Omicidio politico o attacco alla libertà di ricerca. Almeno 19 casi mai denunciati prima di lui
di Giuseppe Acconcia
La ricerca della verità nel caso
Regeni è quanto mai complessa e, fin qui, sembra non aver portato risultati
significativi. Cerchiamo in questo articolo di togliere il fumo negli occhi che
i divieti e le prese di posizione hanno fin qui imposto a chi si è occupato del
caso. Sono tante le domande che si possono formulare per arrivare ad una chiara
definizione dello svolgimento dei fatti che hanno portato alla tortura e morte
del giovane dottorando italiano, il cui cadavere è stato ritrovato al Cairo il
3 febbraio 2016.
La prima e più importante riguarda chi
sia stato ad ucciderlo. La risposta va ricercata nel sistema di potere
egiziano, nei vertici della polizia e della Sicurezza di Stato. Forse mai
sapremo chi ha di fatto commesso il delitto ma vale la pena continuare a
chiedere di sapere il suo nome e cognome. La seconda domanda, non meno
rilevante, riguarda il perché Giulio Regeni è stato ucciso. A questa domanda
tenteremo di rispondere di seguito.
Delitto
politico o attacco alla libertà di ricerca?
Questa domanda comporta una
riflessione ulteriore che si riferisce al tipo di atto criminale che è stato
commesso e con quali fini. La morte di Giulio Regeni, secondo alcuni, è stato
un delitto politico. Queste tesi si riferiscono direttamente ai temi della
ricerca sui sindacati indipendenti che stava svolgendo in Egitto. Secondo
altri, si tratta di un attacco agli stranieri e alla libertà di ricerca (e di
informazione). In questo caso, sarebbe il suo dottorato per l’Università di
Cambridge ad aver messo in pericolo il dottorando italiano. Evidentemente non è
facile schierarsi su questo punto e forse è anche inutile perché sono vere
entrambe le ipotesi e l’una non esclude l’altra. Giulio Regeni potrebbe essere
stato arrestato come è capitato ad altri egiziani che sono stati prelevati con
la forza durante il quinto anniversario delle rivolte di piazza Tahrir, lo
scorso 25 gennaio. A quel punto però l’arresto potrebbe essersi trasformato in
fermo proprio perché le sue attività di ricerca lo avevano reso noto alla
sicurezza egiziana.
Secondo recenti ricerche in corso, ci
sarebbero stati 19 casi di ricercatori, prima del caso Regeni, che hanno subìto
sorti simili in Egitto e di cui non si sa quasi nulla. A avvalorare questa tesi
ci sono due elementi emersi nelle indagini al Cairo. Uno si riferisce
all’ammissione della polizia del Cairo che è stato aperto un fascicolo su
Giulio Regeni prima della sua scomparsa: circostanza che è molto difficile da
confermare senza ragionevoli dubbi. L’altra è la denuncia, confermata dal capo
del sindacato degli ambulanti, Mohammed Abdallah, che ha confermato di aver riferito
alla polizia di una promessa di finanziamenti, avanzata da Giulio Regeni, tra
dicembre e gennaio. Qualsiasi finanziamento da enti stranieri a organizzazioni
non governative e sindacati è vietata dalla legge egiziana. Tuttavia, anche
questa denuncia sembra una giustificazione effimera per comprendere le ragioni
della morte di Giulio Regeni. Tanto che a molti altri analisti è venuto quasi
naturale di definire “sfortunato” lo studente italiano, in un contesto in cui
“l’eccezionalismo” accademico non aveva mai fatto registrare vittime. Eppure
ormai sappiamo che questo è più un mito che una realtà mentre il vero risiede
nel fatto che giornalisti, ricercatori e attivisti sono sempre state vittime
del regime egiziano dopo il golpe del 2013, spesso nel silenzio mediatico più
assordante.
Perché
è stato ucciso Giulio Regeni?
Non è facile rispondere a questa
domanda. Ma ci proviamo nel modo più puntuale che ci è possibile a questo punto
delle indagini. Non abbiamo alcuna notizia sull’identificazione e l’eventuale
interrogatorio, o serie di interrogatori, che Giulio Regeni avrebbe potuto
subire durante l’arresto. Tuttavia, l’unico nome che è potuto venir fuori in
quella fase in cui chi lo ha fermato ha potuto vedere i suoi documenti e i suoi
tesserini universitari è Maha Abdelrahman. La supervisor di Giulio Regeni è una
ricercatrice brillante. Ha studiato i movimenti di opposizione al regime
egiziano non solo focalizzando la sua attenzione su piazza Tahrir ma
ricostruendo la lunga storia dell’antagonismo al regime di Mubarak prima, Morsi
e al-Sisi poi. Il suo testo Egypt’s Long
Revolution Protests Movements and Uprisings (Routledge, 2015), ricostruisce
come forse non ha mai fatto nessuno i rapporti politici tra i movimenti
egiziani, la natura debole delle coalizioni, i movimenti sindacali egiziani. La
professoressa Abdelrahman ha così costruito un insieme di contatti ottimi per
lo studio della sinistra egiziana, dei movimenti operai in contesti urbani e
periferici.
Uccidere uno dei suoi migliori
studenti è stato un modo per colpire Maha Abdelrahman e con lei l’intero mondo
della ricerca accademica che si occupa di Egitto. Da quel momento non si
contano i ricercatori che sono stati rimandati a casa in aeroporto al Cairo e neppure
si sa quanti studiosi abbiano cancellato i loro soggiorni in Egitto, come
conseguenza delle torture subite da Giulio Regeni.
Vari elementi confermano questa tesi.
Maha Abdelrahman e la collega Anne Alexander avevano scritto una lettera di
protesta contro le autorità egiziane per denunciare il grave deterioramento nel
rispetto dei diritti umani pochi giorni dopo l’annuncio della morte di Giulio
Regeni. La missiva aveva ottenuto migliaia di firme in tutto il mondo.
Tuttavia, l’iniziativa era subito stata bollata dalle autorità egiziane come
opera di “noti oppositori” al regime di al-Sisi. Quindi, prima ancora che la
raccolta firme acquisisse l’eco che meritava, già le autorità egiziane avevano
reagito per stigmatizzare il ruolo di oppositori dei primi firmatari.
Non solo, ad un certo punto delle
indagini, Maha Abdelrahman ha preferito non rispondere alle domande degli
inquirenti italiani. Questa evenienza ha delle spiegazioni logiche molto
chiare. Di sicuro implica un tentativo condivisibile di difendere la propria
privacy e la possibilità di tornare in Egitto. Ma soprattutto è il segno chiaro
di voler proteggere i suoi contatti. La docente è sparita dai social network
anche per non mettere in pericolo altre persone in Egitto che avrebbero potuto
essere arrestate dalle autorità egiziane.
Dire questo non significa in alcun
modo che Maha Abdelrahman abbia delle responsabilità perché mai prima di allora
si era verificata una tragedia così grave che avesse come vittima un giovane
dottorando straniero. È molto importante rimandare al mittente la cattiva
stampa che ha più volte puntato sulle responsabilità dei docenti nella morte
del dottorando italiano. Eppure chiarire questo punto implica una cosa sola:
Giulio Regeni è stato ucciso per intimorire e colpire la sua docente. Le piste
dell’omicidio politico e dell’attacco alla libertà di ricerca si sovrappongono.
C’è
stata una reazione adeguata delle autorità italiane?
A questo punto è importante aggiungere
un secondo tassello. I carnefici di Giulio Regeni si aspettavano una reazione
forte da parte dei media e delle autorità italiane in seguito alla sua
scomparsa. Giulio Regeni era sì scomparso ma poiché straniero, e mai prima di
allora ci sono stati casi di stranieri desaparecidos, era quanto mai necessario
diffondere immediatamente la notizia. Questa reazione non c’è stata. La notizia
della scomparsa del ricercatore italiano è stata data in pasto ai media solo sei
giorni dopo:il 31 gennaio scorso. Questa attesa non ha aiutato il giovane. Si è
trattato di un errore di valutazione commesso dall’ambasciata italiana al Cairo
e dai suoi amici più vicini in Egitto, tra cui i ricercatori e studiosi Gennaro
Gervasio e Francesco De Lellis, chiusi da quel giorno in un silenzio assordante.
Un errore, forse comprensibile in quella fase concitata, ammesso da loro stessi
e confermato da Amr Assad e altri amici egiziani che invece avrebbero voluto o
hanno cercato di dare immediatamente la notizia ai media. Questa attesa ha
corroborato le false supposizioni dei carnefici di Giulio Regeni che avessero
tra le mani una spia o un attivista con connessioni internazionali che nessuno
ha reclamato dall’Italia.
Gli elementi che hanno ritardato la
reazione sono tanti. Il governo italiano a quel tempo non riteneva l’Egitto di
al-Sisi una dittatura, anzi il premier Renzi aveva definito al-Sisi un modello.
Al-Sisi era stato accolto a Roma come un grande statista con un dispiegamento
di sicurezza senza precedenti. Renzi è stato l'unico premier europeo a
partecipare al Summit economico di Sharm el-Sheikh nel 2015. Non solo, il
premier italiano ha definito al-Sisi in un discorso al parlamento europeo come
un «modello della lotta al terrorismo». In altre parole, dopo la Francia che
continua ad essere il primo alleato del Cairo, Roma è stato l'asse portante
della politica estera egiziana, soprattutto nelle fasi iniziali, quando era
forse ancora possibile limitare le pretese della giunta militare, ad
accreditare al-Sisi sulla scena internazionale.
In secondo
luogo, l'ambasciata italiana era diventata in molte occasioni il megafono degli
uomini del vecchio regime. Nelle prime ore della scomparsa di Giulio Regeni,
non sappiamo al momento esattamente quale ruolo abbia avuto l'ambasciata
italiana: se e quando ha avviato un negoziato con le autorità egiziane per il
rilascio di Regeni e a quale livello, quando ha avvertito la Farnesina e
l’Università di Cambridge, perché non ha voluto che la notizia venisse diffusa
pubblicamente.
Le uniche
cose che sappiamo sono che l’ex ministro dello Sviluppo economico, Federica
Guidi, ha annullato i colloqui bilaterali in corso al Cairo ed è rientrata in
Italia insieme alla delegazione di imprenditori presenti in Egitto, nel giorno
del ritrovamento del cadavere. Sappiamo poi che dopo essere stato richiamato a
Roma, l'8 aprile scorso, per consultazioni urgenti, l'ambasciatore italiano in
carica al momento del delitto ha ribadito in un'intervista rilasciata alla Rai
di essere stato il primo a vedere il cadavere di Regeni nell'obitorio di Sayeda Zeinab,
a conferma del suo impegno per la ricerca della verità anche se non siamo a
conoscenza nei particolari di quello che è avvenuto prima di questo: per
esempio quali circostanze hanno reso possibile il ritrovamento del cadavere?
Questi ritardi nella reazione alla
scomparsa di Giulio Regeni confermano una volta di più quanto stampa e ricerca
viaggino su binari distinti. In casi simili, la scomparsa di vari giornalisti è
stata resa nota immediatamente dai media di tutto il mondo. E questo ha permesso
in molti casi che venissero salvate le loro vite. In questo caso invece, il
muro contro muro tra accademici e giornalisti ha reso per mesi minato il campo
della ricerca di questa parte della verità. E quindi è necessario aggiungere
qui che chiarire questi punti non implica in nessun modo ridimensionare i
crimini commessi e le denunce per i gravi abusi delle autorità egiziane: le
uniche responsabili materiali del delitto. Il mondo accademico si sta
finalmente interrogando in modo sistematico sulla sicurezza dei ricercatori in
Medio Oriente e questo di sicuro permetterà che in futuro non si verifichino
casi simili. Anche questi tasselli tuttavia servono a spiegare quello che è
successo a Giulio Regeni e a dare piena dignità al termine “Verità”.