INTERNAZIONALE
EGITTO · Enormi manifestazioni pro e contro il referendum. Timide prove di dialogo nazionale
La «rivoluzione» non si ferma
Le strade del Cairo invase dai Fratelli musulmani, che difendono Morsi a oltranza, e dalle proteste dell’opposizione, che ancora spera in un annullamento del voto sulla costituzione. Segni di distensione dall’esercito
Giuseppe Acconcia
IL CAIRO
«Il nostro
popolo vedrà la luce, se sarà approvata la Costituzione», hanno intonato le
migliaia di sostenitori della Fratellanza intorno alle moschee Adawia e al-Rashadan
di Medinat Nassr al Cairo. Mohammed e Ibrahim urlavano il loro sostegno per
Morsi sulle schiene di altri giovani attraverso piccoli altoparlanti: «Siamo
con il presidente», promettevano. Tra la folla, alcuni anziani in galabeya, lunga tunica tradizionale,
distribuivano copie gratuite, con una copertina verde, della bozza della
Costituzione che sarà votata il prossimo sabato. Nei loro slogan, i sostenitori
della Fratellanza non hanno risparmiato nessuno: dai leader dell’opposizione
alla Corte costituzionale. E così si costruisce di ora in ora un fronte
compatto per il «sì» ai 236 articoli della nuova Carta. «Sto leggendo la
Costituzione e mi piace. Voterò ‘sì’ per il ritorno della stabilità. Non mi
spaventa che le opposizioni manifestino, ci vuole tempo perché venga realizzato
quello che Morsi ha promesso», ci ha assicurato Mohammed Abdel Raham. Khaled, invece, giovane
farmacista, ha ammesso di avere delle riserve: «Ci sono cose minori da cambiare,
ma il nuovo parlamento potrà ritoccare il testo che sarà approvato sabato». Non è della stessa opinione Walid, passeggero del piccolo
camioncino che ci ha condotto per le arterie della città, insieme ad undici
passeggeri, per arrivare a Masr el-Ghedida o Heliopolis, come la chiamano i
ricchi stranieri che vivono sulla strada per l’aeroporto. «Non può essere Morsi
a migliorare questo paese se cambia idea ogni giorno, come ha fatto con la
dichiarazione costituzionale», ha ribattuto il giovane. E infatti la scena di
Ittihadeia, il palazzo presidenziale sotto assedio da una settimana, è ben più
tesa che tra le moschee degli islamisti.
Il fronte
del «no» ancora non esiste. Questa gente spera che il referendum venga
cancellato all’ultimo momento. Con loro ci sono liberali, socialisti, copti, ma
sono riapparsi anche i feloul, gli
uomini del vecchio regime o del dissolto Partito nazionale democratico, che in
molte occasioni hanno chiesto di bocciare la nuova Costituzione. «Perché Hamdin
Sabbahi (leader nasserista, ndr) è volato
negli Emirati ad incontrare Ahmed Shafiq (ultimo primo ministro nominato da
Mubarak, ndr)?», ha chiesto
provocatoriamente Anas ai suoi amici nel bar Estorant di Roxy, sorseggiando un
tè. Il dubbio di questi attivisti è se votare o boicottare il referendum
costituzionale. Più avanti in via Mamelik erano già sistemate ambulanze e tende
di emergenza, nei giorni scorsi sono morte ben nove persone in queste strade. E
così, sono apparsi tutt’intorno al palazzo di Morsi, pannelli di plastica gialla
con minuscoli fori nei pressi dei marciapiedi attraverso cui i manifestanti
confluivano verso il palazzo. Mentre sotto i portici di Roxy, la guardia
presidenziale controllava uno ad uno le persone in entrata, a lato si vedeva
divelto del filo spinato. I primi slogan in via Ibrahim Lakani dicevano
«Abbasso, abbasso, il governo del murshid
(guida spirituale islamica, ndr)»,
ma un passo più in là i marciapiedi erano stati già trasformati in bar
all’aperto con decine di sedie di plastica, mentre dei bambini tenevano su un
pezzo di legno bicchieri, zucchero e caffè.
La guardia
presidenziale era schierata in fila sui marciapiedi che costeggiano il palazzo
di Morsi. A Ittihadeia si è trasferita la gente di Tahrir, il nuovo spazio
della pretesta è enorme e il palazzo del presidente estremamente vicino. È qui
che si sta combattendo la battaglia finale contro il referendum o l’ultima
passibilità di salvare la rivoluzione. Un signore marciava con un carretto
finto al guinzaglio, mentre gli Ultras illuminavano i palazzi con i loro laser.
«Rifiuto le decisioni di Morsi, dà gli ordini come un dittatore. Per ora non
vogliamo che il referendum ci sia perché ogni volta diventa un voto pro o contro
il presidente. Invece sono in gioco le basi del nuovo Egitto, per questo sarà
il momento di dire «no» con tutta la nostra forza e non di boicottare il voto»,
ci ha raccontato Naiera, attivista vicina al premio Nobel per la pace
el-Baradei. Con il passare delle ore, sono arrivati i cortei dai quartieri di
Mataria e Abbasseia. «Il popolo vuole la fine del regime», gridavano decine di
donne, usando le stesse parole del 25 gennaio 2011. A quel punto, alcuni
manifestanti hanno tentato di scavalcare le barricate sistemate dall’esercito e
si sono avvicinati al palazzo di Morsi.
Ma ieri sera sono arrivati i primi segni di
distensione dal leader dei Fratelli musulmani. Il ministro della difesa e
comandante delle forze armate, Abdel Fatah el-Sisi, ha rivolto un appello a rivoluzionari,
ai vertici della moschea al Azhar, copti, giudici, giornalisti e artisti per riavviare
il dialogo nazionale. Mentre, in una nota, il presidente Morsi ha precisato che
l’invito alla distensione viene prima di tutto dal presidente. Non solo, ha fatto
sapere che i civili arrestati dall’esercito in questi giorni non compariranno
davanti a corti militari, tentando così di gettare acqua sul fuoco alle
polemiche dei giorni scorsi in merito ai poteri speciali conferiti ai militari.
Nonostante ciò, il 90 per cento dei giudici si rifiuta ancora di supervisionare
il referendum costituzionale. Quale sia l’esito di questo ennesimo tentativo di
dialogo è difficile dirlo, lo scorso sabato nessun esponente principale del
fronte dell’opposizione si era presentato al cospetto di Morsi, nonostante la
sua decisione di ritirare il decreto che ampliava i suoi poteri.
Mentre tutte le città egiziane si dividono in due tra pro e anti Morsi,
a favore e contro il referendum, Tahrir resta la caricatura di sé stessa, la
testimonianza di un movimento sociale che ora ha trovato nuovi spazi. Ma nella
notte, una banda armata ha fatto irruzione tra le tende del «popolo della
rivoluzione» e ha ferito dieci persone. Nulla è scontato in Egitto, il
frenetico ritmo della campagna elettorale sta riportando nelle vie del Cairo il
ricordo della «rivoluzione».
Il Manifesto
Internazionale, pag. 9
martedì 12 dicembre 2012