Siria/HILLARY CLINTON: «NO ARMI CHIMICHE»
Le Nazioni unite ritirano il «personale non essenziale»Duro monito degli Usa. Putin insiste dal summit Russia-Turchia a Istanbul: «Favorire il dialogo Assad-insorti»
Giuseppe Acconcia
Le Nazioni Unite lasciano la Siria e si avvicina
la resa dei conti per il regime di Bashar al Assad. «È necessario trovare un
equilibrio tra il lavoro del personale Onu per il popolo siriano e la loro
stessa sicurezza». Sono le parole con cui il portavoce delle Nazioni Unite,
Martin Nesirky, ha spiegato la decisione con effetto immediato di ritirare
tutto il personale non essenziale dal paese, annunciata dall'Ufficio per gli
affari umanitari (Ocha) di Ginevra. Le Nazioni Unite hanno deciso anche di
vietare i viaggi fuori dalla capitale Damasco al personale restante. «La
situazione della sicurezza è diventata estremamente difficile, anche a Damasco
- ha chiarito Raghouane Nouicer, coordinatore regionale per gli aiuti umanitari
dell’Onu. «Finchè la sicurezza degli operatori umanitari non è garantita, le
agenzie Onu rivedono le dimensioni della loro presenza nel paese e il modo in
cui distribuiscono gli aiuti umanitari», ha aggiunto il dirigente.
La crisi siriana è entrata in una fase molto delicata. In una
nota ufficiale, diffusa ieri, il governo siriano ha assicurato che non farà
ricorso ad armi chimiche. «La Siria
difende il suo popolo e assieme al suo popolo lotta contro il terrorismo legato
ad al Qaeda, sostenuto da paesi noti, primi tra i quali gli Stati Uniti»,
prosegue il testo. Tuttavia, dopo la notizia diffusa nei giorni scorsi di uno
spostamento di armi chimiche all’interno del paese, sono arrivate le parole di avvertimento
e condanna di Hillary Clinton. «Si tratta di una linea rossa, ancora una volta
abbiamo avvertito Assad, il suo comportamento è da condannare, le sue azioni
contro il popolo siriano sono tragiche», ha denunciato Clinton. Queste dichiarazioni sono state ribadite anche da Jay Carney,
portavoce della Casa Bianca. Nel fine settimana lo spostamento di armi chimiche
siriane ha portato a una serie di comunicazioni di emergenza in Europa e negli
Stati uniti, nonché al monitoraggio delle Alture del Golan da parte dell’aviazione
israeliana. Gran Bretagna, Francia e Stati uniti hanno valutato possibili piani
da mettere in atto nel caso in cui fosse necessario neutralizzare un attacco
con armi chimiche. Già nell’agosto scorso, il presidente degli Stati uniti Barack
Obama aveva detto che una minaccia dell'uso di armi chimiche da parte di Assad
avrebbe rappresentato «una linea rossa» che avrebbe potuto aprire la porta a un
intervento americano. «Questo potrebbe cambiare i miei calcoli», aveva aggiunto
Obama.
D’altronde, a lasciare ieri la Siria, c’è stato
anche il portavoce del ministero degli esteri, Jihad Makdissi. Il politico si èŠimbarcato
a Beirut su un volo per Londra. Pochi minuti prima, la televisione del
movimento sciita libanese Hezbollah, al-Manar, aveva annunciato in fretta e
furia le dimissioni di al-Maqdisi. Nel frattempo, si teneva ieri un vertice
sulla crisi siriana tra Russia e Turchia a Istanbul. Durante il vertice, il
presidente russo, Vladimir Putin ha ribadito l’intenzione di favorire il
dialogo tra Bashar al-Assad e gli insorti, mentre Ankara ha confermato il suo
appoggio ai ribelli sunniti. Le forze armate di Ankara hanno fatto decollare
aerei militari dopo che il regime siriano aveva bombardato postazioni dei
ribelli a Ras al-Ain, città sul confine con la Turchia.
Come se non bastasse, gli scontri tra insorti e
esercito regolare sono proseguiti per tutta la giornata di ieri in Siria.
Secondo i ribelli, sono almeno 90, tra cui otto bambini e sette donne, le
persone rimaste uccise ieri. Vittime ci sono state nei dintorni di Aleppo, a
Damasco, Homs, Hasake, Idlib e, nel sud, tra Daraa, Dayr az Zor, nonché a Hama
e Latakia.
Il Manifesto
Internazionale, pag. 7
martedì 4 dicembre 2012
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