lunedì 31 ottobre 2011

Lettura critica di Narda Fattori

Giuseppe Acconcia è l’autore di Un inverno di due giorni e altri racconti, ancora prosa, complessa e fluida, come dice nella presentazione Stefano Martello, aggiungerei magmatica e urgente, sovrabbondante. È una prosa che accoglie nello sguardo l’esperienza per trarne il significato che cela e che svela. Il migrante che sbarca beve le immagini, sente il dolore della perdita e l’estraneità di lunghi elenchi di merci, di insegne, di un italiano che si impara ma non si capisce, ottuso e ripetitivo. Ogni sogno si infrange contro la realtà brutale di un lavoro che non c’è, di un amore, di una casa che non esistono, sopravvivenza demandata alla Caritas, la certezza di vivere una vita senza… e allora forse è meglio morire. Il racconto che riguarda gli extraterrestri mi sembra il più coeso perché non cerca scappatoie in prolessi e analessi, ma narra di fatti su un asse temporale unico. Gli extraterrestri che sembrano aver trovato la strada per una serena convivenza attraverso una comune di pari, non suscitano alcun interesse, sono stranieri , estranei quindi indegni di soffermarsi sulla loro cultura. Ancora una volta riconosciamo l’interesse dello scrittore per le relazioni e per l’incapacità di accogliere l’altro, anzi come Cronos, il tempo, divora i suoi figli, siamo ridotti ad ologrammi, parvenze. Ma Acconcia procede oltre nel leggere le capacità autodistruttive dell’uomo: anche quando la Terra si sgretola e si fa poltiglia di fango, riescono a pensare solo a limitare le nascite. Quando parla di quotidianità e di esperienze che gli sono familiari, Acconcia riesce a dare alla scrittura forza e chiarezza; si spoglia delle sovrastrutture letterarie non perfettamente entrate ancora nel suo patrimonio di giovanissimo scrittore e narra con scioltezza, non annoda la scrittura in acconci presunti stilemi. I suoi protagonisti sono emarginati, migranti, precari, o sognatori, creature inverosimili che traggono dalla fantasia l’unico nutrimento.

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