EGITTO
LA CITTÀ NELLA CITTÀ
Il Cairo non è solo il luogo della lotta infinita tra laici e religiosi, tra Fratelli musulmani e partiti secolari.
È anche un’immensa fabbrica di immondizia che va a finire in un quartiere dove lavorano 60mila persone
GIUSEPPE ACCONCIA DA IL CAIRO
IL CAIRO NASCONDE ENORMI DISCARICHE. E I RIFIUTI GETTATI DALLE FINESTRE O RACCOLTI NEI PALAZZI SONO POCA COSA RISPETTO AI CINQUE GRANDI QUARTIERI COSTRUITI SU TONNELLATE DI IMMONDIZIA. Uno di questi si trova
sulle alture di Moqattam. A sinistra si vede Qala, la cittadella di Saladino,
più avanti si scorgono un monte di argilla e le antenne paraboliche di Moqattam.
Qui c’è una delle sedi centrali di Libertà e giustizia, partito dei Fratelli
musulmani, e si gode di una vista magnifica sulla Cairo antica. Ma, girato
l’angolo, si trova la «Città dell’immondizia». Raggiungiamo l’altura passando
attraverso sacchi di rifiuti accostati per le strade nel rione degli Zebelin, gli
uomini che raccolgono i rifiuti. Si sale verso l’alto in un quartiere abitato
da cristiani copti e musulmani salafiti. Per questi vicoli, ogni giorno 60.000
zebelin raccolgono, differenziano e riciclano tonnellate di rifiuti. Enormi
sacchi di juta servono agli uomini per contenere qualsiasi cosa trovino tra l’immondizia
dai cartoni all’alluminio, dal ferro alla plastica. Scorazzano su asini o
carretti e sistemano i sacchi su camioncini che si spostano per le vie tortuose,
spesso non asfaltate. Tutto procede come se l’immondizia non esistesse e
l’intenso odore di plastica lavorata o di rifiuti in putrefazione non rimanesse
nelle narici di chi passa. Ma gli uomini più anziani sorseggiano i loro tè, le
donne e i bambini passeggiano per strada come in ogni altro quartiere del
Cairo. E non amano che gli stranieri vedano una realtà che dovrebbe rimanere
nascosta.
Gli zebelin separano e lavorano plastica, pvc,
legno, ferro, rame, alluminio e cartoni. Macchinari rumorosi triturano i
metalli. Dai minuscoli balconi di alcune case pendono carrucole che sorreggono
quintali di materiale da lavorare. Ma al vertice di questa collina c’è
l’immensa chiesa della Cava, dedicata a San Simone. Colpisce il contrasto tra
questo edificio visitato dai pellegrini e il rumore del macero alle spalle. Si
occupa della comunità padre Samman, che racconta delle rivolte del 2011 e dei
suoi risultati in anni di impegno a Moqattam. «Prima di tutto viene la mia
opera pastorale e per questo vorrei una Costituzione che non fosse basata sulla
legge islamica, come leggo sui giornali egiziani», inizia padre Samaan con un
fare timoroso. «Abbiamo aperto un piccolo ospedale e una scuola, tutti sono i
benvenuti nei nostri centri: siano essi cristiani o musulmani. Ci occupiamo di
orfani, poveri e vedove. Quando sono arrivato qui non c’era né acqua né luce», aggiunge
orgoglioso del suo lavoro. Ma poi quando si parla di rivolte ammette: «La
rivoluzione è finita e fallita da un pezzo. In prossimità delle elezioni sono
venuti a visitarci i principali candidati e a chiedere il nostro voto. Noi
vorremmo una sola cosa: equilibrio e rispetto fra cristiani e musulmani»,
ribadisce scettico sul futuro padre Samman.
Scendendo per i vicoli abitati dagli zebelin,
dei bambini giocano o leggono in una stanza colorata. Laila Zaghloul, una delle
responsabili della ong «Spirit of the Youth», assiste i figli degli uomini che
raccolgono i rifiuti. «Asma, tetano e epatite C sono la norma in questo
quartiere. Noi le combattiamo innanzitutto con l’educazione e i vaccini. Non
solo, diamo istruzioni per trattare i rifiuti ospedalieri, che però le donne
del quartiere continuano a prendere con le mani per provare a lavarli e
riutilizzarli», ammette Laila. «Possiamo ancora fare molto: costruire una
piccola società che possa disporre di licenze oppure creare un sindacato di
raccoglitori di rifiuti per proteggere i diritti di chi lavora l’immondizia.
Potremmo ottenere finanziamenti internazionali per farlo. Fino ad ora il
governo ha un accordo con un’azienda che si occuperebbe di raccolta e riciclaggio
ma non coinvolge direttamente chi raccoglie i rifiuti», denuncia Laila.
A pochi passi da lì, si entra in una scuola dove molte donne lavorano tra telai. Dei «netturbini» di Zebelin si occupa l’Associazione per la protezione dell’ambiente (Ape). Questa ong tenta non solo di educare i bambini e di fornire servizi sanitari, ma anche di sensibilizzare al riciclaggio le famiglie che vivono nella discarica. «Abbiamo un programma specializzato nell’educazione delle donne. Sei donne lavorano qui nell’assemblaggio dei materiali riciclati e insegnano come fare ad altre 110 che proseguono il lavoro a casa», spiega una volontaria, Nicole. «Offriamo alle donne tre mesi di training pagato. Alla fine hanno un telaio e altri strumenti. Se i loro mariti raccolgono l’immondizia, le donne aiutano nel riciclaggio». Soprattutto i copti del quartiere sono coinvolti nel progetto. Nicole racconta come ha iniziato. «Nel 1984 è nata una comunità di raccoglitori di rifiuti organici, erano principalmente cristiani ortodossi. Allevavano maiali perché mangiassero i rifiuti». Nel 2010, in seguito all’influenza suina, il governo egiziano ha ordinato l’uccisione di tutti i maiali del paese. «Hanno tentato di eliminarli con un pretesto, ma ce ne sono ancora decine nascosti nelle case», assicura l’operatrice. Con il passare degli anni, le attività di questa associazione sono diventate essenziali per il quartiere. «Questa comunità è sempre stata ai margini. Lo stato qui non c’è. Nel 1998 abbiamo avviato il compostaggio dei rifiuti. Ma poi questa attività è stata trasferita altrove. Fino a quel momento l’immondizia veniva incendiata. Non solo, le donne all’inizio riversavano in casa i rifiuti raccolti dai mariti, abbiamo dovuto insegnare loro quanto male facessero queste pratiche. Da allora, esportiamo gli oggetti prodotti qui in tutto il mondo. In questi mesi però stiamo subendo continue minacce per le tensioni in atto nel quartiere». Il riferimento dell’attivista è agli scontri di Moqattam tra salafiti e cristiani che hanno insanguinato l’Egitto per mesi. Questa discarica è un microcosmo del paese, fermo dal 25 gennaio 2011, tra rifiuti in strada e disuguaglianze sociali. E così, le voci degli imam che invocano l’ecologia nei loro sermoni si perdono tra i sacchi colmi di oggetti di chi raccoglie rifiuti, gli zebelin.
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