INTERNAZIONALE
EGITTO-REFERENDUM · I «Fratelli» non volano
I sì avanti di misura, ma è il primo turno
Il consenso alla Costituzione voluta da islamisti e salafiti sarebbe per ora solo del 56,6%
Giuseppe Acconcia
IL CAIRO
Mentre i seggi erano ancora aperti nella notte di sabato,
Libertà e giustizia già diffondeva i risultati parziali e cantava vittoria. È
ormai una scena che si ripete per la terza volta, dopo le elezioni parlamentari
del 2011 e le presidenziali del 2012. Ma qualcosa è cambiato: i Fratelli
musulmani incarnano il regime e i rivoluzionari le opposizioni, lasciate ad
occupare lo spazio pubblico ma senza voce in capitolo nelle decisioni
politiche. Non solo, la nuova Costituzione è divenuto lo strumento fondamentale
del movimento islamista per imporre la sua visione di Stato, società e della loro
relazione. A questo va aggiunto che la Carta fondamentale è stata scritta
dall’Assemblea costituente, scelta dal parlamento a schiacciante maggioranza
islamista, ma poi sciolto per irregolarità nella legge elettorale dalla Corte
suprema. Nel bar Sehreia di Sayeda Zeinab la delusione era palpabile sabato
notte. «I Fratelli musulmani dicono di aver vinto con il 75%, ormai si ripeterà
lo stesso plebiscito del referendum costituzionale del 2011», assicurava
sconsolato Ahmed, studente di legge. La piccola speranza (in questi vicoli è
sempre stata flebile) che i Fratelli musulmani potessero rappresentare le
domande della rivoluzione, la notte del Referendum era completamente sparita.
Ma con il passare delle ore, come spesso capita in Egitto,
tutto è cambiato. La mattina di domenica, quando tutte le schede nelle province
egiziane erano state contate, la televisione di Stato ha diffuso i risultati
ufficiosi aggregati. Anche tra gli uomini vicini al presidente, nel partito Libertà
e giustizia, nel movimento dei Fratelli musulmani, le reazioni di giubilo si
sono fatte composte e attendiste. I «sì» alla Costituzione, voluta da islamisti
e salafiti, sarebbero in vantaggio solo di qualche punto, toccando appena il
56,6% dei voti. Se questo risultato dovesse essere confermato, si tratterebbe
di una pesante sconfitta per i Fratelli musulmani. Al referendum costituzionale
del 19 marzo 2011 per approvare i controversi punti, decisi dall’esercito che
emendavano la Costituzione in vigore, i «sì» avevano toccato il 77%. Da quel
momento l’accordo tra islamisti e giunta militare per alterare le richieste
della piazza è apparso determinante. Ma i Fratelli musulmani hanno continuato
ad attendere, usando la piazza nei momenti cruciali per manifestare il loro
spirito reazionario fino al novembre del 2011, quando per partecipare alle
elezioni parlamentari hanno abbandonato gli attivisti liberali e socialisti al
loro destino. Qualche mese più tardi, le lunghe procedure elettorali che hanno
portato all’elezione della nuova Assemblea del popolo hanno sancito la
definitiva maggioranza parlamentare vicina ai Fratelli musulmani con il partito
Libertà e giustizia al 45% e l’inatteso risultato dei salafiti al 23%. Sembrava
un giorno storico per l’Egitto che riscattava politici rimasti in prigione per
decenni, oggetto di una continua strategia di concessioni e repressione da
parte del regime dell’ex presidente Hosni Mubarak che ne aveva ridimensionato
la loro carica organizzativa.
Ma il punto più alto i Fratelli musulmani l’hanno ottenuto
con la vittoria alle elezioni presidenziali di Mohammed Morsi. Una vittoria che
poteva essere scippata dall’ultimo primo ministro vicino all’ex rais, Ahmed
Shafiq. Anche se l’intera procedura elettorale è stata forzata con la
cancellazione di candidati scomodi, come l’ideologo islamista Khayrat Shater e
il salafita Abu Ismail. Da quel momento i Fratelli musulmani hanno dimostrato
di agire seguendo interessi di parte e come delegati dell’esercito. Di
sostituire alle logiche di capitalismo clientelare prodotte dalle politiche di
liberalizzazione economica volute da Mubarak, un sistema
familistico-assistenziale basato sulla finanza islamica e il ricorso retorico
alla sharia. Ma queste parole non
hanno convinto metà degli egiziani che dopo il decreto costituzionale del 22
novembre 2012 hanno finalmente fatto sentire la loro voce bocciando la nuova
Costituzione. Queste opposizioni hanno ben chiaro il sistema di
assistenzialismo diffuso che la Fratellanza vorrebbe creare per garantire la
sopravvivenza della sua base elettorale e in via marginale del resto della
società egiziana, riproducendo la cronica dipendenza dei poveri dagli aiuti di
Stati: da pensioni per anziani ed invalidi a vitalizi per i martiri della
rivoluzione, da assistenza sanitaria nelle strutture gestite prima dal movimento
e ora dallo Stato fino al finanziamento pubblico alle scuole islamiche. Nel
lungo periodo questo potrebbe determinare la creazione di una polizia morale
che applichi i principi previsti in questa Costituzione e di forze paramilitari
su base assistenziale, sul modello dei basiji
iraniani.
Ma le scelte dei Fratelli musulmani vengono messe in
discussione da molti dei loro antichi sostenitori, soprattutto in merito alle
decisioni in politica estera. L’alleanza con gli Stati uniti appare più solida
che mai così come gli Accordi di Camp David con Israele. Per molti egiziani,
l’accordo, siglato al Cairo tra Hamas e governo israeliano lo scorso novembre, ha
sancito il definitivo sostegno del Cairo ai moderati di Hamas, vicini al primo
ministro Ismail Haniyeh, a favore di un’intesa per l’unità nazionale
palestinese con Fatah e il presidente Abu Mazen. Questa posizione lascia
irrisolte le questioni della militarizzazione del Sinai, del controllo
israeliano sul valico di Rafah e indebolisce l’Egitto come interlocutore
credibile per la difesa dei diritti dei palestinesi.
Ci sono molte ombre e
poche luci in quest’esperienza al governo degli islamisti. Per questo Morsi
cerca di tornare al riparo in extremis e chiama di nuovo al dialogo le
opposizioni che avevano declinato l’invito la scorsa settimana. Ma il premio
Nobel Mohammed el-Baradei chiede di invalidare l’intero referendum. Finalmente
le forze laiche e socialiste sembrano uscire dal ghetto dove si erano cacciate
chiedendo oggi di scendere in piazza per sancire il buon risultato elettorale
dell’«altro Egitto».
Il Manifesto
Internazionale, pag. 7
martedì 18 dicembre 2012
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