ringraziamenti a Mustafa Said
sabato 30 aprile 2011
La genziana
La genziana del vecchio abruzzese malato è così aspra, forte marcia, acida, sporca, pestifera, merdosa, squallida, liscia, chiara, giallognola, viscida, collerica, scrupolosa, forte, intransigente, amara, orribile, infuocata, incendiaria.
La genziana del vecchio abruzzese malato, chiusa in bottiglie senza nome, è così scivolosa, disgustosa, vomitevole, killer, frenetica, algida, elettrica, radicale, estrema, povera, ricca, folle, piromane.
Giuseppe Acconcia
Giudizio universale, 2011
venerdì 29 aprile 2011
Debre Zeit
La città di Debre Zeit si trova a 40 km da Addis Abeba. Ci sono tre grandi laghi che ospitano una grande varietà di uccelli. La strada prepara ai grandi laghi del nord del paese verso l'antica capitale Gonder. Dall'altro lato Macalele e il Tigray ospitano piccole tribù nomadi (come gli Hamer), che lentamente stanno lasciando i loro villaggi per spostarsi in città. Sono governate da capi-tribù riconosciuti dal governo etiope.
Le luci di Belgrado
Quel colore di sole
che ricorda la terra, ma
non quella coltivata,
penso piuttosto alla mai
toccata da piede di uomo,
sabbia indurita, suolo di Marte.
La luce di Belgrado
è di polvere gialla,
stesa sulle strade, lungo i tranvai,
tra negozi, baracche e alberi verdi
conformi ai suoi raggi.
La luce di Belgrado
è negli occhi segnati
di uomini e donne per strada,
sono sguardi di altro pianeta
sembrano fissi, immobili, spenti
senza riflessi o bagliori improvvisi,
sono di terra mai coltivata e
di polvere lasciata.
Le luci di Belgrado
sono ad Ada Ciganljia
la Sava incontra il Danubio,
gialla-verde-marrone,
macchiata di terra, di polvere, di luce del sole,
a lungo guardata da occhi immobili tanto da
darle un nuovo colore,
formaggio di burek o zuppa di pesce,
barconi sul fiume,
pelle gitana come jelen pivo.
Giuseppe Acconcia
Tratto da 1,2,3 liberi tutti!, 2007Fara editore, 2008
giovedì 28 aprile 2011
Animali di città
Polli, capre, pecore, mucche pascolano per le vie di Addis Abeba prima dello sgozzamento del sabato notte. Cucinate con pomodoro, chili di cipolle e aglio, berbere', burro, vengono mangiate con la 'ngera e accompagnate da due tipi di birra fermentata: teji (dal colore arancione) e talla (dal colore marrone).
Tedioterapia
Vincent Van Gogh, Uomo anziano nel dispiacere, 1890 |
È importante che tu capisca o che io dica? L’importante, ti dico, è che mio padre sia fiero di me! Quindi l’ultima cosa da fare sarebbe scrivere. O dire? Comunque se potessi fare senza parlare sarebbe meglio per lui e per i vostri occhi, di certo non per me. Pace alle orecchie di quelli che ascoltano nella remota possibilità che queste parole vuote possano acquisire un giorno energia acustica. Ogni cosa che mi circonda ha degli ordini ben precisi. Un tempo avevo molte più risposte adesso, per paradosso o per diretta conseguenza, per una crescita incessante molte più domande. Non so se basti agire più meticolosamente o saltare in fretta concetti che a colpo d’occhio non destano interesse. Sarei molto più disinvolto ma mi crederei molto più goffo.
Per aver detto un giorno «Mi sento di dire!», ingenuo e impaurito, ho preferito balbettare e forse parlare un po’ di meno con me stesso. Non so se era un gioco o un assedio ma oggi parlo di meno con me; sicuramente non mi inoltro per strade che un tempo correvo disinvolto. Mi sembra armai non più un percorso di crescita piuttosto una fuga.
tedioterapia, 6 aprile 2011
Giovanni Acconcia
La metropolitana di Mosca
Un vecchio, chino in piedi sbronzo, è la prima figura che incontro sul pianerottolo. Solo un cenno di saluto. E poi, sotto i passaggi delle cinque autostrade del centro.
Quei lunghi corridoi finiscono nei mari dei clandestini, nei sotterranei delle montagne abitati da rifugiati, nelle linee degli aerei internazionali occupate dagli espulsi.
Le fermate sono strade colme di gente che attende all’ingresso di bocche-sesami all’inizio chiuse da inferriate implacabili alla fine aperte già dentro vetture.
Kitay –Gorod mi fermo e aspetto quel cerchio immaginario collega i 56 incroci:
punti d’incontro o sotterranei intricati o labirinti di scale profondissime.
L’incontro duro è a Biblioteca Lenina, i quattro percorsi intersecano vie agitate
Mayakoskaya prepara all’ingresso in città tra larghi viali, statue giganti e autostrade tangenti
Pushkinkaya
Teatralnaya
Lascio la 3 prendo la 1
Kurskaya
Izmailovskaya
Quei fusti di contadini kolchoziani
imbracciano fucili, aspettano riscatto,
una lacrima scorre
da quegli scarabocchi
scende dai volti
attraversa i nasi
i baffi e le bocche
giù per i colli
lungo le vesti, le gambe e i fucili
salta dai piedi
scorre sulle lunghissime scale mobili
attende l’apertura delle porte
sale in vettura
viaggia a ritroso
lascia la 3
prende la1
fino a Park Kulturi
scorri non ti fermare
scorri lacrima scorri
esci anche tu in questa città
e guardala bene
è piena di te,
di gente delusa.
Quel vecchio mi aspetta di notte nella stessa posizione.
Tratto da 1,2,3 liberi tutti!, 2007
Giudizio universale, 2010
Tratto da 1,2,3 liberi tutti!, 2007
Giudizio universale, 2010
mercoledì 27 aprile 2011
La Pasqua ortodossa ad Addis Abeba
La chiesa Selassiè e i riti della settimana santa, le vesti che indossano uomini e donne si chiamano gabi. Giovedì: lotta tra fedeli per ottenere la foglia verde benedetta dal patriarca Paolo. Venerdì: lunga cerimonia pomeridiana con canti e invocazioni. Sabato notte: dalle ore dodici lunga cerimonia notturna, canti di gruppi di fedeli di Gebella con tamburi e strumenti tradizionali. Alcuni fedeli restano accampati nel giardino che circonda la chiesa, altri, penitenti, lungo il muro esterno.
giovedì 21 aprile 2011
mercoledì 20 aprile 2011
In ricordo di Vittorio Arrigoni
Il ricordo di Vittorio Arrigoni scorre sul Nilo. È lì che ieri sera centinaia di persone si sono incontrate tenendo una candela tra le mani in sua memoria. Giovani egiziani, studenti dei corsi di italiano e la comunità italiana del Cairo hanno dato l’ultimo saluto al ragazzo ucciso a Gaza nei pressi dell’Ambasciata italiana, a Garden City. “Vittorio è ancora con me, porto un suo ciondolo e il suo zaino” - racconta commosso Osama Qashoo, attivista dell’International Solidarity Movement per la Palestina. “Abbiamo fatto di tutto perchè il corpo di Vittorio – continua il giovane palestinese - non passasse attraverso Israele. La nostra iniziativa serve a tenere vivo il ricordo di un ragazzo pieno di umanità, che ha dato la sua vita per la causa palestinese.” Osama ha iniziato a difendere i diritti dei palestinesi proprio dopo aver conosciuto Vittorio, che lo ha rincuorato e incoraggiato dopo la scomparsa di un suo amico, morto davanti ai suoi occhi. Alla fiaccolata ha partecipato anche una delegazione di Fratelli musulmani (Libertà e Giustizia). Adel Hamed, Gamal Hanafi e Azem Farouk, ex parlamentari vicini alla confraternita, hanno portato le condoglianze della Guida suprema Badie. Nel pomeriggio era stata allestita una breve camera ardente alla quale hanno preso parte le suore che alloggiano nell’Ospedale italiano Umberto I, nel cuore dell’antico quartiere di Abasseya al Cairo. Intorno alle 16 la salma del giovane attivista italiano è stata trasferita all’aeroporto del Cairo dove dovrà rimanere 24 ore prima della partenza di domani con un volo Alitalia. Il cadavere era arrivato in Egitto alle ore 20 di lunedì. Un corteo di vetture aveva oltrepassato il valico di Rafah dopo i primi funerali a Gaza City. “Vittorio è stato accompagnato dal suo amico Osama – racconta suor Pina, che ha seguito tutte le operazioni – Il palestinese è arrivato in Egitto da Londra e ha seguito il corteo lungo il confine tra Gaza e Egitto”. Dalla sera di lunedì il corpo di Vittorio è stato conservato nell’obitorio dell’ospedale. Alcune persone hanno fatto visita al giovane prima che venisse trasferito. A prima vista sembra siano stati effettuati una serie di esami sul cadavere a Gaza City. Intorno al corpo erano sistemate buste di ghiaccio e una corona di alloro con la scritta: “Non ti dimenticheremo”. Restano ancora da stabilire le cause della morte, avvenuta per soffocamento o strangolamento.
La fiaccolata notturna del Cairo ha avuto un successo inatteso. Mohammed Saladin Nusair, 22enne di Mohandessen, studente di ingegneria, ha lanciato l’iniziativa di un ricordo per Vittorio su Facebbok nel pomeriggio di lunedì. La pagina “Fiaccolata per Vittorio Arrigoni al Cairo” ha raggiunto in poche ore le 1000 adesioni. “Sono un giovane attivista egiziano per i diritti dei palestinesi – racconta Mohammed – Vittorio era uno di noi. Anche se non l’ho mai incontrato seguivo i suoi reportage attraverso Twitter ed altri blog.” Mohammed è emozionato, non si capacita che la sua iniziativa abbia avuto tanto seguito. Subito dopo l’apertura della pagina sono arrivate proposte per ricordare Vittorio. Così Mohammed ha chiesto di scrivere delle parole da spedire alla famiglia del ragazzo. “I palestinesi sono la mia gente. – aggiunge Mohammed, organizzatore della fiaccolata - Ammiravo Vittorio perchè non ha lasciato Gaza neppure nei momenti peggiori, di guerra e assedio. Voleva consegnare un messaggio di pace a tutti. E per questo la sua morte mi ha profondamente colpito.” La salma del giovane sarà mercoledì a Bulciago, il paese in provincia di Milano dove è nato e vive la sua famiglia. Vittorio lascia la sua terra.
Il Manifesto
20/04/2011
Giuseppe Acconcia
martedì 19 aprile 2011
Horreya is closed
Giuseppe Acconcia follows the recent fortunes of a key gathering place
It was 25 February when the doors and windows to Cairo's most popular beer-drinking venue were barred. At the beginning we thought it was a few days' move in deference to the Moulid, the anniversary of the Prophet Mohammad. A week on, however, my downtown friends and I were already engaging in guesswork.
"It has to do with the terrorist attack on the Synagogue," Alaaeddin says, suggesting that iron bars should be installed in the windows to reduce the threat of explosions. "They need to provide better security because the place is full of foreigners." Taha has another idea: "They are just closed for renovations." Then again, as Ahmad points out, why did they not undertake them during Ramadan (when alcohol-serving venues are closed anyway)?
Crossing Falaki Square, we can all see that renovations really are underway. I went inside and, sure enough, the walls had a new coat of paint and there was new furniture installed. I spoke to one of the owners. Once again I was told, "Next Sunday, or next Tuesday." Once again, as I predicted, it didn't happen. Tarek said, "They want to show the best possible face of Horreya, because Osama El-Shazly's book on the cafe has been published." Ihab disagreed: "All they say is false. Their alcohol license expired and they haven't renewed it, that's what it is."
While they await the reopning, the customers of Horreya are spread around the bars and cafeterias of downtown Cairo. The Stella Bar is too small a space for the tourists and khawagat or expatriates, actors, brokers and the unemployed who have joined in with the regular customers.
In Horreya old men would be playing chess in one corner while the drinkers sat inadequately shielded by wood planks. The kherteyya, those who make it their business to weedle as much money out of foreigners as they can by whatever means, would be out in force. I heard one suggesting to three Germans to accompany him to the casino where he worked for LE4,000.
But there is a different kind of kherti : artists, actors, musicians, directors, intellectuals who are less interested in money than a kind of spiritual exchange with foreigners. They would like to live abroad but they can't, so foreigners are their best friends. They are the only way to realise a real or a vague dream. They don't like their country so much, they want practise their English. Of course they like to drink wine and beer. In general they act like foreigners, looking for friendships with the real deal. "We are looking for foreigners as bit players for our next movie," says Wael. "Will you come to Mohandessintomorrow to take a photo?"
Those people used to spend their time in cafès like After Eight in Bassiouny Street, or the Tak'iba in Champolion Street, and the hidden cafè behind the garage in front of Rawabet Theatre. Of course Horreya remains their favourite place. Normally, they would gather there every evening. The third kind of kherti is different again: foreigners who pretend to be Egyptians, who practise their Arabic and look for friendships in the same settings.
It is as if they have become homeless.
Where do all these people go while Horreya is closed? The downtown bars are more crowded than usual: other than the tiny Stella on Hoda Shaarawy Street, the Cap d'Or on Gawad Hosni Street, an old wooded place with mezzeh that includes lupini and tomatoes, the Odeon and Carlton hotel terraces, and Alf Laila wa Laila on Gomhouriya Street. So are the ahawi or traditional cafes, but there beer cannot be had. People order sahlab, koshari teas, cold ennab, lemon juices, Turkish coffee, zabadi (a yogurt drink) or aniseed. They listen to the continuous reading of Quran' verses looking at the old customers smoking shisha maassel or tuffah andlistlessly playing chess, domino and backgammon.
But when of Horreya reopens it will suddenly change the look of Falaki Square. It will give back the nights of those Egyptians and foreigners the same ephemeral sensation of freedom.
maggio/2010
Giuseppe Acconcia
Il carciofo arrostito dalla rabbia
Vincent Van Gogh, I mangiatori di patate, 1885, Museo Van Gogh |
È una vita che i carciofi mi perseguitano. Perché piuttosto che carciofo in sé non apprezzo qualcosa che del loro definito sapore non può affrancarli. Pensandoci bene non è il sapore che mi dà ribrezzo perché sono ormai vent’anni che qualcuno non osa propormeli cotti nel modo più invadente: in umido per la pasta. Non ricordo più che orrendo sapore abbiano. Solo a sentirne l’odore propagarsi per casa porta dopo porta, la mente ricorda disgusto e lo stomaco risente frenesia. È nausea. Come facciano a dire che si tratti di un fiore? Forse è proprio per questo che nessuno dovrebbe mangiarne. Quali altri fiori mangiano con così tanta soddisfazione nelle tavole festive forse da sempre?
Però devo dire che limitatamente alle foglie, senza attentare al cuore molle e premasticato, quello arrostito per mio stupore, riesce un po’ alla volta a convincermi. Però è qui che dimostro di averla vinta sul carciofo. Fuoco e fumo lo dissacrano, lo soffocano, lo purificano. Forse mi illudo ma mi sento quasi fiero a mostrare a mia madre la mia necrofilia. Se fosse per me non combatterei contro di lui, contro la sua diffusione, recludendone l’uso ai soli venerdì quaresimali, quando l’apnea mi risparmia il vomito. Non vorrei privare altri delle sue proprietà anche se, in fin dei conti, trascurabili. Potrebbe essere il carciofo a volermi annientare. Mi allontana dalle tavole, mi isola, mi innervosisce, mi irrita e mi indispone. Sono intrattabile alla presenza del suo fetore. Ma comunque un po’ lo voglio bene perché ha caratterizzato la mia infanzia, mi riporta agli occhi la cucina di casa mia dove si sono consumate lotte e risa senza censura alcuna. Magari tutte le altre cose così inermi mi stimolassero a tal punto!
Giovanni Acconcia
18 aprile 2011
lunedì 18 aprile 2011
Grounds for passions. Walid Aouni e Pina Baush
On the occasion of Walid Aouni's new show, Women of Qassem Amin (ongoing at the Gomhoreya Theatre until 17 February), Giuseppe Acconcia met with the choreographer
In Walid Aouni's new show, Women of Qassem Amin, there are clear echoes of the late Pina Bausch's Bamboo Blues -- performed at the Opera House last October. It was in search of overlap or affinity that I met with Auni; what I discovered was an artistic passion.
When did Aouni meet Bausch for the first time? "My first time with Pina Bausch was at the end of the 1970s. At the moment I was working with Maurice Bejart in Brussels. In those years, Pina presented Caf... Muller. All together, we were starting the great revolution of Dance Theatre with the help of the Belgian School and the influence of the Butoh (Carlotta Ikeda)... In 2002 I was in Wuppertal for a workshop at the Tanztheater, as a guest of Cairo's Goethe Institute. Thanks to Pina, I discovered a new way of working, dancing and drawing. Moreover, at this time we started a personal friendship. I met her humanity and I understood her silences. She is indescribable."
About the first and last performance of Pina's company Tanztheatre in Cairo, Auni says: "I needed three years to bring her company to Cairo. At the beginning of 2009, I met Pina a few times for this purpose. But she died two months after our last meeting. I wanted to organise a residence for her in Cairo, the way she had stayed in India and Turkey. We didn't have time."
The two plays performed by Tanztheatre (or Dancetheatre) in Cairo were Le Sacre du Printemps and Bamboo Blues. Fifteen men hurl six garbage bins full of earth onto the stage. They are arranging the scene for Le Sacre du Printemps, in which 36 dancers introduce the Rite of Spring, performing Igor Stravinsky's music. Women appear as the reflection of the earth with their sheer petticoats, while men look rough on the field with their bare torsos. A faint light comes from the left side, beams seep through windows as in Caravaggio's paintings. The fast female ride begins in joy; even the men's appearance doesn't upset the harmony. Couples form and suddenly separate in unintentionally promiscuous play. The experiences of the actors are confused with the rhythm of nature, the body starts wrestling with the hardness of the earth. And so, the clay increasingly clings to the dancers' bodies. A rude awakening recalls the power of chaos while nature is slowly selecting its victim: a small girl who appears suddenly in red.
The actors are exhausted, their heavy breathing infects the audience. The "dance composer", as she loved to be defined, always affirmed the importance of music as an inspiration for actors to create movements and words. Her 1975 Stravinsky triptych (Wind von West, Der zweite Frìhling and Le sacre du printemps) introduced a progressive separation with previous forms of choreography. Starting with her earliest beginnings as a member of the avant-garde choreographer Kurt Jooss's Folkwang School in 1955, Pina Bausch demonstrated her expressive and experimental tendencies. But only after 1975 did she define her own style as "total theatre" or a "theatre of experience". A trip into their lives brings the actors closer to happiness or further away from it. To this end, she gave them questionnaires on their childhood, their love life, applying to dance Jerzy Grotowsky's theories on the actor's body. This new attitude was already clear in Die sieben Todsìnden (1976), conceived to music by Kurt Weill, and Blaubart, Beim Anhæren einer Tonbandaufnahme, to music by Bela Bartok. The movements, emerging spontaneously during rehearsals, are slowly selected for the performance in connection with manifold props.
Who chose the two Cairo performances and why those two? "I didn't want Le sacre du printemps," Auni admits. "Of course, I preferred Pina's Nefes, made in Turkey. Stavinsky's music hides Pina's work. It is the same when Festivals choose my Shehrazad, there is more Korsakov than me in this play! Actually, I supported Bamboo Blues. When I was invited for the first representation in Berlin I thought it was perfect for an Arab public".
Pina's new way of dancing is clearly presented in Bamboo Blues. This performance, finished in 2007 in collaboration with Indian actors, was given at the Spoleto Festival last July, a week after the death of the choreographer. The performance starts off in an intimate register with six European and Asian women chewing in the middle of the field as a pack of lionesses. The games between men and women begin with sensational developments: a woman warms the sole of a man's foot with a lighter; couples parade obliquely; an Indian girl enters into the arms of her man with a fake smile; a man carries branches, another takes and loses his woman; a yellow ribbon invades the audience with a herbal aroma. Soft rock music, smells, a candid white set design unhinged by wind: the work initially has a New Age atmosphere. But the harmony is abruptly interrupted. A man drags a screaming woman on his back; another, hunted by two rivals, tries desperately to put on his clothes. The game among the genders becomes dangerous and violent. A woman tries several times to drown in a red bucket. Finally the nightmare disappears and the lioness's pack continues chewing in the wild forest, reclaiming love.
Unfortunately Pina was not in Cairo last October; how did Auni react to her death? "She had pneumonia and after five days in hospital she died without her company, who were working in Mexico." He sounds disconsolate. "Suddenly I started crying. If you watch the two documentaries about Pina's life that we programmed at the Opera House, you notice that she was all the time with a cigarette in her hand. At the beginning of 2009, I had presented an exhibition of my pastel sketches about Pina Bausch. One of them actually shows a thin woman with a cigarette above her head. This is Pina for me".
In Walid Aouni's article, published on these pages a few days after her death, we read, "her stage became a tune in which human relations intertwined one with the other teaching us a lesson on how to smile and how to shock our lost humanity".
The same subjects of Bamboo Blues are present in Kontakhtof (1978), where 26 dancers reflect on the true meaning of love. In the new version of 2008, proposed at the Stabile Theatre of Torino, Pina Bausch chose old actors, ranging in age from 58 to 70 years old. In a ballroom furnished with only chairs, a piano and a hobbyhorse, courtships, jokes, wild boogie-woogies take place. It is in Italy that the German choreographer, awarded the Golden Lion for her life's work at the 2007 Venice Biennale, has one of her best followers: Pippo Del Bono, artistic director of Torino Theatre. In his last performances ( Questo buio feroce and La menzogna ), the director and actor erupts on the scene, dancing. Even the subjects of Del Bono's plays recall his mentor's works: respect for diversity, relations between men and women, the body's diseases focusing on the tragic contradictions of postmodern society.
Bausch was a major influence for the present Lebanese choreographer, too. In Women of Qassim Amin, nine girls fight against the black shapes representing their veils. But they slowly free their shadows. Suddenly they appear, surrounded by men, showing a coloured and hidden reality.
"The work I am presenting at the Gomhoreya Theatre on Qassem Amin," Auni affirms, "is imbued with Pina's teachings. I took the way of thinking of Qassem, a revolutionary feminist, working on his biography. With Pina I discovered the long path of researching small things, pearls in the desert. In her auditions, which I was allowed to attend, after choosing a non-professional dancer, she would have him practise her classical exercises. Like Pina, I don't want my dancers to become stars, I'd like a dancer who works on ideas and becomes a set designer. Thus, I often ask my dancers questions. This is the goal of my performance on Qassem Amin, where I tried to work on the relationship between men and women. In this play, women are crushed and beloved."
Walid Aouni explains his method: "My art is a mutation of the teachings of my maestros and teachers. From Bejart I understood the power of life and death, with Pina I separated those two moments of the human being. Both were not gods for me but a continuous source of inspiration. So my method became a delirium on my self cleared of the multiplicity of dance tendencies in the present absence of teachers".
The death of Pina Bausch left a big hole in the theatre scene. But friends, students and followers all over the world still work and revise the incredible changes and teachings she introduced to theatre and dance. At the recent October events, Aouni brought her soul and energy to Cairo for the first time, encouraging a philosophical development of contemporary dance in Egypt.
Al Ahram
Giuseppe Acconcia
febbraio/2010
domenica 17 aprile 2011
Non c'è più nulla da vedere
Vincent Van Gogh, La ronda dei carcerati, 1890 Museo Puskin |
Voglia, bisogno e attenzione. Le tradisce il ciarlatano che non ha mai visto con i propri occhi ciò di cui parla. Strumento senz’anima per persuadere l’interlocutore con un’atmosfera viziata dalla consapevole determinazione di fregare l’ingenuità. Quest’ultima è soltanto causata da un’attenzione insufficiente. Il povero, il benestante e il ciarlatano non pongono limiti alla dignità, perdono l’indignazione. Fino a consentire a un contadino di annuire alla duplice affermazione: «Beh, l’educazione è la prima cosa, ma quando manca la vergogna è peggio!». Quando non c’è sintonia con l’ambiente circostante si tradisce certo l’armonia ma comunque non basterebbe a sopperire la mancanza di scuorno!!! È vergogna o semplicemente equilibrio? Troppo facile sarebbe definirla soltanto: buon senso. È un’incontrollata disperazione quella generata dal disprezzo del contegno. Il contegno, un tempo così caro alle parole, trova ora, momentaneo apice, probabilmente ultimo, derisione sfrenata, implicita nei fatti. Non c’è necessità di spiegare, ripetere con dettagli suggestivi, raccontare. È così evidente da trovare sicuro nascondiglio dietro una faccia tirata, liscia, restaurata per l’alchimia. Quindi una cosa di per sé ingenua!
Ma se l’alchimia non è altro che chimica allora rimane solo lo stregone! E siamo stregati, impassibili, consapevoli e impotenti, in balia della direzione di certo ostinata e di certo contraria al pudore. Per puttane e rattosi non serve tirare il carro basta ballare e perdersi in una sfrenata miscela di voglie.
E il bisogno? Certo non vuole più essere condiviso; del resto non è mai stato unico. Sin dalla nascita possiede una forza interna dilaniante che vuole suddividerlo in una variegata scelta di -benesseri individuali- e illusioni collettive.
Voglia, attenzione e bisogno sono tre requisiti intercambiabili ma esclusivi per affrontare qualsiasi questione seppur piccola. Dal più lontano dei ricordi le ho viste di rado esercitarle assieme nella mia vita. Non riesco a capire se, almeno un volta, io stesso l'abbia fatto. Di certo vi assicuro che in qualche misura temo lo scuorno! Seppi della loro esistenza imparando per tre anni da un professore nella mia lontana adolescenza nocerina. E non mi sono mai chiesto per chi votasse.
Giovanni Acconcia
Non c’è più nulla da vedere, 6 aprile 2011
Telefono pubblico
Per le strade sembravano scomparsi. Di certo diminuiti. Ma scomparsi poiché, quasi sempre, se ancora in funzione, non accettavano monete. Rifiutare un cellulare. Comunicare dal telefono pubblico. Usare le monete. Impossibile. Guardavo la cabina. Luogo triste, anonimo. Telefoni rotti. Non funzionavano con le monete. Nessuno. Andavo più avanti, giravo in fondo poi la piazza, lungo il marciapiede, nel piccolo caffè all’angolo. Disperavo dell’errore di non aver quell’oggetto che permetteva a tutti di svegliarsi, di chiamare, di fotografare. Fissavo il telefono pubblico. Solo, mai frequentato, una luce, una scritta, un buco per le monete in alto, una fessura per le tessere in basso, una cornetta spesso penzolante. Non c’era la cabina, non importava, se avesse piovuto, un piccolo archetto di plastica avrebbe protetto. Restai lì qualche ora. Giunse una vecchia. Un po’ trasandata, un cappello sgangherato, mani doppie, unghie grosse, ricci biondi ma sbiaditi fuori, bianca, bianchissima, strati di vestiti e cappotti. Prese la cornetta la sbattè sul telefono. La sbattè di nuovo. Lo colpì da un lato, lo colpì dall’altro. Aspettava. Prese di nuovo la cornetta, premette ogni pulsante. Colpì il buco, colpì la fessura. Aspettava. Frugava nel foro in basso. Niente monete. Ritentò. Alcuni guardavano il telefono schifati, sembravano pensare che quell’azione fosse una sorta di lavoro compiuto dalla donna. Come se quest’ultima passasse tutta la sua giornata colpendo telefoni, tentando di trovare quelle monete lasciate o incastrate nel ricevitore per arrotondare gli spiccioli raccolti in altri luoghi. La donna andò via, sconsolata, lasciava tra gli sguardi di accusa la cornetta penzolare. Restai fermo, ormai nessuna possibilità di telefonare sembrava possibile. Giunse un’altra donna. Questa volta vestita meglio ma folle. La sua follia si avvertiva dalle mani, dal modo intermittente in cui le muoveva, i capelli ben sistemati, grassa al punto giusto, un vestitino attillato, sgualcito da qualche giorno. Con fare circospetto la vecchia prese un ferretto dalla borsa che teneva in mano. Lo guardò, lo lucidò. Lo infilò nel buco per le monete. Spingeva, spingeva, spingeva. Cercava in ogni modo di far entrare quell’uncino nella fessura. Una volta dentro rovistava a destra e sinistra, lo infilava più che poteva. Questa volta le persone non sembravano attratte dall’azione poiché era meno evidente, meno rumorosa, professionale. La vecchia sentì qualcosa. Contenta diede l’ultima spinta al ferretto, quella decisiva. Si sentì nello stesso momento una moneta cadere nel foro in basso. Lei la prese senza curarsi della placca di metallo protettiva. Aveva guadagnato pochi centesimi ma il volto era felice.
Quel telefono mi spaventava, non lo frequentava più nessuno. Me ne stupivo, non avrei dovuto. Pensavo a quanto fosse facile per gli altri premere un pulsante e chiamare chi volevano, quando volevano. Quel telefono pubblico serviva ora solo a vecchie donne senza un soldo o a barboni per dormire, se fossero state cabine. Fu così che decisi di comprare un cellulare.
La Casa Orca, Fara editore, Giudizio universale
Tratto da Un inverno di due giorni e altri racconti, 2007
sabato 16 aprile 2011
Dall'Italia all'Egitto2
Seminario conclusivo del Corso di Formazione Cesvot “Abbracciare il mondo. Strumenti operativi e buone prassi per la cooperazione internazionale ”
Dalla cooperazione internazionale alle politiche per la Pace.
La situazione del Nord-Africa
quali prospettive per la pace e la democrazia
Sabato 16 Aprile, ore 9.30
c\o Auditorium ITC Buonarroti
Introduce e modera
Nino Materazzi
Presidente ArciSolidarietà Arezzo
Saluti:
Maria D’Errico
Resp. Cooperazione Internazionale Provincia di Arezzo
Emiliano Cecchini
Assessore Pace Comune di Arezzo
Adelmo Agnolucci
Presidente CESVOT Arezzo
Interventi di
Francesco Romizi
Presidente Arci Arezzo
Giuseppe Acconcia
giornalista e ricercatore specializzato in Medio Oriente
corrispondente dall'Egitto per Al Ahram, Il Manifesto e Radio Rai2
corrispondente dall'Egitto per Al Ahram, Il Manifesto e Radio Rai2
Azza Kamel
attivista e intellettuale egiziana, responsabile Act Egypt
venerdì 15 aprile 2011
Curfew nighs: il mio ultimo articolo su Al Ahram
At one point during the 18 nights of the Egyptian Revolution the curfew was extended to three pm. Looking out of the downtown building where I live, thanks to a surreal lack of cars on the streets of Cairo, I could breathe pure air filled with tension and aspiration, notwithstanding the irrationality of both revolutionaries and counterrevolutionaries.
Mustafa came to visit us from his neighborhood, not far from souk el etnen, between Abdeen and Sayeda Zeinab. He looked scared: "I'm exhausted! I spent the whole night protecting my home from the baltagiyya's attacks. After the police disappeared, we created self-defense groups whose members are honest people from my district. I cover night shifts". The young boy continued: "We often find former police officers and criminals, escaped from prisons. They are responsible for indiscriminate looting." It wasn't the first time I heard such a story. Bahaa, who lives in Faysal, had called me the previous night. I was shocked when he told me: "We are being attacked by bad guys. They brandish clubs, chains and swords". I realised that the country was out of control. Two days before, on my way back from Nasr city, I was stopped by several young people. They asked me who I was and where I was going. Saleh, the taxi driver, tried to reassure me: "They just want to protect their neighborhood". Nevertheless, I was not convinced. Their angry faces were combative and rough. You couldn't trust anybody during those days. A 30 year-old regime will not vanish overnight.
The curfew started at six pm and ended at eight am; daily life became uncanny. I lived with four Italian friends. After the "Friday of Anger" we had enough time to make provisions for food, but almost all shops were closed. People had assaulted the shelves of supermarkets. It was impossible to get money from the banks. People bustled about taking what little they could for absolute necessities, while deliveries of meat and other fresh food were blocked. A taxi driver took us on the 6 October bridge. I glanced at the skyline: the NDP building smouldering on the Corniche. "I like Mubarak," the man told me. "But above all I love the army. My father, my brother and my uncle are soldiers. I trust them".
Facebook, then the whole internet were shut down for almost a week. Our friends' phone calls became the only source of information we could rely on. Even mobiles and landlines were out of service for a whole day. Isolated, we spent our nights at home watching old movies. We enjoyed an incomplete and unexpected saga of movies starring Giammaria Volonté, the famous Italian actor of the 1970s), from Operación Ogro to Il caso Mattei. This virtual trip out of Cairo's Revolution reminded me of two of Bernando Bertolucci's movies: The Dreamers and Prima della Rivoluzione (Before the Revolution). In the first movie, three friends, united by a controversial relationship, spent their days at home in Paris, while the harsh clashes between students and police of 1968 are taking place just outside. In Before the Revolution, three friends share hopes for a new but utopian world of freedom.
The night hours gave us time for phone calls. We received information about unstable security conditions in poor neighborhoods and looting in rich ones. Sleep was often interrupted by screams from the street. In the middle of the night, we heard gunshots and the wails of stray dogs, punctuated by the displacement of hurdles and cement. In those days, the usual cries of robavecchia, carts carrying fuul in metal jars and the smell of bread coming up from the stairs completely disappeared. The prayers' tones were low: the volume of the five calls to prayer coming daily from the mosques was reduced. Even men carrying gas cylinders, clinking on them to indicate their presence, failed to show up. The small shops of electricians, carpenters and mechanics pulled down their shutters.
We spent the few daytime hours in Tahrir. In the blink of an eye, the square's mood spread all over the city. When Tahrir was peaceful life went on as usual, but if there were fights between demonstrators and armed bands, the reaction of the crowds reached even the outskirts of Cairo. When the battles between revolutionaries and counterrevolutionaries burst out, poor people, satisfied with few pounds in return, joined the baltagiyya coming into the square from Giza, Boulaq and Zeitun. People camped out in the middle of the square. The army parked its tanks at the interjections with Mohammed Mahmoud, Talaat Harb, Qasr El Nile and Champollion streets and alongside the Egyptian Museum. Ordinary people handed flowers and roses to the soldiers, who bashfully accepted them.
In a small and ramshackle cafeteria on Falaki Street, a waiter brought me two glasses of tea. There was a spoon in the first glass but no spoon in the other one. I asked why. Instead of answering, he grabbed another spoon and stuck it into the second glass: "Mubarak will be next!". It was the first of a series of bizarre encounters. "Today the people in the square are not the same people who were there during the last few days". Eman started looking at me. "At the beginning I met young students, intellectuals, Muslim brothers and influential people of in civil society. Now there are men and women belonging to every social class. And criminals too!". It seemed that more and more Egyptians wanted to join the 25 January movement. Some of the new people went to Tahrir just because they were curious, others were pushed by anger over low salaries, a few passed by just because they felt that "the square belonged to the people".
Later on, a boy came and asked me: "Is this freedom?". Excited and incredulous, he was looking at Tahrir. Young boys and girls were listening to "Not your prisoner", a rap of the Arab Nights. It reminded me of the 2009 "Iranian Green Movement", when Sarsim Mohacan and Shahin Najafi's rap inspired revolts. "I was arrested in the square on Friday," Mohammed revealed. "I was walking near Qasr Al Aini when the police stopped me harshly. When we arrived at the police station, they didn't find anything on me. After one day, they let me go" -- but he was shaken. Our last weird encounter was with Marco. He is a Sicilian who has been living in Egypt for 10 years. "Tahrir has been conquered by the Egyptian people," he said. "It's wonderful to spend hours with the millions who occupy the square: families, young people and artists who play the songs of Sheikh Imam and Sayed Derwish".
During the curfew nights, we speculated about every noise coming from the stairs and the streets around us. We couldn't help but looking out of the windows. The neighborhood was wrapped twice in a strange silence: Mubarak was supposed to give a speech on TV. The former president announced that he didn't intend to run in the September presidential elections and asked the demonstrators to be patient. Mubarak's speech triggered a controversial reaction among our Egyptian friends. They believed that he had made a wise decision. But the following day, during the well known "Camel Battle", the mood changed again suddenly. As usual, when we entered the square, the Muslim Brothers searched us carefully. But some men on carts and camel-drivers made it clear that they wanted us out of the square.
After 11 February 11, the curfew became from midnight to six am. But it's too late: Egyptian night life changed definitively. Nobody was on the street after midnight and Cairo's thousands of cafeterias are almost empty. Although there are ups and downs, Egyptians are now concerned about political discussions on the transition to democracy and they have left behind the exciting nights of the Revolution.
Al Ahram
aprile 2011
Giuseppe Acconcia
E' Gertrude o Iaia Forte? I promessi sposi alla prova di Giovanni Testori
Sette attori e il grande Sandro Lombardi rileggono le vicende di Renzo e Lucia, per festeggiare il 150esimo dell’Unità d’Italia. Federico Tiezzi propone i Promessi Sposi alla prova di Giovanni Testori, riscrittura dell’opera manzoniana del 1984. Il testo originale viene continuamente stravolto e modernizzato, in alcuni casi completato e ravvivato. E come in “6 personaggi in cerca d’autore”, gli attori sono personaggi di sè stessi. Sin dalle prime parole si intuisce l’intento dell’autore di viaggiare sulla sottile linea tra parodia e drammatizzazione. Una compagnia, seduta attorno a un tavolo, inizia a discutere sul testo. La scena arretrata è un circo, Sandro Lombardi ne è il regista-domatore, ma è anche Don Abbondio, Fra Cristoforo, l’Innominato: basta un mantello e un quadernetto, una tunica o un vestito nero. Una cuffia trasforma l’attrice in Perpetua, il mantello un bravo in Egidio, il cappotto Gertrude nella madre di Cecilia. E non mancano le trovate drammaturgiche di estrema sintesi. Una lampadina ricrea la cupa serenità della casa di Agnese; una sigaretta la spregiudicata Monaca di Monza, interpretata con la solita intensità da Iaia Forte, mentre consegna Lucia all’Innominato. Tutti gli attori si vestono di una tuta blu. E così l circo diventa una fabbrica, dove è in corso la protesta del popolo contro i colonizzatori. I sintomi caricaturali di un attore descrivono l’arrivo della peste. E i temi della Provvidenza, della misericordia e degli abusi di potere compaiono come citazioni essenziali nell’azione che fluisce come unica eco dell’originale. Le vesti diventano più sofisticate. La morte di Rodrigo rende l’idillio di nuovo possibile. Chiude la voce milanese di Ornella Vanoni che accompagna gli attori verso un nuovo inizio.
Giudizio universale
gennaio/2011
Giuseppe Acconcia
giovedì 14 aprile 2011
Outings of the old days
Giuseppe Acconcia takes the ferry
Public boats, the haloed "Nile bus" that used to be among the most popular middle- class attractions, regularly link the two sides of the Nile.
They are yellow and green, usually parked by the river in front of the Radio and Television Union building. The ticket to this form of public transport is still very cheap: 25 piasters from Abu Feda to Imbaba, and LE2 from Tahrir to Giza. The trip is far more comfortable than its counterpart in a small and crowded microbus; the view is obviously better.
It took a while to discover that the best public boat crossing the Nile goes from Tahrir to Qanater, once a popular outing spot. There is just one trip per day, at 10 am. This isn't the exact time of departure: the trip starts once the boat is full. But at what price? It only costs LE10 for the round trip.
This trip recalls the 19th-century Senna cruises which inspired those Impressionist paintings made en pain air, such as Dejeuner sur l'herbe or Les Moulins de la Galette. The boat is divided into two parts: a roof side, covered by colourful tents, and an indoor side full of orange chairs. There are families, children, veiled women and foreigners, often seen on the prow gazing at the landscape. The bullies from popular districts and the amorous couples are seen inside. They look like they are waiting for something, moving from a place to another.
Young men play dominos, cards or board games the ground. Children run and jump on the prow, sliding down. A photographer peddles a photomontage with singers and artists for LE15- 20. Suddenly, the music starts. There are even two DJs. First of all, the bullies try dancing. Zamalek and Agouza go by on the left side. But when the boat passes the low Imbaba bridge, everybody is obliged to crouch to avoid the iron.
Slowly the boat leaves behind, on the left, the neighbourhood of Mazallat. "We are from Maadi and we take this boat sometimes, just to enjoy our weekends," Yakoub and Mayar tell me. "I work as an accountant and she is a student. This short trip is a kind of holiday for us".
The trip continues. The cruise lasts two hours passing trough the districts of El-Gezira El-Hurra, among others. On the right side the chimneys of Shubra emit smock. "We are from Kobba, studying engineering at Cairo University," two girls and two boys seen at the bottom say. They look at the landscape and seem not so interested in music and dancing. Nevertheless the atmosphere and the mood of all the passengers continue to improve. The dances go on without any interruption. The girls look calmer than usual.
In his cockpit, the old and serious captain smokes a cigarette. He does not seem very interested in his work. Without a word he points to the big chimneys emitting white and blue smock. I ask what they are. Only the ticket collector answers, telling me they are the new and old electricity factories. Then: "I work ten day per week as a ticket collector on this boat and for the rest of the month as a tailor."
Now the landscape changes suddenly. There are no more skyscrapers or buildings. The ground is covered in green, banana fields, cows, small houses or big villas, fishermen with their cargo. A young Egyptian in a Mexican shirt is posing for a fake photo with his favourite artist while a Yemeni man discusses his holidays in Egypt.
Finally we are in Qanater. People disembark. Some start riding horses, others rent motorbikes and bikes. Some walk along winding path of trees and animals. There are birds, a merry-go-round, cafeterias, mostly closed, and a long bridge. We cross the dam, built by Muhammad Ali in the 19th century, in the old English style, with stones and towers. Restaurants serve fresh fish from the Nile, the two varieties known as bouri and bolti.
Inside and outside the boat the place looks like a "country of playthings" (Paese dei balocchi), as in Collodi's famous tale of Pinocchio. While the boat heads back to Cairo after three hours, the dances and the children's games continue with more vigour. Everybody goes everywhere, forgetting where they were before. In the end, the boat is the poor man's land of freedom.
Seven young men are sighted looking very serious on one side. "We are Indonesian students at the Al-Azhar University," they say, turning their faces from the landscape to the dancing, which infects everyone. Finally the boat arrives at Tahrir. The green has given way to Cairo's busy streets again.
Al Ahram
Aprile/2010
mercoledì 13 aprile 2011
Beladi: la canzone della Rivoluzione di Mohammed Mohsen
ringraziamenti a Baher Ghazi
I Fratelli musulmani e Facebook
Facebook contagia i Fratelli musulmani
La confraternita è su Facebook. La Guida suprema, Mohammed Badie, ha annunciato la nuova pagina dei Fratelli musulmani dal nome “Chi siamo e cosa vogliamo”. L’iniziativa fa seguito al grande successo che il social network sta avendo in Egitto dal 25 gennaio ad oggi. Esistono già almeno dieci siti internet vicini al movimento, tra cui islamonline e la versione inglese (ikhwanweb), gestita da Khairat Shater. La confraternita ha annunciato anche il lancio di un canale satellitare e di nuovi quotidiani. I Fratelli musulmani vivono giorni di gloria: hanno incassato una massiccia partecipazione alla manifestazione di venerdì; promuovono il dialogo tra i movimenti politici e l’unità delle forze armate. Ma non è tutto così semplice. Ogni giorno emergono nuove divisioni interne tra i giovani che erano in piazza Tahrir dal primo momento, uomini d’affari e la vecchia guardia, impegnata nella definizione di una nuova piattaforma politica. E se “Israele” da nemico diventa il nostro “vicino”: resta davvero poco del movimento che gareggiava con Nasser per il suo impegno sociale. E con l’esercito al governo il gioco delle parti continua come nulla fosse cambiato. I Fratelli musulmani ottengono qualcosa, come la liberazione di prigionieri politici. Ma concedono anche tanto: l’appoggio completo alla strategia del Consiglio delle forze armate per uscire dall’emergenza.
Sebbene secondo la Guida Suprema, nessuno della confraternita possa aderire ad un partito diverso da Libertà e Giustizia, i contrasti interni sembrano insanabili. La prima scissione si è già consumata, con la nascita di Wasat (centro), partito guidato da Abouel Ela Madi e legalizzato dopo la caduta di Mubarak. Intellettuali e uomini d’affari avevano tentanto di ottenere la legalizzazione di Wasat già nel ‘96 e nel ‘98, senza successo. Un partito moderato di centro era visto come un temibile avversario da Mubarak. Il Partito nazionale democratico era impegnato a cercare sostegno nelle stesse classi sociali a cui Wasat voleva rivolgersi, soprattutto tra gli imprenditori, cresciuti grazie allo sviluppo economico degli anni ’90 e 2000.
La seconda questione aperta riguarda i giovani dei Fm, che si sono riuniti il 26 marzo in una conferenza a Giza, suscitando non poche critiche. La nuova guardia ha discusso di regolamenti più limpidi nell’Assemblea, che favoriscano il dibattito interno e di quote, vicine ad un terzo, per giovani, donne e cristiani. Tra loro Mohammed El Qassas, membro della coalizione dei rivoluzionari e impegnato nell’ufficio politico del movimento. Mohammed è stato per tre volte in prigione, anche fino a nove mesi. Porta in volto e sul corpo i segni delle pietre lanciate dai baltaghi nel giorno della “battaglia dei cammelli”. Ha votato “sì” al referendum. “La nostra più grande vittoria è stato il rilascio di 60 prigionieri politici - assicura Mohammed - Sto seguendo il caso di Husama Suleiman, costretto dalla polizia a rimanere in carcere nonostante la corte suprema lo abbia scagionato”. Sui temi oggetto di controversia Mohammed ha un linguaggio chiaro: “il trattato di pace con Israele per ora non è in discussione. Ma qualsiasi aggressione accelererà la strada verso una revisione. La nostra sfida è di creare una vera vita politica in questo paese con un partito secolare aperto a cristiani e donne”.
Il principale punto di forza di un movimento così diviso è il rinnovato rapporto con le moschee, in particolare Al Azhar. I Fratelli musulmani, come tanti scheikh nella preghiera del venerdì, hanno chiesto ai manifestanti di tornare a casa e di votare “sì”, come dovere religioso. Lo scheikh Abdel Amid Youssef della moschea Al Azhar sembra concordare in tutto con la fratellanza: “il primo segnale è che la gente lasci piazza Tahrir”. L’islamismo politico apre ai cristiani, ma non concede loro ogni diritto: “i Fratelli musulmani avranno benefici dalla legalizzazione delle loro attività politiche. Ma non c’è un rischio di una deriva confessionale in Egitto perchè a cristiani, sufi e salafiti non sarà concesso di formare dei partiti politici”. Sulla rivoluzione, lo scheick ricorda il ruolo delle moschee: “i manifestanti si riunivano nei pressi di Al Azhar e poi si recavano in piazza Tahrir”. A detta di tutti, anche dei più acerrimi oppositori, sceikh e Fratelli musulmani hanno avuto un ruolo fondamentale nell’organizzare e controllare le manifestazioni nei 18 giorni di proteste, al Cairo come ad Alessandria.
Nei prossimi mesi nascerà una serie di minuscoli partiti di personalità, giovani e riformisti dei Fm. Tra loro Abou el Foutuh ha annunciato la nascita del Partito della Rinascita, sottolineando il suo impegno liberaldemocratico. A questo movimento si aggiungeranno Mohammad Abdul Kudus, direttore del sindacato dei giornalisti, e Mokhtar Nouh che si sono espressi per il “no” al referendum. Il dibattito interno alla confraternita è accesissimo. Il maggiore movimento di opposizione dell’era Mubarak scende in campo polverizzandosi in una miriade di partiti più o meno legati alla confraternita e avendo perso la sua tradizionale funzione sociale. L’alleanza tra esercito e Fratelli musulmani è il nuovo volto dell’Egitto in vista delle elezioni politiche.
Il Manifesto
13/04/2011
Giuseppe Acconcia
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