di
Giuseppe Acconcia
Conobbi
Francesco De Lellis in occasione di un incontro sulla Tunisia al MAAM, uno
spazio culturale nella periferia di Roma, ad inizio 2015. Alla fine del
dibattito mi parlò della sua tesi di dottorato sui sindacati dei contadini in
Egitto e della sua imminente partenza per il Cairo. Gli dissi che il tema mi
sembrava molto interessante perché si trattava, anche secondo me, di uno dei
risultati più significativi delle rivolte del 2011. Aggiunse che avrebbe voluto
proporre degli articoli per il manifesto e gli dissi che mi avrebbe fatto
piacere leggerli e ne avrei parlato con la redazione. Sin dal febbraio 2011 ho
lavorato come corrispondente del giornale dal Cairo e sono stato accreditato per
il manifesto alla televisione di Stato egiziana (Maspiro).
Nel
luglio di quello stesso anno, in occasione del secondo anniversario dal colpo
di stato egiziano del 2013, Francesco De Lellis e Gianni Del Panta mandarono il
loro contributo dal Cairo, che venne pubblicato in quei giorni, sullo stato
delle fragili lotte sindacali egiziane in un contesto di grave repressione.
Anche Gianni era un dottorando che si occupava dei movimenti fioriti dopo le
rivolte del 2011 e stava trascorrendo un periodo di ricerca al Cairo. Conobbi
Gianni ai margini della presentazione del mio libro “Egitto. Democrazia
militare” in occasione del Festival Middle East Now a Firenze. Anche lui mi
raccontò che si stava occupando di sindacati in Egitto, Tunisia e Algeria per
la sua ricerca all'Università di Siena. Gli parlai di Francesco e gli dissi di
contattarlo.
Nell'autunno
del 2015, Francesco De Lellis mi scrisse per proporre un secondo articolo,
sempre scritto a quattro mani, questa volta con un altro dottorando, Giulio
Regeni. Mi disse che Giulio stava svolgendo un dottorato di ricerca per
l'Università di Cambridge e anche lui si stava occupando dei sindacati
egiziani. Questa volta mi disse che avrebbero preferito pubblicare l'articolo
con uno pseudonimo e che avrebbero preso parte ad una riunione sindacale nel
dicembre dello stesso anno al Cairo. Gli chiesi perché avrebbero voluto usare uno
pseudonimo e perché non lo avevano chiesto in precedenza. Mi disse che non si
trattava di una paura specifica ma di un timore generico legato alla situazione
di repressione in Egitto.
Francesco
mi inviò l'articolo, si trattava di un ottimo lavoro. E quindi lo mandai in
redazione al manifesto. L'articolo rimase per alcune settimane in coda al desk
del manifesto. In quel momento nessuno si stava più occupando di repressione in
Egitto. Sollecitai molte volte Simone Pieranni, al desk esteri del manifesto,
perché pubblicasse l'articolo. Alle richieste di Francesco De Lellis sulla
mancata pubblicazione risposi che in ogni caso l'articolo sarebbe uscito al
massimo il 25 gennaio 2016 in occasione del quinto anniversario dalle proteste
di piazza Tahrir del 2011 al Cairo. Francesco mi disse che avrebbe provato a
inviare l'articolo anche ad altri siti online che avrebbero forse pubblicato il
reportage anche prima del 25 gennaio.
Nel
frattempo, in una chat con Gennaro Gervasio, che si occupa da anni della
sinistra egiziana, anche lui mi parlò
dell'ottimo lavoro di Francesco e Giulio. In particolare mi raccontò di quanto fosse
meticolosa la ricerca di Giulio. Proprio
la sera in cui ci scrivemmo Francesco e Giulio sarebbero andati a trovarlo a
casa perché non si sentiva bene.
Quando
il 31 gennaio 2016 venne diffusa pubblicamente la notizia della scomparsa,
avvenuta sei giorni prima, di Giulio Regeni, ricordai ancora una volta al
vicedirettore del giornale, Tommaso Di Francesco, che avevamo l'articolo di
Francesco e Giulio in attesa di pubblicazione.
Francesco
e Gennaro mi chiesero di mantenere un profilo basso in attesa di notizie sulla
scomparsa di Giulio Regeni. Ma con il passare dei giorni il clima era sempre
più fosco. Il giorno dopo il ritrovamento del cadavere di Giulio che avvenne il
3 febbraio 2016, esattamente due anni fa, Tommaso Di Francesco mi disse che
l'articolo sarebbe stato pubblicato. Confermò che sarebbe uscito anche dopo la
diffida a pubblicare che arrivò il giorno stesso in redazione da parte dell'avvocato
della famiglia Regeni. Il 5 febbraio 2016, uscì sul manifesto “In
Egitto la seconda vita dei sindacati indipendenti” a firma di Giulio
Regeni. Venni a sapere in seguito che una prima versione dell'articolo era già stata
pubblicata a gennaio dal sito Nena
News di Michele Giorgio, giornalista del
manifesto.
L'unica cosa che
mi sentii di dichiarare dopo aver appreso la terribile notizia della sua morte ad
una giornalista di Radio Popolare che mi interpellò fu proprio che Giulio Regeni:
"Aveva paura per la sua incolumità". Arrivai a questa conclusione
perché quando inviarono il loro articolo Giulio e Francesco chiesero di usare
uno pseudonimo, cosa che non era avvenuta in precedenza.
Il 25 febbraio 2016 mi recai dagli inquirenti a Roma per
consegnare le 16 pagine di chat che avevo avuto nelle settimane precedenti con
Francesco De Lellis in merito all'articolo che proposero al manifesto. Dopo la
mia decisione di sfidare quel contesto di silenzi e paure e poco prima di
rilasciare un'intervista alla Rai sul caso Regeni, Tommaso di Francesco mi
chiese di non fare mai menzione delle responsabilità italiane. Credo che a due anni
dal ritrovamento del cadavere del brillante ricercatore friulano anche questa
mia esperienza personale sia importante da raccontare per spiegare quanto siano
state forti le pressioni italiane affinché non si facesse troppo “rumore” con
il Cairo dopo la scomparsa di Giulio.
Nessun commento:
Posta un commento