsiasi,
abbandonate antiche velleità creative,
per sacrificare tutto alla dittatura della vita,

altri si immergevano in un lavoro lento,
perenne, immutabile, felicità: compagno e amiche,
sopravvivendo in minuscola sottocultura formata
da due persone, tenute insieme dall’identità di genere
più che da teste simili, che  ripetevano punto per punto
le proprie ragioni per opporsi a quei fascisti
che avevano largo spazio negli uffici.

Alcuni trentenni si agitavano
e sospiravano nell’attesa del bambino
che completasse l’opera di rovesciamento
dell’infanzia vissuta a parte,
in perfetta aderenza con lo stile maggioritario,
per risolvere con efficacia l’insopportabile appartenenza ad una minoranza.
Badate, rimaneva la sensazione di aver scelto
una vita diversa dalle altre, apolide,
grazie alla conoscenza completa, specifica, acquisita lentamente.

Altri, più vecchi, raggiungevano cerchi
per passare il loro tempo coccolati
dalle domande incrociate e dalle certezze recitate,
come oratori esperti, per trovare conferme assolute
al lesbismo scoperto in età avanzata,
alle conversioni mistiche incomplete,
all’allontanamento dai piccoli conservatóri del mondo,
alla rinuncia al conformismo della velocità superficiale.

Già anni prima avevano tentato di concludere
questo lungometraggio, ma i protagonisti furono ritrovati
tutti morti poiché, per la prima volta,
realtà e piacere combaciarono per un istante,

ma la donna nuova, muovendosi nel tempo tra ieri e oggi,
ha salvato dalla morte una delle protagoniste di questa storia.
E così la misoginia è scomparsa.

Questo è stato l’inizio del regno delle donne
non importa se sembravano dee o puttane
perché ballavano e ridevano,

e quando la moglie ha confessato la verità
dell’antico assassinio con cacciavite,
la storia dell’apolidia è finita.

Però, continua nella mia testa,
descrivendo il mio tragitto verso l’omicidio
lento di ogni imposizione

tanto da gettare nell’abisso miti estetici fasulli
e scoprire la necessità di una specialità solitaria
poiché per Ande, Tibet e Panshir
qualche giorno non basta

e se nemmeno questo dovesse andare bene
sono pronto a rimanere solo
poiché anche se solo, in assenza di ogni rumore,
sento sempre il sibilo assordante di un acufene.

Giuseppe Acconcia
Tratto da "1,2,3 liberi tutti!" 2007

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