Il testamento di Scrivo
MERCOLEDì 6 APRILE 2011
|
Vincent Van Gogh, La Meridiana, 1889-90, Musée d'Orsay |
Manco di spunti. Certo non di idee, ma di riferimenti, insomma di quello per cui
alcuni ritengono che non sia degno né del loro tempo né del tempo di chi mi sta
scrivendo, più o meno libero, disponibile. Sono una rivisitazione di tutto quel
materiale perduto, di tutto quel “tempo perso”, quasi un religioso ricordo, un
sentito tributo a ciò per cui una mente si è arrovellata; ciò che ha dato
un’illusione di autonomia a quella mente. Le nozioni giungono all’attenzione,
l’affascinano e fuggono via lasciando qualche traccia imprecisa nei
ragionamenti; il pane che un forno sempre acceso produce, pane che non sfamerà
nessuno, o che probabilmente un tempo farà parte, a un livello invisibile alla
coscienza, della vita del fornaio. Egli stesso che produce cibo non avverte
beneficio da questo. Maneggia e rimpasta la natura per ottenere solo dubbi e
indecisione.
Sto per essere scritto sulle
lapidi di innumerevoli tombe in un enorme cimitero, come quelli delle grandi
città, una città di idee morte (per quanto le idee possano morire).
Come se fossi la segnaletica di
questo luogo do enfasi a grossi ragionamenti, farraginosi meccanismi
affascinanti e degna dimensione a piccole intuizioni.
Un cimitero sterminato,
costruito dal tempo incessante e dall’incostanza dell’attenzione. Un luogo pieno
di rimpianti, un posto con tanta “vita”, ma una sola mente (o meglio, ogni mente
potrebbe averne uno) che lo visita, che gli offre manutenzione e lo
amplia.
Proprio per le sue dimensioni,
a vederne una panoramica bidimensionale si ha l’impressione di essere davanti ad
un videogame rudimentale con un grosso campo di azione ed una piccola fiaccola
che, come una pedina, percorre i solchi dei viali.
A volte con ingenuità la fiamma
tenta di ricordarsi una scia che la distrazione soffia.
Vi è un particolare insolito
per un cimitero. Anche se, come anime andate via, le idee hanno rappresentazione
aurea e spenta allo stesso tempo, insomma sono ricche di immaginazione, possono
risuscitare in un attimo e suggerire alla fiaccola strane idee. Le soffiano
dentro. Si ritiene che la fiaccola, la mente, non decida di muoversi di propria
volontà, ma sia rinvigorita dalle anime riemerse e mossa dai nessi che le
uniscono. Un rapporto alquanto strano quello tra le anime/idee e la mente. Altre
volte con ingenua bontà, altre con sana malizia, altre con pigre arrese, le
anime la invaghiscono, la catturano e la alternano come in una spirale
dionisiaca. La fiaccola salta da una tomba all’altra, avanti e indietro, senza
nessuna logica per gli spettatori dello schermo, che per proprio gusto romantico
vogliono vedere nell’amore lo stimolo vitale di quella strana dimensione.
L’amore per le idee, il fascino
di queste, l’ingenuità della mente che riceve vita e dà vita con l’attenzione che è in grado di
offrire.
Questa realtà è ben articolata,
ben definita, molto suggestiva. Il cimitero/labirinto, il cimitero/alcova nella
sua struttura risente delle leggi della natura. Zone di questo, inesplorate da
tempo, quasi abbandonate, magari riviste solo di sfuggita mostrano i segni
dell’indifferenza.
Il cimitero, anche se caotico
perché enorme, gode di una precisa, ma quasi mai utilizzata, divisione.
Vi sono varie aree, vari piani.
Un esempio è la zona delle intuizioni, la preferita dalla fiaccola, un atro è
quello dell’area dei ragionamenti, con grossi mausolei e iscrizioni di ogni
genere; ancora abbiamo il settore delle nozioni, il più antico del cimitero.
Infatti mentre la gran parte delle intuizioni, dei ragionamenti e delle altre
aree è successiva alla nascita della mente dell’autore, questa è stata sempre
lì, si è ingrandita autonomamente senza manutenzione. È senza dubbio la più
inesplorata a causa della pigrizia di alcuni ragionamenti e della complicità
della mente. Troppo vasta da scoraggiare i più audaci spunti esplorativi. A
questo era il rimando introduttivo, la mancanza di riferimenti culturali,
altisonanti che posso offrirvi. È stata la compiacenza dell’autore della propria
mediocrità a deferire alla sola inventiva le responsabilità di un testo nato
dall’incertezza e dall’incompletezza determinata dalla compiacenza di prima.
La mente desidererebbe esser
edotta, ma lo sforzo e l’impegno richiesti la scoraggiano a l’hanno scoraggiata
più volte. Il compenso finale sarebbe nulla di più che un rapporto incompleto
tra conoscenza e caso personale.
Poi vi è una forma della mente,
una incidenza non indifferente che pare render vani i migliori propositi:
l’inaffidabilità della memoria. Proprio per questo processo nozioni già
assimilate sembrano scomparire. Non è dimenticata tanto la nozione, ma la
localizzazione di questa. (Quante volte giunge quella fastidiosa sensazione di
sapere, di aver saputo quella cosa?)
Questo condanna la mente alla
mediocrità: la fiaccola troppo flebile, il tempo insufficiente per vivere
l’intera esistenza certa nel cimitero/giardino delle idee.
Le nozioni chiamano, le
intuizioni affascinano, i ragionamenti attirano, …, la mediocrità ci
affligge.
Senza coreografia la fiammella
danza in involuzioni imprecise in traiettorie colme di dubbi.
Giovanni Acconcia
Il cimitero delle idee, 11 luglio 2005
http://stradedellest.blogspot.com/2011/04/il-testamento-di-scrivo.html
Graffiti and Rappers. The Egyptian light Orchestra
MATTERS OF THE EAR
GIOVEDì 5 MAGGIO 2011
Giuseppe Acconcia considers revolutionary hip hop while
listening to the Egyptian Light Orchestra
Rappers, actors and graffiti artists are
invading Egyptian streets. First, a young comic-strip writer issued a review
called
Tuk tuk a few weeks after the Revolution: Magdy El Shafee, author
of
Metro, a comic-strip book, as well as a graffiti artist, is among the
creators of the project. In last few days, he was on the streets with Omar
Mustafa and Mohammed Fahmi (called Mufa) to paint the walls of Mohammed Mahmud
Street, Bab El Louk, Champollion Street and Dokky. What are their favourite
symbols? Bread, the clenched fist, the words "25 January" or "I am Khaled Said".
"We walked dressed in jackets with a thousand
pockets for spray-paint cans," the comic-strip writer explains. According to
Magdy, Egyptian culture is at a crossroads. "We achieved results with new
methods. Tahrir's young people were inspired by the internet. They have
different horizons compared to the old revolutionaries of 1919 and 1953. They
developed a new sense of humour, everything happened so fast and without any
link with the old generation. Kifaya in 2005 and the demonstrations against
corruption in 2007 anticipated the 2011 revolts. Nevertheless all the political
apparatus was shocked by these new movements; they considered opposition groups
a dead body." What inspired the Egyptian youth? "A lot of foreign movies. Maybe
Fight Club and V for Vendetta more than others". Magdy knows that
this is only a step towards a better society. "Our job is at the beginning, even
civil society, editors and companies were part of our corrupt system. In my next
book I will talk about how men change after revolts, how we can overcome a
police state, the possibility of a complete change."
But even more than graffiti, young Egyptians
are in love with rap, hip hop and RnB. The youngest Cairo and Alexandria groups
participated in the Revolution. Among them: Khaled Mahmud or Adam El Nehez
Unity, 22, from Al-Qubba; McFlash, Mohammed Shalaby, 20, from Nasr City; Ahmad
Moktar or Romel B, 23 and very famous among the young; EG or Mohammed Sherif,
20, from Ghamra; and TEG, Ahmad Mahmud, 21, from Maadi. They are students of
engineering, music and Economics, liberals or moderate Islamists. These groups
are inspired by Montags and Immortal Techinique from the United States, but also
by young Egyptian groups such as Asfalt. They rap about social issues. They
gather for concerts at Basta (a new place near Maspiro, Tahrir), at the Sawy
Culturewheel, Zamalek, and on the streets (notably of Heliopolis). "We used to
talk about how Revolution can change Egyptian society,"Mohammed says. In "Where
is Egypt?" McFlash talks about the pollution that suffocates Cairo and the
corruption of the political system before 25 January: "I see people who die for
money, why are Egyptians not respected in other countries?" the young singer
asks in one song. Ahmad Moktar is sure: "Freedom means to say the truth about
our past to change our daily habits." Many foreign rappers talk about religion;
it is not the same for Egyptians. "We don't talk about religion in our songs,"
Mohammed Sherif explains; "we are for the respect of every religion and
religious behaviour. But we know it is necessary to urge people to move. Whoever
is poor should ask for help from God!"
As young men, they were all in Tahrir since 28
January. "We slept in the middle of the square," Khaled recounts, "for almost a
week, without anything, not even a blanket. We made raps, but we were singing
also Mohammed Munir and Sheihk Imam songs." Revolutionaries of the past, such as
Ahmed Foad Nigm, also inspired rappers. "The 2011 revolts were the first
Egyptian Revolution. The 1952 one, when our maestro Foad Nigm was in Tahrir, was
only a military coup," Romel B. comments. "We don't think about
counterrevolution because people are strong and the army respects us," adds
Ahmad Mahmud. Rappers always use free styles and improvisations. They add to the
Egyptian dialect, directly understood by everybody, words from classical Arabic.
"The place of our rehearsal is a small room with a microphone," Ahmad confirms.
"We are direct, true, we talk to the people." Some of them dress in long
T-shirts and a tight hat. "I wanted to leave Egypt, but now I've decided to
stay," says Mohammed. "I was shocked during the Revolution. The more people they
shot, the more people came. We protected our home with our neighbours, we are
more united than in the past."
Before the Revolution, it was impossible to
make money from hip hop; now small production companies are spreading; rappers
multiply. Ahmad Mikki, for instance, demands freedom for Egypt; in his songs he
talks about violence during the Egypt-Algeria match in Sudan in 2010. The number
of rappers is infinite: Arabian Knights of "Not your prisoners", McAmin from
Mansoura and Y crew from Alexandria. Priesto talks about the integration of Arab
women abroad, Egy Rap School concentrate on Egyptian girls dressed as
Westerners. In "Stop the government" they contributed to inciting the 25 January
Revolution. Amr Ahah renews the popular songs of weddings, Adaweya style,
talking about the attacks on big malls during the revolts. This new army of
youth, musicians and writers watch over the Revolution. They are ready to go
back to the square, if the army does not realise their requests, but they will
not stop rapping whatever the case.
Sam Shalabi and his Egyptian Light Orchestra
continue their worldwide tour. After Istanbul, London, Paris and Los Angeles,
they performed on 2 May in San Francisco. Shalabi -- his first name was Osama --
is a Canadian citizen and oud player, the founder of the Egyptian Light
Orchestra. When he chose the name Land of Kush, he was inspired by the Kush's
Nile region. At this time, Shalabi was influenced by Sun Ra's Orchestra and
mythical Egyptian origins. The new album, Monogamy (Constellation Records
2010), completes Shalabi's project of building up an orchestra after his first
work with Land of Kush, Against the Day. The original name of this mostly
instrumental set was The Shalabi Effect; it formed in 1996 in Montreal, Quebec,
with compositions by Shalabi and Anthony Seck. In 1998 the group doubled, adding
Alexandre Saind Onge on bass and Will Eizlini on tabla. In their last
album Land of Kush featured a hybrid of styles and scenarios. Nowadays, more
then 20 musicians perform orchestral jazz, psychedelic folk and ancient
songbooks.
The songs recall mythical dilemmas such as
frustration-liberation, chastity-carnality, innocence-shame. They mix Arabic
psych-rock in "1st and the Last" and "Tunnel Visions", free jazz and an
orchestral aria in "Scars" and "Boo and Fisherman", metaphysical groove for a
trip outside the earth in "Monogamy" and a coming back to earth in a Syrian
village with "Like the Thread of a Spider". Among the female voices, Molly
Sweeney and Elizabeth Anka Vojagic stand out, while Alexandre St Onge introduces
electronic sounds. Shalabi's target is to remould Middle Eastern music, mixing
North African and Western traditions with a psychedelic background. The results
are fascinating: colours and sounds, ancestral visions and modernist
transfigurations. Against the Day was inspired by a Thomas Pynchon novel,
travelling between full and empty on a timeless spiritual geography. In "Iceland
Spur" the listener will find sounds from the desert inspired by dreams. Hidden
on the backyard, Shalabi's oud stands for solemn liberation.
"Shalabi works towards the highest sounds to
discover the energy and passion of bodies, showing his need for purification and
safety", says Francesco Nunziata, an Italian music reviewer. As a party of
dancing spirits, à l'Art Ensemble of Chicago directs its hypnotic groove. The
dance ends, leaving space to a kind of desolate procession in "Rue du Depart", a
slow walk of energy towards the spirit, not forgetting the imminence of the end.
During the last lines of "Monogamy", Moly Sweeney delineantes the alphabet of
their trans-cultural music: "A is for the apple tree, B is for Beelzebul and the
snake, C is for the curse of Ham, D is for drugs that you're now forced to take,
E is for eternity, F is for what you did outside, G is for the Giving Tree, H is
for Holy Spirit's bride. And all of this comes out in little birdlike trills.
You'll reach for paper to clean up all your spills."
Giuseppe Acconcia
Al Ahram, maggio 2011
http://stradedellest.blogspot.com/2011/05/graffiti-and-rappers.html
http://weekly.ahram.org.eg/2011/1046/cu2.htm
Chantecler, il “messaggero della terra”
SABATO 18 GIUGNO 2011
Dall’autore di Cyrano de Bergerac, Edmond Rostand, il teatro Mercadante di Napoli ha proposto per la prima volta in Italia, il dramma a colori Chantecler, con la regia di Armando Pugliese e la traduzione di Enzo Moscato. L’opera, presentata nel 1910 dopo 10 anni di silenzio dell’autore, ripropone l’infinito conflitto tra la luce del canto e l’ombra dell’istinto in forma di favola espressiva.
Il gallo Chantecler è l’unico uccello a precedere con il suo verso il sorgere del sole. Ma gufi, allocchi, pavoni, faraone e rigogoli, spinti da istinti di vendetta, violenza e tradimento lo costringono ad un combattimento che potrebbe decidere la usa fine. Gli animali tipizzati riproducono vizi e disuguaglianze sociali completamente umani. Rostand rivisita le commedie di Aristofane con sperimentalismo scenico e dialoghi crudi ma esilaranti.
L’ambientazione unitaria, ricca, surreale, molto apprezzata nei teatri europei della belle époque, resta intatta nell’adattamento di Pugliese. Per l’intero primo atto, una fitta rete sostituisce il sipario. Il palco avanzato dà la necessaria profondità scenica alle azioni dei 25 attori e dei 5 musici. Il potenziale impatto dell’imponente messa in scena viene, però, frenato da un uso troppo spesso inorganico e limitato della coralità mentre i singoli movimenti degli attori-animali sembrano di frequente poco armonici. I costumi dai colori sgargianti di Silvia Polidori, le maschere grottesche indossate dagli attori e le varie fonti di luce trasformano alcune scene in quadri di Ensor. Le musiche di Enzo Gragnaniello, eseguite dal vivo ed affiancate da campionature di ambiente e suoni di strumenti arcaici, rafforzano l’azione. Dialetti ed accenti ravvivano dialoghi a volte intervallati da anacronismi e conclusioni forzate. Un’epidemia decima gli animali della foresta mentre i fucili degli uomini cancellano il canto di Chantecler che, come la “neomelopea”, ha vita breve, dura quanto la fine di una notte che attende la nuova alba.
Giuseppe Acconcia
Rivista Lab, 2007