lunedì 3 dicembre 2012

Ilan Pappè


DOVE È LA PACE

Palestina • Lo storico israeliano Ilan Pappè al manifesto: «L’accordo tra Hamas e Netanyahu è fragile, le incognite sono la nuova Siria e il nuovo Egitto»

INTERVISTA · Lo storico israeliano Ilan Pappè sui limiti dell’accordo tra Hamas e Israele

«Solo una pausa della guerra»

Giuseppe Acconcia

«Qualsiasi tregua può essere solo temporanea e sulla carta», è il commento di Ilan Pappè, docente di storia e direttore del centro europeo per gli studi palestinesi all’Università di Exeter in Gran Bretagna. «Sono sorpreso che Hamas accetti un cessate il fuoco senza concessioni inmerito all’embargo su Gaza. In questo momento non vedo quale possa essere il beneficio per la Palestina. Entrambe le parti vogliono prendere una pausa dai combattimenti: quindi accetteranno una tregua temporanea e non un cessate il fuoco permanente. In altre parole, la tregua è parte del conflitto, non lo conclude ma prepara ad altra violenza», spiega lo storico Pappè. Se il conflitto proseguisse, il passo seguente potrebbe essere l’invasione terrestre da parte di Israele. «Ora il governo israeliano lavora a due possibili modelli di invasione. Il primo è il modello libanese del 2006. Anche se in quell’occasione, l’esercito israeliano non ha brillato per iniziativa militare, ma ha trovato una soluzione stabile a Beirut. La seconda opzione seguirebbe il modello dell’attacco in Cisgiordania del 2002, Scudo difensivo, cioè un’invasione terrestre temporanea. Il governo israeliano sa che rioccupare Gaza significa formare nuovi attentatori suicidi. Per questo, l’intenzione israeliana è a non fare ricorso ad un’operazione di terra - prosegue Ilan Pappè - Non solo, il governo israeliano si rende conto che  un’invasione di terra in questo contesto regionale sarebbe controproducente. Le autorità israeliane non sanno come il nuovo Egitto o la nuova Siria potrebbero reagire», spiega il docente. Ma l’Egitto dei Fratelli musulmani non sembra aver assunto un ruolo di rottura nel fronteggiare il conflitto. «Questa crisi è arrivata prematuramente e le autorità egiziane non sono ancora pronte ad affrontarla. Presto, l’Egitto avrà una politica indipendente dagli Stati uniti sulla questione palestinese. È vero che l’atteggiamento del governo egiziano può ricordare le politiche dell’ex presidente Mubarak di sostegno incondizionato ad Israele, ma qualcosa sta cambiando. Per esempio, il presidente, Mohammed Morsy, non ha invitato un solo rappresentante israeliano nel palazzo presidenziale. Ora sono solo i servizi segreti militari a curare gli incontri con gli emissari israeliani», aggiunge Pappè. Cosa è cambiato esattamente con l’elezione dei Fratelli musulmani? «I Fratelli musulmani hanno una qualche legittimità democratica e vogliono farla valere. In altre parole, la Fratellanza sa di rappresentare la volontà popolare in merito alla causa palestinese. E così, la crisi del 2012 a Gaza segnerà la fine dei vecchi meccanismi politici in Medio oriente e l’inizio di un nuovo corso», assicura lo storico israeliano.
E’ molto interessante la posizione del presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, e la sua intenzione di presentare la richiesta di ammissione della Palestina come stato non membro delle Nazioni unite il prossimo 29 novembre. «Abu Mazen diventa sempremeno rilevante, il riconoscimento delle Nazioni unite avrebbe un valore simbolico. La costruzione dell’Autorità palestinese è compromessa dall’inizio, ha permesso lo stato di apertheid dei territori e per questo ha concluso la sua funzione storica». Pappè è sicuro che è alle porte una nuova esplosione del conflitto israelo-palestinese. «Le divisioni tra le due fazioni palestinesi, Hamas e Fatah, sono destinate a sparire con il tempo. Il presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, sa bene ad esempio che l’attacco di oggi a Tel Aviv non è opera di Hamas ma di Fatah. D’altra parte, il riconoscimento di uno stato palestinese darebbe ad Hamas maggiore credibilità nelle azioni di resistenza armata e allo stesso tempo ridurrebbe le distanze tra le due fazioni palestinesi. In altri termini, se non ci fosse presto un accordo tra Hamas e Fatah, l’Autorità palestinese si allontanerebbe sempre di più dalla reale situazione sul campo mentre la terza Intifada si avvicinerebbe inesorabilmente».MaancheHamas sta commettendo degli errori. «Hamas è un movimento dogmatico, non sa essere flessibile nei momenti cruciali. Ma, come si evince da questa crisi, con le azioni armate non si raggiunge alcun risultato, è necessaria la resistenza popolare contro Israele. Neppure Hamas sa rappresentare la volontà del popolo palestinese, i giovani, le generazioni in esilio non si riconoscono né in Fatah né in Hamas. E così, elezioni democratiche direbbero che nessuno dei due gruppi rappresenta il popolo palestinese». E non solo, quest’attacco sembra chiarire che le elezioni politiche israeliane del prossimo 22 gennaio sono all’origine dello scontro. «Questa crisi rafforza la destra israeliana. Se in principio il primo ministro, Benjamin Netanyahu, era sicuro di vincere le elezioni, con l’alleanza politica con il leader del partito di destra, Avigdor Lieberman, ha perso il sostegno dei partiti di centro e la certezza di vincere. E così, l’attacco su Gaza ha permesso di distrarre l’opinione pubblica israeliana dalle questioni interne».

E come intervengono gli Stati uniti? «La posizione degli Stati uniti è molto deludente. C’è un nuovo spazio negoziale per Turchia, Russia, Cina, India e Iran. Israele potrebbe tentare di essere parte di questo nuovo Medio oriente, invece risponde ancora alla logica secondo cui l’appoggio americano garantisce la sua indipendenza a prescindere dal nuovo contesto regionale», conclude Pappè.

Il Manifesto
Internazionale, Dove è la pace, pag.3
giovedì 22 novembre 2012

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