INTERNAZIONALE
Egitto/ REPORTAGE SUL VOTO NEL POVERISSIMO QUARTIERE DI BOULAQ DAKRUR
Urne ad alta tensione mentre Morsi perde i pezzi. Lascia anche il suo vice
Giuseppe Acconcia
GIZA
Quando si vedono file ordinate di decine di uomini e donne, giovani e
vecchi, che aspettano alcune ore prima di poter votare, in un ambiente di
degrado e abbandono, sembra sempre che un riscatto sia possibile. Ma
quest’illusione spesso si scioglie all’annuncio dei risultati. È il caso
dell’immenso e poverissimo quartiere di Boulaq Dakrur nel governatorato di
Giza. Ci sono polvere e rifiuti dovunque. Nessun tassista è felice di arrivare
fin qui. «Quando un principe europeo chiese al re Farouk di visitare le strade
più povere in Egitto lo condussero qui. E nulla è cambiato, le vie sono a
pezzi, molti giovani sono piccoli criminali. Ho sentito che il commercio di hashish è fiorente in queste strade», ci
spiega un vecchietto che sorseggia un tè su via Naiia, tra un ferramenta e un
meccanico. A fianco dei bambini scorticano una macchina con la fiamma
ossidrica, in fondo si vedono lunghissimi sottopassaggi di alti viadotti,
illuminati da lampadine dove le macchine arrancano. Un odore acre di rifiuti
dati alle fiamme invade queste strade. Qui i «sì» alla Costituzione hanno molto
più seguito che nei quartieri popolari e operai della Cairo urbana. Il secondo
turno chiama al voto governatorati remoti e zone poverissime, spesso roccaforti
dei Fratelli musulmani. «È diritto di un presidente avere grandi poteri. Ma
questo non vuol dire che tornerà Mubarak, dovrebbero avere fiducia in Morsi»,
comincia Sayd, un vecchio in fila alle porte della scuola Abu Thelim Asar. Ma
basta avvicinarsi ad un giovane che la risposta è opposta: «Questa Costituzione
non concede di certo giustizia ai poveri. Le decisioni che ha preso fino a
questo momento Morsi mi sembrano fallimentari», sono le parole di Ahmed, 18
anni, studente di ingegneria. «Ho detto “no” perché trovo ingiusto legare i
salari alla produzione e senza senso che in questa elezione così importante non
sia previsto un quorum», aggiunge Dina, avvocato di 27 anni.
Ma a Boulaq Dakrur la tensione monta in un istante. E così
avanti alla scuola Matilka Kamal Talim, basta un urlo contro Morsi che scoppia
la rissa. Decine di uomini e donne si avviano in tafferugli tanto da bloccare
la strada. La polizia e i militari sono dispiegati in numero maggiore rispetto
al primo turno. Alcune attiviste di organizzazioni non governative, munite di
appositi permessi, vengono allontanate dall’ingresso dei seggi. Il clima in
Egitto è ben più teso che al primo turno dello scorso 15 dicembre. Nella città
satellite di 6 Ottobre, l’ex presidente della Camera, Saad al-Katatny è stato
duramente contestato. Sette persone sono rimaste ferite in scontri fuori dai seggi a
Port Said e nel Sinai.
Entriamo
nel seggio della scuola Sofia Zaghloul di Boulaq Dakrur. «Il primo capitolo della Costituzione è il peggiore,
dà ai cittadini poteri reali per preservare la moralità. In meno di un anno
Morsi sarà come Mubarak», assicura Hassan, 50 anni, avvocato, prima di votare. Nel
cortile uomini e donne cercano il loro nome in lunghe liste elettorali per
stabilire in quale aula debbano recarsi. Nelle piccole classi, ci accolgono il
giudice e lo scrutatore. Gli uomini si recano dietro il paravento per votare
dopo aver firmato sulla lista che porta il loro nome. Lo sciopero dei
magistrati ha reso molto più complesse le procedure elettorali, in questo seggio
come in molti altri, il giudice che supervisiona il voto se non è direttamente
un politico di Libertà e giustizia è almeno un simpatizzante del movimento
islamista e non ha preso parte al boicottaggio promosso dall’Associazione della
magistratura egiziana.
Fuori
dai seggi torna l’anarchia di Boulaq Dakrur. Dei giovani in bicicletta
trasportano decine di pani sulla testa. Centinaia di negozi di vestiti e
manichini per strada rendono impossibile camminare. Ci sono divani e poltrone
dappertutto come a sostituire panchine. Più avanti si moltiplicano venditori di
aringhe prima della chiesa di via Ashra, all’ingresso della quale tutti i
ragazzi assicurano di aver votato «no». Carretti trainati da asini passano uno dietro
l’altro insieme a camioncini che portano grandi pezzi di ghiaccio. Molti
scappano da Boulaq Dakrur, tra loro i tre fratelli Ahmed, Khaled e Mohammed che
tutte le notti lavorano nel mercato di Bab el-Louk per fabbricare borse di
plastica da vendere al mercato nero. «Abbiamo votato “no” perché dal 25 gennaio
2011 non è cambiato nulla», considera uno di loro, mentre pigia il piede sulla
macchina per l’ennesima cucitura.
Nella sera di sabato, arrivano notizie di nuove dimissioni
dell’entourage di Morsi. Dopo consiglieri e sottosegretari alla presidenza,
anche il vice, Mahmoud Mekki, ha lasciato il suo incarico. Mekki aveva svolto
un ruolo essenziale nel favorire il dialogo tra islamisti e movimenti di
opposizione. La funzione delicata di magistrato aveva ritagliato per Mekki il
ruolo di mediatore dopo il tentativo di imbavagliare la magistratura con
l’inappellabilità delle decisioni presidenziali, prevista nel decreto
pigliatutto del 22 novembre scorso. Il vice presidente aveva più volte difeso
le proteste dei magistrati e tentato di convincere Morsi di rinviare il
referendum. Dopo Mekki, si è dimesso anche il governatore della Banca centrale egiziana,
Faruq el Hoqda. Infine, venerdì
notte, il presidente Morsi ha reso nota la lista dei 90 esponenti della Shura,
la Camera alta, di diretta nomina presidenziale. Si tratta di un passaggio di
grande importanza perché, in caso di vittoria dei «sì», la Shura acquista pieni
poteri legislativi. Tra i nominati, ci sono quattro generali dell’esercito,
dodici cristiani, sindacalisti e leader tribali del Sinai. Secondo il portavoce
di Morsi, Yasser Ali, il 75% dei nominati ieri non appartiene al fronte
islamista.
Il Manifesto
Internazionale, pag. 6
domenica 23 dicembre 2012
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