venerdì 11 gennaio 2013

Cairo guarda all'Iran con l'aiuto del Qatar


Fervono i preparativi al Cairo per le elezioni parlamentari di primavera. E viene sciolto il primo nodo: la legge elettorale che era costata la chiusura del Parlamento lo scorso giugno. Ma lo schema non cambia: due terzi dei deputati saranno eletti tra liste di partito; un terzo dei seggi sarà riservato invece a candidati indipendenti. Tuttavia, dure critiche alla legge sono state mosse dai parlamentari Mamdouh Ramzy e Emil Yacoub che avrebbero preferito quote garantite per la minoranza cristiano-copta e per le donne. A questo punto la legge dovrà essere approvata dalla Corte costituzionale e la data delle elezioni (nel mese di aprile, secondo fonti dei Fratelli musulmani) sarà annunciata a fine febbraio.
Con la nuova legge elettorale, i partiti si riorganizzano. Ancora una volta il Fronte delle opposizioni si spacca annunciando la formazione di due liste separate: una di liberali e cristiani dei Partiti Wafd e degli egiziani liberi; l’altra dei nasseristi della Corrente popolare di Hamdin Sabbahi. Mentre è stato approvato dal Comitato per gli Affari politici della Camera alta (Shura), che detiene il potere legislativo in seguito all’approvazione della Costituzione lo scorso 22 dicembre, il Partito del movimento nazionale. A presentare richiesta per la formazione di questo partito è stato l’ultimo primo ministro di Mubarak, Ahmed Shafiq, in esilio volontario negli Emirati.
Mentre il giro di vite all’interno di Libertà e giustizia, partito dei Fratelli musulmani, è entrato nel vivo. Essam el-Arian, ideologo del movimento e presidente del gruppo parlamentare islamista alla Shura, ha lasciato i suoi incarichi di partito per dedicarsi interamente all’attività legislativa. D’altra parte, un primo rimpasto di governo ha portato alla nomina del nuovo ministro dell’Economia, al-Sayed Hegazy, esperto di finanza islamica. Mentre il nuovo ministro dell’Interno è il generale Mohammed Ibrahim. Secondo indiscrezioni pubblicate sulla stampa locale, il siluramento del ministro dell’Interno uscente, Ahmed Gamal al-Din, si sarebbe reso necessario per la sua netta opposizione ad incontri tra politici islamisti e uomini dell’Intelligence egiziana con un alto comandante dei Pasdaran iraniani, Qassem Suleimani. Nell’agosto scorso, Morsi aveva visitato per la prima volta Tehran in occasione della Conferenza dei paesi non allineati riattivando relazioni diplomatiche con l’Iran, formalmente congelate in seguito al riconoscimento di Israele da parte delle autorità cairote. Ieri il presidente egiziano ha incontrato anche il ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Salehi, in visita nella capitale egiziana per discutere della crisi siriana. Salehi, in un’intervista televisiva, ha auspicato un riavvicinamento tra Cairo e Tehran nel rispetto degli interessi reciproci.
A tranquillizzare le acque in un paese dilaniato dalle disuguaglianze sociali e dalla continua svalutazione della lira egiziana, è arrivato ieri l’annuncio di un prestito pari a 1,9 miliardi di euro dal primo ministro del Qatar, Sheikh Hamad bin Jassim al-Thani. Secondo fonti governative, gli aiuti sarebbe immediatamente disponibili. Tuttavia, restano aperte le porte del Fondo monetario internazionale (Fmi) per rinegoziare il prestito di 3,8 miliardi di euro, bloccato lo scorso dicembre, per il rinvio dei tagli alla spesa pubblica richiesti dall’Fmi come rischioso prerequisito al Cairo. Infine, il clima di estrema incertezza e scontro settario che vive l’Egitto del dopo rivolte, iniziate nel gennaio 2011, viene confermato da una notizia, resa nota da fonti militari. Due veicoli carichi di esplosivo si sono diretti verso una chiesa cristiana a Rafah, nel Sinai. L’attentato sventato avrebbe dovuto aver luogo in occasione delle festività del Natale ortodosso lo scorso sette gennaio. Mentre l’udienza di ieri ha rinviato a giudizio al prossimo marzo gli attivisti imputati nel processo contro le organizzazioni non governative che hanno ricevuto finanziamenti dall’estero, avviato lo scorso febbraio. Le autorità egiziane avevano perquisito e chiuso alcune ong, vicine a Stati uniti e Germania, accusate di operare senza licenza e di usufruire di fondi illegali, provocando reazioni durissime di attivisti e politici.

Questo articolo è stato pubblicato su Il manifesto dell'11 gennaio 2013

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