Egitto • Gli attivisti lasciano Heliopolis, tre cortei in marcia verso il palazzo del presidente che diventa «fortezza» circondata da tank e cavalli di Frisia protetti dai militari. La protesta non si ferma
Tank in piazza, Morsi apre all’opposizione
Alla fine il presidente egiziano chiama l’opposizione al dialogo per domani, annunciando che potrebbe annullare l’articolo 6 del decreto costituzionale che amplia i suoi poteri
Giuseppe Acconcia
IL CAIRO
Le strade che da Roxy
conducono ad Heliopolis sono transennate. Intorno alla fortezza di Morsi, il
palazzo di Ittihadia, ci sono ancora giovani e attivisti pronti a passare qui
la notte. «Ero con lui fino al giorno prima che diventasse presidente, ora penso
che i Fratelli musulmani non siano in grado di governare», ci racconta Abu Bakr,
guidatore di microbus diretto verso piazza Tahrir. Nel pomeriggio di ieri
sembrava tornata la calma nel quartiere di Heliopolis. La guardia presidenziale
aveva imposto ai manifestanti di lasciare le strade del quartiere residenziale.
Mentre si vedevano intorno all’ingresso del palazzo di Morsi, tre carri armati
dell’esercito e nuove barricate. E tutti, laici e Fratelli musulmani, avevano deciso
di abbandonare il campo di battaglia. Ma subito dopo, gli attivisti di
opposizione hanno sfidato il divieto di manifestare prendendo parte a tre
diversi cortei che hanno raggiunto Heliopolis di sera. Uno è partito dalla cattedrale di Abbasseya, l’altro
dalla moschea el-Nour sempre dal quartiere di Abbasseya, il terzo dalla moschea
Raba al-Adawia di Medinat Nassr. «Siamo contrari alla guida del murshid (guida
spirituale islamica, ndr)», «Questa notte è la fine della Fratellanza»,
«La chiamano Libertà e Giustizia, ma hanno ucciso i nostri fratelli con
proiettili», gridavano i manifestanti. Gli attivisti si sono dati poi
appuntamento per oggi in piazza Tahrir per una grande manifestazione contro il
referendum costituzionale. Tra la gente si faceva fervente l’attesa per il discorso
presidenziale. Secondo la stampa conservatrice, che circolava per strada, Morsi
avrebbe potuto annunciare di voler posticipare il referendum, previsto per il prossimo
15 dicembre. Non solo, il premier Qandil aveva invece assicurato che elezioni parlamentari
si sarebbero tenute entro tre mesi.
Ma, in due giorni, uno ad
uno si sono dimessi tutti i consiglieri del presidente. Ha lasciato ieri anche
il vice presidente di Libertà e giustizia, il docente copto Rafik
Habib. «Ho deciso di abbandonare il mio ruolo politico», ha annunciato Habib. Non
solo, si è dimesso anche il presidente della televisione di Stato, Essam
el-Amir, in relazione alla crisi politica. «Nelle circostanze estrememente
delicate che sta attraversando l'Egitto rinuncio alla presidenza della
televisione egiziana affinchè possiate trovare una persona adatta a condurre le
vostre politiche». Amir ha spiegato di aver «preso questa decisione dopo aver
assistito alla manifestazione dei Fratelli Musulmani di fronte all’Università
del Cairo (dello scorso sabato, ndr)». In particolare Amir ha
stigmatizzato l’uso dei giovani islamisti da parte dei Fratelli musulmani.
«Sono inaccettabili gli appelli della Fratellanza ai giovani a riunirsi davanti
al palazzo presidenziale. Li usano come uno strumento per il conflitto e così
viene versato sangue egiziano da entrambe le parti», ha concluso. A sorpresa,
anche il comitato scientifico della massima istituzione islamica del paese, la
moschea Al-Azhar, ha chiesto ieri a Morsi di sospendere immediatamente il
decreto pigliatutto con cui ha ampliato a dismisura i suoi poteri e di
riavviare il confronto politico.
Dal canto suo, uno dei
leader dell’opposizione el-Baradei, contro il quale è stata avviata
un’inchiesta per spionaggio e incitamento alla sovversione lo scorso martedì,
si è duramente scagliato contro la bozza di Costituzione che, secondo lui, è in
stato di «morte clinica». Mentre, l’ex segretario generale Amr Moussa ha incontrato
vari politici islamisti. Contemporaneamente,
si teneva nel palazzo presidenziale un vertice fra Morsi, il premier
Hisham Qandil, e i ministri di difesa, interno, giustizia, informazione, il
capo dei Servizi segreti egiziani (Mukabarat) ed il comandante della guardia
repubblicana. A conclusione del vertice Morsi ha lasciato il palazzo da
un’uscita laterale.
Si vedono per strada solo i resti degli scontri della
notte di mercoledì in cui sono morte sette persone. Secondo il ministero della Sanità i
feriti sarebbero stati oltre 700 e 150 gli arresti. C’è anche un giornalista
egiziano fra le vittime degli scontri. È Hosseini Abul Deif del quotidiano
el-Farg, ucciso da un’arma da fuoco. Scontri sono scoppiati ieri anche a Zagazig nella
regione di Sharqiya, luogo di nascita di Morsi, nel Delta del Nilo. Dopo il
lancio di sassi tra sostenitori e oppositori del presidente, i lacrimogeni
delle forze di sicurezza hanno costretto ad evacuare l’ospedale universitario
di Zagazig a due passi dalla casa natale del presidente egiziano.
Chi spara questa volta
contro i manifestanti? Non è l’ex presidente Hosni Mubarak ad ordinarlo nè la
guida della giunta militare, eppure il sistema repressivo si riproduce
all’infinito limitando lo spazio del dissenso. Mentre i Fratelli musulmani
innescano deliberatamente gli scontri attivando i loro sostenitori ad
orologeria. Spingendoli cioè a scendere in piazza quando la tensione è alta e
la guerrilla inevitabile. Tuttavia, i Fratelli musulmani hanno rimandato al
mittente queste accuse. Secondo loro, attivisti islamisti sono presi di mira da
vandali armati. E questo sarebbe dimostrato dal fatto che 5 delle 7 vittime di
ieri sono militanti della Fratellanza. Centinaia di uomini e donne si attardano
al mercato di Attaba e più avanti dei bambini si rincorrono al mercato dei
libri di Zbakeya. In via Talaat Harb i venditori di strada urlano come al
solito. Tra rabbia e dissimulazione, si prepara un’altra notte bianca nelle vie
del Cairo.
Il Manifesto
Internazionale, pag. 8
venerdì 7 dicembre 2012
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