giovedì 7 aprile 2011

La nuova sinistra egiziana. Intervista ad Hamalawi

Essam Hamalawi
“Una nuova sinistra parte da un nuovo sindacato”. Essam Hamalawi, giornalista di Al Ahram e blogger (arabawi.org) è tra i fondatori del nuovo Partito dei lavoratori. “Prima di tutto, la sicurezza di stato deve essere smantellata e il partito di Mubarak bandito”: Essam ha le idee molte chiare. “I membri corrotti del vecchio regime - continua - devono essere processati da tribunali militari. Non è possibile che i manifestanti vengano giudicati da corti marziali mentre El Adly e Ahmad Azz da corti civili.” Secondo Essam il risultato più importante delle rivolte è l’annuncio del nuovo Ministro del lavoro, Ahmed El Borai. I lavoratori egiziani avranno finalmente il diritto di formare sindacati indipendenti dal governo. Durante la presidenza Mubarak esisteva un sindacato federale unico in Egitto, composto di 24 unioni di base, 22 delle quali guidate da uomini del partito nazionale democratico. “È già nato il primo sindacato indipendente - aggiunge Essam - che comprende ammistratori pubblici, insegnanti, tecnici sanitari e pensionati”. Proprio in seguito a queste dichiarazioni, il segretario generale dell’ILO, Juan Somavia, in visita al Cairo, ha dichiarato che l’Egitto uscirà dalla lista nera dell’organizzazione. 
Secondo Essam, il nuovo Partito dei lavoratori includerà giovani dei movimenti, contadini e operai. L’attivista non teme una competizione elettorale con gli islamisti su temi sociali: “i Fratelli musulmani non si sono mai occupati di classe operaia, anzi membri del Wasat e dell’ufficio politico della confraternita si sono espressi più volte a favore delle privatizzazioni”. Sul rapporto tra scioperi e rivoluzione, Essam aggiunge: “le domande settoriali di poche centinaia di lavoratori che si incontrano nei pressi dei ministeri o per strada stanno riportando l’Egitto al clima prerivoluzionario”. E perchè mai la “rivoluzione” non è diventata un fenomeno politico? “I membri della classe media e delle aziende private dopo le dimissioni di Mubarak sono tornati al loro lavoro – risponde Hamalawi -, mentre i lavoratori di Suez, dei trasporti, delle industrie militari, i proprietari terrieri, gli insegnanti, gli impiegati dell’aviazione, i poliziotti non possono riprendere la loro quotidianità ignorando quello che è successo. Dal mio punto di vista dovrebbero comprendere quanto le loro rivendicazioni coincidano con gli slogan di piazza Tahrir”. Sin dal 28 gennaio, la gente delle classi più disagiate si è unita ai manifestanti della prima ora e ha cercato di far sentire la propria voce fino allo sgombero del 9 marzo. Ma i movimenti non hanno finora saputo integrare le richieste dei lavoratori per portare la rivoluzione a definire concrete richieste politiche.
Sul Consiglio delle forze armate, Essam aggiunge: “tutti speriamo che questo governo militare finisca al più presto. E che gli episodi dubbi sull’uso della violenza vengano chiariti. L’esercito non è intenzionato a governare giorno per giorno, ma solo a tenere alcuni punti fermi come l’alleanza con gli Stati Uniti e il trattato di pace con Israele”. Anche secondo Hamalawi, il ruolo dell’esercito è stato essenziale per la deposizione di Mubarak. Ma presto verranno fuori le lotte clandestine: “all’interno delle forze armate c’è una vera divisione di classe molto fragile tra Consiglio supremo, ufficiali e i poverissimi giovani militari”. Secondo Essam, “se l’esercito ha accelerato così tanto sul referendum e sulle elezioni parlamentari è proprio per mascherare le divisioni interne.” Le forze armate hanno sostenuto tacitamente o apertamente il “sì” al referendum. Mentre membri dell'ex partito di Mubarak e Fratelli musulmani erano fuori dai seggi per spingere la gente a votare “sì”. Secondo Hamalawi, “c’è un accordo tra islamisti ed esercito, il rilascio di Kairat Shater e della maggiorparte dei progionieri politici ha facilitato il netto e forte sostegno degli islamisti al “sì” ”.
L’esercito sembra agire come ha sempre fatto Mubarak concedendo spazio agli islamisti nel momento della necessità. È ancora da chiarire quale spazio avrà invece la sinistra nel nuovo Egitto. Una base elettorale di 4 milioni di voti, coloro che hanno votato “no” al referendum, può essere il punto di partenza per arginare le preoccupanti tendenze antirivoluzionarie in atto.

Giuseppe Acconcia

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