martedì 29 novembre 2011

Iran- Iraq e sanzioni

La novità principale della Risoluzione 1747, appena approvata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, è il bando all’esportazione di armi iraniane. Questo è l’ultimo di una serie di segnali che chiariscono la volontà degli Stati Uniti di legare indissolubilmente la questione del nucleare iraniano alla stabilità del vicino Iraq. Inoltre, il recente arresto di 15 militari inglesi sullo Shatt-al-arab, contestata linea di confine tra i due paesi, conferma che il casus belli per lo scoppio di un conflitto con l’Iran potrebbe venire dalla situazione irachena ancor più che dalla questione nucleare.
Dalla fine della guerra in Iraq, l’amministrazione Bush ha accusato l’Iran di fornire armi alle milizie sciite di Moqtada al Sadr e ad altri gruppi sciiti controllati direttamente da Teheran. Inoltre, nel dicembre scorso il quartier generale del Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica (SCIRI) a Baghdad è stato colpito da raid dell’esercito degli Stati Uniti. In quell’occasione sono stati arrestati due iraniani con l’accusa di appartenere alle Brigate Qods, una squadra dei pasdaran, e sono state mostrate anche le foto di alcune bombe sequestrate, tra cui un missile e ordigni esplosivi.
Due fatti molto gravi avvenuti negli ultimi mesi hanno confermato l’intenzione di limitare la presenza iraniana in Iraq. In primo luogo, Ammar al-Hakim è stato tratto in arresto per alcune ore al confine tra Iran e Iraq. Si tratta del figlio di Abdul Aziz, guida dello SCIRI dopo l’attentato del 2003 costato la vita al leader storico del movimento. In secondo luogo, si ricorda l’incursione americana del gennaio scorso al consolato iraniano di Erbil, una delle città principali del Kurdistan iracheno, durante la quale sono stati sequestrati computer, documenti ed arrestate cinque persone.
L’Iraq condivide con l’Iran un ampio confine territoriale, una medesima posizione di potenziale leader del Golfo Persico ed una maggioranza della popolazione di fede islamico sciita. Lo SCIRI venne fondato in Iraq nei mesi successivi alla Rivoluzione islamica del 1979. La formazione dello SCIRI provocò la dura repressione della comunità sciita irachena da parte del partito Ba’ath di Saddam Hussein. Il ba’athismo si presentò come il baluardo dell’opposizione alla diffusione della Rivoluzione islamica tra i paesi arabi. Anche per questo, l’Iraq ottenne il sostegno dei paesi arabi e degli Stati Uniti nella guerra contro l’Iran. Negli anni ’90, gli Stati Uniti hanno inaugurato una politica di doppio contenimento tra Iran ed Iraq rafforzando il loro controllo del Golfo Persico con il sostegno assicurato all’Arabia Saudita per la guida della regione. Questa strategia avrebbe dovuto lentamente condurre all’isolamento dell’Iran ed al rovesciamento del governo ba’athista iracheno.
Le due guerre del Golfo del 1990 e del 2003 hanno visto l’Iran giocare un ruolo di “neutralità attiva”. Alcuni mesi prima del secondo attacco degli Stati Uniti all’Iraq, i contatti tra SCIRI e Ahmed Chalabi, leader dell’allora maggior gruppo di opposizione al partito ba’athista, il Congresso nazionale iracheno, si intensificarono. Le autorità iraniane stavano lentamente attivando i contatti con lo SCIRI, con il Partito curdo PUK ed il partito islamico al-Da’wa. Con la caduta del governo ba’athista, l’azione iraniana in Iraq si è rafforzata. La permeabilità del confine tra i due paesi ha permesso a numerosi pellegrini di raggiungere le città sante sciite di Najaf e Kerbala rafforzando anche gruppi sciiti iracheni.
Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno avviato operazioni incisive per ridimensionare la presenza iraniana in Iraq. In primo luogo, hanno favorito meccanismi di cooptazione all’interno dello SCIRI e del partito al-Da’wa per limitare il ruolo delle figure affiliate a questi gruppi e legate all’Iran. In secondo luogo, hanno accordato maggior autonomia ai curdi iracheni generando preoccupazione per le rivendicazioni indipendentiste della comunità curda presente nel Kurdestan iraniano. Infine, hanno accordato lo status di rifugiato politico a migliaia di mojahedin-e kalqh (MEK) iraniani presenti in Iraq. Il MEK è un gruppo iraniano di ispirazione islamico-comunista, in esilio dai primi anni ’80, finanziato e sostenuto dal Ba’ath e responsabile di vari attacchi terroristici in Iran.
L’instabilità del vicino Iraq è un problema serio per la sicurezza iraniana. Tuttavia, la frammentazione della comunità sciita irachena rende di difficile comprensione la reale dimensione della presenza iraniana nel paese. Inoltre, Al Sistani, la massima autorità sciita irachena, ayatollah di Najaf, si è sempre opposto alla teoria khomeinista della velayat-e faqih, promuovendo, al contrario, la separazione tra religione ed istituzioni politiche. Di sicuro, l’Iran vuole un vicino che abbia un governo stabile. Ingigantire le accuse mosse all’Iran di fomentare la resistenza irachena ha come conseguenza la sottovalutazione delle responsabilità americane e di gruppi sunniti iracheni e stranieri nella guerra civile che dilania il paese. Ma non solo, questa strategia chiarisce la volontà delle autorità degli Stati Uniti di unire alla questione di lungo periodo del nucleare, un pretesto immediato per demonizzare l’Iran o addirittura per presentare come inevitabile un attacco armato contro questo paese.



Giuseppe Acconcia
Lettera 22

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